Rifugiati del campo di Bulengo, a Goma Rifugiati del campo di Bulengo, a Goma

RD Congo, il cardinale Ambongo: il Paese vittima del colpevole silenzio del mondo

L'arcivescovo di Kinshasa invoca la pace nel suo Paese devastato da decenni di conflitto e da “una crisi di umanità. Servono azioni serie di fronte “a milioni di morti, alla distruzione di villaggi e alla dispersione delle famiglie” di fronte ad una comunità internazionale che “continua a trarre profitto dal saccheggio sistematico delle risorse”

Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano

Il popolo della Repubblica Democratica del Congo non può più aspettare, la sofferenza è così grande che va affrontata, così come le cause profonde di questa crisi che nel Paese dura da circa 30 anni. Il cardinale Fridolin Ambongo Besungu, arcivescovo metropolita di Kinshasa e presidente del Simposio delle conferenze episcopali di Africa e Madagascar, parla della necessità che si arrivi alla pace nel suo Paese, “dove rimangono attivi oltre 120 gruppi armati”, dove le diverse guerre degli anni scorsi “hanno causato milioni di morti, distrutto villaggi e disperso famiglie, nel silenzio colpevole di un mondo che continua a trarre profitto dal saccheggio sistematico delle risorse di questo Paese che con la sua esperienza testimonia con la corsa agli armamenti porti alla rovina del bene comune”. Il disarmo - spiega ai media vaticani il cardinale, intervenuto nei giorni scorsi all’Incontro internazionale “Osare la pace”, organizzato a Roma dalla Comunità di Sant’Egidio - deve partire prima di tutto dal cuore, perché crisi che devasta il Congo è prima di tutto una crisi di umanità, di valori umani e morali. L’essere umano ha perso da tempo il suo valore, anzi gli è stato negato, la sua dignità e il suo valore di esseri creati a immagine e somiglianza di Dio non sono più riconosciuti, perché l’unica cosa che conta sono i minerali e le ricchezze da prendere, mentre degli esseri umani a nessuno importa”.

Il cardinale Fridolin Ambongo Besungu
Il cardinale Fridolin Ambongo Besungu

Il dialogo tra le religioni

Nei Paesi attraversati da conflitti o guerre si renderebbe necessario un linguaggio comune e condiviso tra autorità religiose e politiche, ciò che tuttavia non avviene in Congo, dove in questo momento, spiega il porporato, “il dialogo è sì aperto e consolidato tra cattolici e protestanti”, ma non con “la moltitudine di nuove chiese evangeliche, la maggior parte delle quali incoraggiate, o fondate, da politici, e che quindi sono al servizio di chi detiene il potere. Quando ci incontriamo non parliamo delle stesse cose”. Ciò che occorre, dunque, è una “vera conversione, come uomini di fede, prima ancora di parlare di conversione dei politici”.

La drammatica situazione umanitaria

Il popolo è devastato da una situazione talmente grave da richiedere azioni serie “che riconoscano le persone come punto di partenza”. Questo non avviene, ed è evidente nella parte est del Paese, “dove proliferano gruppi armati, dove c’è l’interferenza dei Paesi vicini, dove c’è la più alta concentrazione di sfollati che pagano il prezzo di tutto questo: persone che non hanno cibo, che non hanno acqua, che non hanno i beni di prima necessità, con l’inevitabile aumento di malattie che periodicamente riemergono, come Ebola o come il colera”, che in queste settimane vede forse la peggiore epidemia degli ultimi 10 anni, con quasi 60mila casi in soli nove mesi e 1.700 morti.

Minerali insanguinati

Non potrà esserci pace in Congo senza coinvolgere i Paesi vicini, ripete l’arcivescovo di Kinshasa, perché il conflitto “ha due dimensioni, una interna e una esterna”, che riguarda le nazioni limitrofe, in particolare Ruanda, Burundi e Uganda, a diverso titolo presenti nel territorio congolese. “Ognuno di questi Paesi persegue i propri obiettivi – spiega il porporato – e dietro a loro c'è l'intera comunità internazionale, che nutre un forte interesse per le risorse minerarie del Congo, minerali insanguinati, che arrivano dalle zone di conflitto”, e che vengono acquistate direttamente dai Paesi vicini.

C’è poi la dimensione interna del conflitto, segnata da “una fortissima ingiustizia sociale, con la ricchezza nelle mani di una piccola minoranza che si comporta da padrone, mentre la stragrande maggioranza popolazione langue in una povertà assoluta”, situazione che si vive anche nella capitale Kinshasa, “dove circa il 60% della popolazione è disoccupata, dove ci sono interi quartieri senza acqua, elettricità o trasporti”.

L’azione della Chiesa cattolica

In questa condizione, è la Chiesa cattolica, ancora una volta, a dare speranza al popolo “e questo mi riempie di grande orgoglio”, conclude il cardinale Ambongo, che chiede ai suoi connazionali un maggiore impegno nel “Patto sociale per la pace nella Repubblica Democratica del Congo e la convivenza armoniosa nella regione dei Grandi Laghi", iniziativa promossa da esponenti religiosi, soprattutto cattolici e protestanti, e organizzazioni civili, convinto che “la strada scelta per lavorare per la pace e la riconciliazione tra il popolo congolese, così come con i popoli vicini, sia la strada giusta che va perseguita”.

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29 ottobre 2025, 13:43