Ucraina, è Bucha il nome di uno dei peggiori massacri della guerra
Stefan von Kempis - Bucha
Tra la fine di febbraio e l'inizio di marzo 2022, diverse centinaia di persone, quasi tutte civili, hanno perso la vita a Bucha, città ucraina in quel momento occupata dalle truppe russe. È al momento del loro ritiro che avviene il drammatico e sconvolgente ritrovamento di fosse comuni, con corpi con evidenti segni di tortura e sepolti con le mani legate dietro la schiena. Uno shock per l'opinione pubblica mondiale che fa avviare una indagine da parte della Corte penale internazionale su “atrocità sempre più terribili, commesse anche contro civili”, come ebbe a dire Papa Francesco durante un'udienza generale, quando parlò di "donne e bambini indifesi”, vittime “il cui sangue grida vendetta al cielo...".
Oggi, in quel luogo sorge un monumento commemorativo per le vittime. Tra i loro nomi e le date di nascita e morte è raffigurata la Pietà. Nella chiesa ortodossa proprio accanto, alcune foto mostrano lo spettacolo terribile che si presentò agli occhi del mondo tre anni e mezzo fa.
Andriy Halavin è il sacerdote ortodosso di Bucha, i suoi ricordi di quei terribili momenti sono ancora vividi.
Le prime esplosioni le sentimmo sin dalle prime ore del mattino del primo giorno di guerra. Qui vicino c'è un aeroporto chiamato Antonov che i russi volevano utilizzare per far atterrare truppe aggiuntive, e così hanno iniziato a portare lì tutti i loro aerei, elicotteri. Sono stato fortunato, perché sono riuscito a evacuare la mia famiglia nelle prime ore della guerra, quindi per me è stato tutto un po' più facile, perché almeno ero solo e non dovevo prendermi cura di nessuno. La mia famiglia era al sicuro. Sentivo le esplosioni, vedevo cose terribili, vedevo fumo e fuoco intorno a me, ma emotivamente non riuscivo ad accettare che la guerra fosse iniziata. Abbiamo tutti sviluppato la cosiddetta ‘sindrome da vita sospesa’, ovvero abbiamo messo la nostra vita in stand-by, in attesa che la guerra finisse. Un esempio per far comprendere come ci si sente: mia figlia ha iniziato ad andare a scuola nel 2014. Quest'anno ha finito la scuola e praticamente durante tutto il suo percorso scolastico la guerra non è mai finita, noi stiamo ancora aspettando che tutto questo finisca. L'occupazione è durata un mese, ma le atrocità e tutto ciò che la guerra comporta continuano ancora oggi. Gli attacchi sono costanti. Poche settimane fa, dei droni hanno colpito degli edifici a meno di un chilometro da casa mia e l'esplosione è stata così forte che lo specchio è caduto dal muro e si è rotto.
Come ha vissuto i giorni dell'occupazione? Ha parlato con i russi?
Sono stati giorni davvero difficili, pieni di paura, anche per la mia vita. Ricordo che una sera volevo portare delle candele in chiesa e improvvisamente vedo le truppe russe all'incrocio qui vicino. Ero lì, sulla strada, dovevo decidere se tornare indietro e andarmene o avvicinarmi a loro. Se mi fossi voltato per andarmene, non avrei saputo se mi avrebbero sparato o meno. Decido di avvicinarmi e di spiegare dove sto andando, che intendo portare delle candele in chiesa e mi lasciano passare. Dopo questo primo gruppo ne arriva un altro, apparentemente dello stesso reggimento; stanno lì con i fucili, mi danno le spalle e sparano a caso. Uno di questi soldati si gira verso di me e nei suoi occhi vedo un desiderio animalesco di uccidere. Oggi mi dico che sono stato fortunato ad arrivare dal lato della strada dove mi hanno lasciato passare e non dall'altro, dove c'erano quei soldati che sparavano. Mi hanno lasciato passare solo perché ho detto loro che i loro colleghi dall'altra parte mi avevano dato il permesso. Ma la paura di perdere la vita era sempre presente.
