Le elezioni in Bolivia. Il vescovo Aurelio Pesoa Ribera: "Ora più unità e riforme"
Dopo vent’anni, la Bolivia ha voltato le spalle al Movimento per il Socialismo, il cui esponente di spicco è stato l’ex presidente Evo Morales. La trama delle elezioni generali che si sono concluse nel Paese sudamericano pochi giorni fa viene raccontata dalla sfida tra Rodrigo Paz Pereira e Jorge Fernando Quiroga Ramírez, che la gente ha imparato a chiamare amichevolmente Tuto, i due contendenti che hanno fatto la storia. Il primo: senatore, moderato, espressione del Partito democratico cristiano. Il secondo: indipendente, tecnocrate, appoggiato dalla coalizione Libertà e democrazia. Non c’è stato nessuno sfidante, nel confronto finale che ha visto prevalere il senatore Paz con il 54,96 per cento dei voti.
Cambio di passo
Il radicale cambio di passo politico, con la salita al potere di un centrista che sostiene di voler riaprire il Paese al mondo, non lascia indifferente la Chiesa locale. A tal punto che il presidente della Conferenza episcopale, monsignor Aurelio Pesoa Ribera, vescovo del vicariato apostolico di El Beni, puntella il suo ragionamento sull’evoluzione boliviana partendo da quella che considera una certezza: «Ogni cosa ha il suo tempo. Ora la più grande aspirazione è quella di superare gli errori commessi nel passato. Ci auguriamo davvero che ci sia un cambiamento di visione, che non sia tutto come prima».
Come valuta, nel complesso, lo svolgimento della competizione elettorale?
C’è stata una partecipazione serena da parte dell’elettorato, in tutta la nazione non ci sono stati grandi difficoltà. E credo che questo sia un punto a favore della maturità della nostra democrazia.
Per la Chiesa e per la società, che significato ha il risultato di queste votazioni?
Per la società, la speranza che i nuovi governanti cerchino di far uscire in modo creativo il Paese dalla stagnazione economica che l’ha duramente colpito. Per la Chiesa, rappresenta l’opportunità concreta che arrivino giorni migliori per tutto il popolo.
Concretamente, i vescovi cosa si aspettano dal nuovo corso della politica?
Che tenga conto di tutti i boliviani, senza discriminazioni, senza che nessuno venga escluso per via della propria appartenenza a un partito o ad un gruppo politico. Auspichiamo che tutti si possano sentire protagonisti della crescita della nostra patria. Anche l’opposizione che è chiamata a collaborare alla ricerca del bene comune.
Il Paese, però, ha bisogno di profonde riforme. Che sono urgenti...
Quelle che sappiamo essere indifferibili, e che tutti i boliviani vogliono, sono quelle della giustizia, dell’istruzione e del sistema sanitario.
E proprio nell’ambito sanitario e dell’istruzione la Chiesa locale ha dimostrato di saper collaborare arrivando fin dove lo Stato non può...
Credo che il nuovo potere politico dovrebbe continuare a dare la possibilità alla Chiesa di proseguire nella sua missione sociale: stare vicino ai più poveri e ai più vulnerabili. Chiesa e governo devono lavorare insieme anche per cercare di risolvere una situazione economica che sta facendo schizzare alle stelle i beni di prima necessità.
Anche l’unità del Paese è una priorità?
L’unità deve essere cercata. Perché c’è stato un periodo nel quale la divisione ha dominato, ha preso il sopravvento, frammentando profondamente le famiglie. Che ora non chiedono altro che una visione comune e condivisa.
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