Al sepolcro vuoto, le prime testimoni del giorno nuovo

“Donne al sepolcro di Gesù. Le sette mirofore tra letteratura, iconografia e liturgia” (Carocci) è il titolo del volume in cui Rocco Schembra, filologo e studioso del cristianesimo tardoantico, ricompone una trama dispersa tra Vangeli, omelie e icone bizantine. Un percorso che riunisce saperi diversi, fonti letterarie, iconografia e riti, per restituire il volto dimenticato delle prime testimoni della Resurrezione

Maria Milvia Morciano – Città del Vaticano

Un viaggio di ricerca che, con uno sguardo insieme filologico e narrativo, ricostruisce una vicenda poco nota all’Occidente: quella del culto per le "mirofore", le donne che - secondo il racconto biblico - recatesi al sepolcro per ungere il corpo di Cristo, furono le prime testimoni della Resurrezione.

Portatrici di mirra

Il termine mirofore significa letteralmente “portatrici di mirra”, la resina profumata usata per le unzioni funerarie. Rocco Schembra, ricercatore di Filologia classica e tardoantica all’Università di Torino e autore del libro Donne al sepolcro di Gesù. Le sette mirofore tra letteratura, iconografia e liturgia, edito da Carocci, ricorda che, secondo le Sacre Scritture, furono “le donne che andarono alla tomba per completare il rito della sepoltura, interrotto dal sabato”. Trovando il sepolcro vuoto, divennero così “le prime testimoni della Resurrezione”. Nei Vangeli il loro numero e i loro nomi variano: Matteo ne ricorda due, Marco tre, Luca tre, Giovanni una sola. In Occidente si impose l’immagine delle “tre Marie”, mentre la tradizione orientale fissò nel tempo un gruppo di sette donne.

Alcune pagine dal libro "Donne al sepolcro di Gesù"
Alcune pagine dal libro "Donne al sepolcro di Gesù"

Da tre a sette: una lunga storia d’Oriente

Il percorso che conduce da tre a sette mirofore è lungo e stratificato. “Fino al V secolo non se ne parla”, osserva lo studioso Schembra. Il primo a nominarle fu Esichio di Gerusalemme, seguito da Romano il Melode e da Andrea Cretese e soprattutto da Epifanio Ieromonaco, che fu il primo a portare il numero a sette. L’assetto definitivo si deve però a Damasceno Studita, nel XVI secolo, che elencò i nomi ancora oggi venerati nell’ortodossia: Maria Maddalena, Salome moglie di Zebedeo, Giovanna di Cuza, Maria e Marta di Betania, Maria di Cleopa (o di Cleofa) e Susanna. Una costellazione femminile che unisce la devozione alla memoria, e che nella liturgia bizantina ha trovato una sua festa specifica: la Domenica delle Mirofore, celebrata la terza dopo Pasqua.

Ascolta l'intervista a Rocco Schembra, ricercatore di Filologia classica e tardoantica all’Università di Torino e autore del libro " Donne al sepolcro di Gesù"

Un’indagine che ramifica tra testi, immagini e liturgia

Lo studio, durato due anni, nasce da fonti letterarie greche e bizantine, spesso mai tradotte né edite criticamente. Schembra le ha ricostruite “traducendo direttamente dai manoscritti e frequentando i luoghi in cui la tradizione è ancora viva”. Le sue ricerche lo hanno condotto nei monasteri delle Meteore e del Monte Athos, dove ha studiato cicli parietali e partecipato alle liturgie. “La terza domenica di Pasqua è dedicata alle mirofore: una festa sentita, con processioni, canti e abiti tradizionali”. Anche in Italia esiste una piccola chiesa russa intitolata alle Mirofore, a Venezia, dove tra l'altro l’autore ha presentato il libro.

Tre immagini per un’iconografia

Schembra distingue tre principali cicli parietali. Il primo, Λίθος, (lithos, “pietra”), raffigura la tomba scoperta e le donne davanti agli angeli. Il secondo, το χαίρε τον μυροφόρων, (to chaire ton Myrophoron, “il saluto delle mirofore”), mostra l’incontro tra Gesù e le due donne inginocchiate. Il terzo, Μή μου ἅπτου (Me mou aptou, “non mi toccare”), è il celebre Noli me tangere di Giovanni. Talvolta le figure raffigurate arrivano fino a dieci, segno che la memoria popolare estese il gruppo oltre le fonti canoniche. “Probabilmente – nota Schembra – il riferimento implicito è a Luca, che parla di altre donne presenti ma non nominate”.

Parole e riti di un’altra fede

Nel volume non mancano i termini tecnici della liturgia orientale, tutti chiariti in un glossario finale. Tra questi Πεντηκοστάριον (Pentekostarion), che indica sia il periodo tra Pasqua e Pentecoste, di cinquanta giorni, sia il libro liturgico utilizzato per le celebrazioni. Le fonti liturgiche, come le melodie bizantine e gli inni di Romano il Melode, rivelano un culto profondamente radicato, “tanto liturgico quanto popolare”. Nelle campagne greche, racconta Schembra, “la festa delle mirofore è occasione di canti, processioni, banchetti. È una fede vissuta, non solo recitata”.

Pagine illustrate dal libro "Donne al sepolcro di Gesù" (Carocci editore)
Pagine illustrate dal libro "Donne al sepolcro di Gesù" (Carocci editore)

Il ruolo delle donne e il dialogo possibile

Lo studio si inserisce nel più ampio dibattito sul ruolo femminile nella Chiesa. Schembra osserva che “le mirofore potrebbero costituire un modello convincente per sostenere una maggiore presenza e voce delle donne nell’istituzione ecclesiale”. Se Gesù affidò l’annuncio della Resurrezione a delle donne, “questo qualcosa evidentemente significa”. Nella riscoperta di queste figure, l’autore intravede anche un possibile ponte ecumenico: “Due grandi tradizioni, cattolica e ortodossa, potrebbero trovare nelle mirofore un terreno di incontro. Una memoria condivisa, capace di parlare ancora oggi”.

Una ricerca a più voci

Schembra individua la vera novità del suo lavoro nella prospettiva interdisciplinare. Non un’indagine limitata alla filologia o alla storia dell’arte, ma “uno studio a 360 gradi”, che riunisce testi, immagini, liturgie e persino il folklore. “Le mirofore – spiega – rappresentano una totalità: per comprenderle davvero bisogna vederle nel loro sviluppo storico, letterario e rituale”. Questa integrazione di piani, dalla parola scritta all’immagine e al canto, fa del volume un modello di ricerca capace di restituire vita alle figure dimenticate della tradizione cristiana.

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21 ottobre 2025, 11:36