Le recenti incursioni del gruppo M23 nel Kivu hanno portato gli sfollati congolesi a oltre 7 milioni Le recenti incursioni del gruppo M23 nel Kivu hanno portato gli sfollati congolesi a oltre 7 milioni  (AFP or licensors)

RD Congo, l'arcivescovo Muteba: "La pace sia coesione nazionale"

Mentre a Doha e Washington si moltiplicano gli sforzi per la pace nel Paese africano, il presidente della Conferenza episcopale lancia un monito affinché "siano i congolesi stessi a sedersi attorno a un tavolo, con sincerità e verità, per costruire una pace duratura"

Jean-Paul Kamba e Guglielmo Gallone - Città del Vaticano

«Ascoltare, consultarsi, collaborare, agire insieme nella corresponsabilità»: sono questi i passaggi fondamentali di quel processo che, secondo monsignor Fulgence Muteba Mugalu, arcivescovo di Lubumbashi e presidente della Conferenza episcopale nazionale del Congo (Cenco), animano la sinodalità e ispirano l’impegno della Chiesa nella ricerca della pace tanto nella Repubblica Democratica del Congo quanto nell’intera regione dei Grandi Laghi. 

Ascolta l'intervista in francese a monsignor Fulgence Muteba

Una tabella di marcia condivisa con le altre confessioni

Ecco perché, racconta monsignor Muteba in un’intervista ai media vaticani, insieme ai pastori della Chiesa di Cristo, la Cenco ha condotto una serie di consultazioni e di incontri che hanno portato all’elaborazione di una tabella di marcia condivisa. «Percorriamo diverse città per incontrare i nostri compatrioti che si trovano in esilio e che non possono tornare nel loro Paese, incontriamo partner, dialoghiamo anche con chi è al potere», racconta l’arcivescovo, un  percorso, precisa, non inquadrabile come un’iniziativa politica, ma che al contrario risponde a un obbligo pastorale e sinodale secondo cui «la Chiesa si impegna sempre a cercare il dialogo con tutti, senza esclusioni».

Gli sforzi per la pace in RD Congo

E lo fa soprattutto adesso, mentre le iniziative internazionali per la pace stanno accelerando in un Paese segnato da una serie di guerre e ribellioni che, dal 1996 a oggi, hanno causato – secondo le stime delle agenzie umanitarie e dell’Onu – tra 4 e 6 milioni di morti, rendendo il conflitto in Repubblica Democratica del Congo uno dei più sanguinosi dalla Seconda guerra mondiale. Proprio in queste ore il presidente, Félix Tshisekedi, è arrivato a Doha, dove questa settimana dovrebbero riprendere i colloqui di pace con il gruppo armato M23, attivo nelle province del Nord Kivu e del Sud Kivu e responsabile di nuovi sfollamenti che hanno portato il numero totale degli sfollati interni a oltre 7 milioni di persone, tra i  più alti al mondo.  Tshisekedi ha spiegato che il processo negoziale prevede due tavoli, uno a Doha e uno a Washington, e che, una volta conclusi entrambi, gli Stati Uniti convocheranno «il presidente ruandese e me» per un incontro finale con l’omologo statunitense, Donald Trump, con l’obiettivo di siglare gli accordi.

«Ma le vere sfide si giocano sul terreno»

Pur incoraggiando le iniziative diplomatiche in corso, l’arcivescovo di Lubumbashi vuole però ricordare come le vere questioni per l’avvento della pace in Congo si giochino sul terreno: «Sono i congolesi stessi che devono sedersi attorno a un tavolo, con sincerità e verità, per costruire una pace duratura». E proprio in questo senso, aggiunge monsignor Muteba, «l’impressione è che questa pace tardi ad arrivare. Quello che deploro più di ogni altra cosa è la perdita di tempo e la perdita di vite umane, vite che avremmo potuto evitare di perdere se fossimo stati ascoltati. È vero, si può andare a Washington, a Doha, a Parigi, ma credo che le vere questioni si giochino sul terreno». Nonostante proprio sul terreno si fatichino a trovare nuovi spiragli,  monsignor Muteba rifiuta in partenza lo scoraggiamento: «La speranza fa parte del nostro essere cristiani. Non è ancora troppo tardi per prendere una buona decisione e rendere reale questa pace. E noi non vogliamo una pace effimera, bensì una pace veramente duratura, che non significhi soltanto assenza di guerra, ma coesione nazionale, complementarità negli sforzi necessari a costruire una società in cui i valori umani siano rispettati e in cui  lo sviluppo diventi realtà».

Sinodalità: formazione e responsabilità per una Chiesa trasparente

In questo senso, monsignor Muteba ha anche invitato il presidente della Repubblica a promuovere gli atti previsti nella tabella di marcia dei responsabili delle confessioni religiose. Di più, monisgnor Muteba sollecita a guardare all’interno della Chiesa congolese e quindi al modo attraverso cui essa veicola il proprio messaggio di pace. Le sfide sono tante e, anzitutto, specifica, «c’è quella della formazione. È molto importante, perché la Chiesa non è un’istituzione qualsiasi. Bisogna conoscere la Chiesa, la sua storia, le sue leggi. Altrimenti, di fronte all’apertura data dalla sinodalità, senza conoscere come funziona la Chiesa, si rischia di assistere a forme di anarchia, cosa che oggi non possiamo permetterci». L’arcivescovo congolese insiste inoltre sulla trasparenza e sulla responsabilità come valori evangelici, perché «il sinodo ci dice che la trasparenza e la rendicontazione non sono facoltative: sono obblighi pastorali. Ciò non deve essere percepito come un peso, bensì come un modo per  rafforzare la fiducia di coloro che ci sostengono  e per continuare l’opera di Dio. Mi aspetto che i nostri operatori pastorali integrino questa nuova cultura, così da poterne raccogliere i frutti». Così da far nascere la pace non solo nelle capitali, dove si firmano gli accordi, ma nei luoghi dove la pace deve essere vissuta: nelle parrocchie, nelle comunità, nella vita quotidiana, dove si impara a essere responsabili gli uni degli altri.

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04 novembre 2025, 11:48