L'incontro di padre Renato Chiera oggi con Papa Leone XIV al termine dell'udienza generale L'incontro di padre Renato Chiera oggi con Papa Leone XIV al termine dell'udienza generale 

Padre Renato Chiera: "In Brasile la mancanza d'amore fa più male di una bomba"

Il missionario piemontese, che nel 1986 ha fondato Casa do Menor, ha salutato oggi Leone XIV al termine dell'udienza generale: "Nel Papa si incontra la Chiesa intera. Noi non evangelizziamo con le parole, ma con i gesti. Gesù faceva così: prima agiva, poi parlava. E la parola che riassume tutto è presenza. Essere lì, tra la gente"

Guglielmo Gallone - Città del Vaticano

«La mancanza d’amore fa più male di una bomba: genera odio, violenza, disperazione. Per quarant’anni, accanto ai poveri del Brasile, ho visto che il primo passo per ogni riscatto è far sentire le persone amate. Solo dopo possono studiare, lavorare, cambiare vita». Padre Renato Chiera parla ai media vaticani con la consapevolezza e la calma di chi ha attraversato intere generazioni di dolore e risurrezione tra le strade del più grande Paese sudamericano. Fondatore di Casa do Menor, un'associazione nata nel 1986 e cresciuta fino a contare oltre 7500 accoglienze e 5000 volontari in tutto il Paese, padre Renato è uno di quei “preti di strada” che ha scelto di evangelizzare non con le parole ma con la presenza, specie nelle cracolandie —  i quartieri delle grandi città dove si concentrano tossicodipendenza, degrado e assenza di servizi.

Ascolta l'intervista con padre Renato Chiera

L'incontro con Papa Leone XIV

Oggi, al termine dell’udienza generale, padre Renato ha incontrato Papa Leone XIV. «È sempre un’emozione incontrare il Papa - ci racconta - non importa chi sia, perché nel Papa si incontra la Chiesa intera. A Papa Leone ho portato l’abbraccio e il grazie dei meninos de rua, i nostri ragazzi di strada, il popolo delle cracolandie. Lo ho ringraziato perché si è ricordato dei poveri nella sua esortazione apostolica, Dilexi te. Gli ho poi presentato il nostro lavoro: quarant’anni di storia di Casa do Menor, un cammino di riscatto e di strada, e quindici anni di presenza nelle cracolandie. Mi definiscono un prete di strada, e lo sono, ma questa strada è diventata luogo di Vangelo. Al pontefice ho mostrato anche la Família Vida, nata da ragazzi feriti, abbandonati che hanno trovato nell’amore un motivo per consacrarsi. Il Papa si è mostrato attento, interessato e molto contento. Gli ho consegnato poi il film Dear Child (Caro figlio), che racconta la nostra esperienza, e gli ho parlato della missione in Guinea Bissau, che abbiamo aperto nel 2022, dove il vescovo lo ha invitato per i 25 anni della diocesi. Mi ha sorriso e benedetto: per me quella benedizione è stata il dono più grande». Perché, prosegue il missionario di origine piemontese, «ogni volta che incontro il Papa sento che presento alla Chiesa intera la nostra missione, che non è semplicemente sociale, ma è evangelizzazione attraverso il sociale. Non evangelizziamo con le parole, ma con i gesti. Gesù faceva così: prima agiva, poi parlava. E la parola che riassume tutto è “presenza”. Essere lì, tra la gente, condividere la loro vita, abbracciare, anche sporcarsi. È così che si trasmette l’amore di Dio».

Cosa significa essere missionario

A legare l'esperienza di padre Renato alla figura di Papa Leone c'è proprio il tema della missione: dopo aver incontrato un pontefice che è stato anche missionario, viene quindi naturale chiedere a padre Renato cosa significhi per lui essere missionario. «Non significa andare a convertire – spiega – ma andare ad amare». È un modo di vivere che si traduce in presenza, ascolto, tenerezza. «La nostra gente non si sente amata da Dio – racconta – perché spesso non si sente amata da noi, dalle nostre Chiese, che a volte sono fredde e chiuse verso chi è povero, sporco, senza scarpe. Il missionario è colui che porta la presenza gratuita dell’amore di Dio, colui che si siede accanto, che non giudica, che si fa prossimo». La sua consapevolezza nasce da un’immagine semplice, custodita come una chiamata: «Era il giorno di una prima comunione, una bella cerimonia, tante foto. Ma appena uscito ho visto dei bambini di strada e mi sono chiesto: “Come sapranno di essere amati?”. Dentro di me ho sentito una voce: “Non devi parlare di Dio amore, devi essere Dio amore”. E da allora ho cercato di vivere così».