E come ha vissuto il momento in cui il mondo ha scoperto i crimini di Bucha?
Eravamo impegnati a recuperare i cadaveri da questa fossa comune qui sotto, dove si trova il monumento commemorativo. Per quasi due mesi e mezzo ci siamo occupati a identificare questi corpi e poi a dare loro una sepoltura adeguata. Sono stati quindi riesumati, identificati e portati al cimitero per essere sepolti. Quasi tutti i cadaveri sono stati riconosciuti, il che è stato un processo molto lungo, poiché è stato necessario effettuare il test del DNA. Abbiamo ricevuto aiuto dalla Francia, che ha inviato qui una squadra di esperti con attrezzature speciali, molti corpi non erano più riconoscibili. Per questo motivo il processo di identificazione è durato più di due mesi e mezzo".
Come affrontate oggi questo trauma? Ritiene possibile il perdono?
Nella nostra comunità ci aiutiamo molto a vicenda. Anch'io ricevo un grande sostegno emotivo dagli altri. E dico sempre che prima o poi arriverà il momento del perdono. Non possiamo vivere pieni di odio, ma non possiamo nemmeno, come dire, chiudere definitivamente con il passato. Quando avverrà questo perdono? Al momento non siamo ancora pronti per questo. Posso dire che probabilmente saremo pronti a perdonare quando i russi saranno pronti a chiederlo, il perdono. Ma quando accadrà? Nessuno lo sa. I giornalisti, così come le persone, che vengono qui ci chiedono se possiamo perdonare i russi. A questa domanda rispondo sempre con un'altra domanda: credete che i russi vogliano il nostro perdono? Ne hanno davvero bisogno? Al momento nessuno lo chiede. Per noi la cosa più importante in questo momento è che questa guerra finisca. E preghiamo per la pace. La questione fondamentale però è vedere che tipo di pace ci sarà. Deve essere giusta.
Cosa dice ai membri della sua comunità riguardo all'odio e al perdono quando predica?
Cerco semplicemente di confortare i membri della mia comunità in qualche modo, per alleggerire almeno un po' il peso di questo odio che ognuno porta dentro di sé, cercando anche di aiutarli a ritrovare la felicità, perché nonostante tutto meritiamo di essere felici. L'Occidente non sempre capisce veramente le ragioni di questa guerra. Per noi questa guerra non è una guerra per riconquistare territori. Per noi questa guerra è una guerra per la sopravvivenza della nostra identità, che ci viene negata.
Dopo aver vissuto tutto quello che ha vissuto lei, come si fa a mantenere la fede?
La guerra è un contesto che può davvero distruggerti oppure rafforzare la tua fede. Ascoltando i soldati, si sente ripetere spesso che nelle trincee non ci sono atei. Nelle trincee le persone riflettono sulla loro fede, quando non hai davvero più nessuno a cui chiedere aiuto e ti trovi in una situazione in cui conta solo la sopravvivenza, ti rivolgi a Dio, anche se fino a quel momento forse non lo avevi mai disturbato con le tue preghiere. In quel momento ritrovi davvero la fede. Si potrebbe anche dire: rafforzi la tua fede cercando di sopravvivere. Ed è proprio quello che cerchiamo di fare.
Dov'era Dio qui a Bucha mentre accadevano tutte queste cose terribili?
Molti giornalisti mi pongono questa domanda un po' provocatoria, e io rispondo sempre che Dio è sicuramente qui! Ma non è Dio che è venuto a sparare, non è Dio che è venuto a uccidere, siamo stati noi, gli esseri umani. E quindi dobbiamo sempre ricordare che è l'uomo che decide effettivamente cosa fare, perché Dio lascia a lui la decisione se uccidere o meno. E così, se da un lato, in questa guerra sono davvero disilluso da determinate persone, dall’altra parte, però, la mia fede è stata rafforzata proprio dal fatto di aver visto altre persone che sono venute qui per aiutare, o che hanno aperto le loro case ai rifugiati e forniscono aiuti umanitari. Quando si vede una cosa del genere, la fede si rafforza.
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