Dal 1986 vicino ai meninos de rua

Da quell’intuizione è nata dunque una vita intera accanto agli ultimi. Nelle cracolandie di Rio, padre Renato siede accanto ai ragazzi che fumano crack e pone loro solamente due domande: Ti senti amato da qualcuno? Quali sono le tue sofferenze? È in quel momento che le difese cadono, che scendono le lacrime, che nasce la fiducia reciproca, la voglia, il coraggio di ascoltare e di interagire. Una notte passata con questi ragazzi ha ad esempio cambiato la vita di Carlos Alberto che, dopo vent’anni di strada, ora ne ha alle spalle dieci di consacrazione. Padre Renato lo ha portato con sé oggi a Roma, dal Papa, traghettandolo in futuro che mai avrebbe immaginato. Accanto a Carlos Alberto c’è Lucila Ines Cardoso da Silva, oggi presidente di Casa do Menor. «Nella nostra attività – racconta – sono tanti i volti che incontriamo e ognuno porta una ferita profonda. Ricordo un neonato, figlio di una madre tossicodipendente. Lei era una cracuda e, appena partorito, è scappata dall’ospedale lasciandolo solo. Quando mi hanno chiamato, sono andata con padre Renato a prenderlo e lo abbiamo portato a casa nostra, chiamandolo Miguel, come San Michele, come il nostro patrono». Ed è qui che torna in mente il passaggio dell’esortazione apostolica di Papa Prevost, Dilexi te, in cui si ricorda che «sul volto ferito dei poveri troviamo impressa la sofferenza degli innocenti e, perciò, la stessa sofferenza del Cristo». Miguel è diventato il simbolo di un popolo invisibile, di bambini e adulti che condividono la stessa storia di abbandono e di mancanza d’amore. «Come ha scritto Papa Leone, quando ti siedi accanto a loro e ascolti le loro storie – prosegue Lucila – vedi la sofferenza di Cristo nei poveri, quella solitudine che lo ha fatto gridare sulla croce. È la stessa assenza che vediamo negli occhi dei nostri ragazzi, l’assenza di un padre, di un amore. Ecco perché il nostro compito è farli sentire di nuovo amati, restituire loro una famiglia, una voce che dica “sei figlio”. È in quel momento che ritrovano dignità e desiderio di vivere».

I ragazzi di Casa do Menor
I ragazzi di Casa do Menor   (Casa do Menor)

La pedagogia dei non amati

Ed è proprio sull’assenza di amore e sulla necessità di ascolto che nasce una delle iniziative più belle di Casa do Menor. Tutto è basato sulla consapevolezza di padre Renato secondo cui «la più grande tragedia non è la povertà materiale, bensì la mancanza di amore». Ecco perché l’associazione ha elaborato «quella che chiamo “pedagogia dei non amati” e “pedagogia della presenza”. In nessuna pedagogia o psicologia si parla del dramma di non essere figli. Ma questa è la radice di tutto: chi non si sente amato perde fiducia in sé, non si ama e finisce per distruggersi e distruggere gli altri. Da qui nascono la violenza, la depressione, il narcotraffico. Noi cerchiamo di far capire ai nostri ragazzi l’importanza di avere una missione nel mondo, di avere un ruolo, di essere dono per gli altri. E, quando lo capiscono, liberano una forza interiore enorme». L’auspicio di padre Renato è che questa intuizione venga studiata nelle università perché «non riguarda solo il Brasile. Anche in Europa c’è una povertà del cuore: famiglie fragili, giovani senza ascolto, adulti soli. Il nostro compito è ricostruire relazioni d’amore autentiche, capaci di far sentire che la vita ha valore».

Padre Renato con i suoi ragazzi
Padre Renato con i suoi ragazzi

Tra narcotraffico e violenza

In effetti, anche Lucila conferma che «un’altra grande ferita che vediamo nella società brasiliana è la crisi della famiglia. Molti bambini crescono senza genitori, affidati a nonne, zie, o completamente soli. Così la società rischia di perdere i valori fondamentali: non conta più la persona, ma il denaro, l’immagine, il potere. Per questo dico che la violenza o il narcotraffico sono il grido di chi non è figlio amato e non ha prospettive di futuro. La nostra risposta è dare amore, famiglia, gioco, educazione, speranza. In quarant’anni di esperienza abbiamo dimostrato che questa è una vera politica pubblica di vita».

Amare le periferie umane

Era proprio questo l’ultimo messaggio lasciato da Papa Francesco nel suo incontro con padre Renato: amare le periferie umane. «Quando sono arrivato in Brasile nel 1978 - conclude il missionario - mi attiravano le periferie perché lì c’è Gesù che soffre. Papa Francesco lo ha detto con parole perfette: l’amore alle periferie non è sociologico, è teologico. Non andiamo tra i poveri solo per aiutarli, ma perché in loro incontriamo Cristo. Quando entro nelle cracolandie, tra chi vive per strada, sento che sto vivendo una comunione: loro sono “ostie vive”, presenza reale di Gesù che soffre. Ogni volta che abbraccio uno di loro, è come ricevere la comunione. In quei volti feriti, abbandonati, c’è il Cristo abbandonato. È questa la motivazione profonda della nostra missione».

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12 novembre 2025, 16:01