I Santuari, vicini anche a chi ha fede "inquieta"
Alessandra Zaffiro - Città del Vaticano
«Credo che il tema della “missione alle genti” in questo nostro tempo di marcata secolarizzazione sia una possibile chiave per la riflessione che impegnerà i rettori dei santuari d’Italia: i santuari hanno speciali carte da giocare perché sono nati e si sono sviluppati attorno a segni capaci di interrogare anche coloro che si percepiscono distanti dalla fede praticata nelle parrocchie». È il messaggio del cardinale Roberto Repole, arcivescovo di Torino e vescovo di Susa, in occasione del 59° convegno del Collegamento nazionale dei santuari italiani (Cns) che si è aperto lunedì e si concluderà venerdì 7 novembre. Ad ospitarlo è la diocesi di Torino, dove ha avuto luogo a inizio ottobre anche il Festival della Missione. «A Torino e Susa, le mie due diocesi, — continua il cardinale Repole — ho negli occhi santuari amatissimi da tutto il popolo, anche da chi ha esperienze di fede inquieta, anche da chi ha più domande che risposte. Penso alla Madonna Consolata nel centro storico di Torino o alla basilica salesiana di Maria Ausiliatrice, alla Madonna del Rocciamelone sulle montagne di Susa, alla Sacra di San Michele, alla Madonna dei Fiori nelle campagne agricole di Bra... Amo pensare che questi luoghi accolgano i visitatori senza fare interrogatori al di là della domanda che conta: perché sei entrato? Cosa stai cercando? Cosa posso fare per te?».
Il convegno
Al convegno — sul tema “Santuario: casa di consolazione e di speranza”, che richiama il Giubileo in corso — partecipano oltre 150 rettori e operatori dei santuari da tutta Italia. In programma fino a venerdì celebrazioni liturgiche, momenti di preghiera, tavole sinodali, interventi di relatori, pellegrinaggi ai santuari di Maria Ausiliatrice - Valdocco nel capoluogo piemontese, il cui rettore della basilica, don Michele Viviano, tra gli organizzatori dell’evento, ha in particolare curato le realtà locali, della Madonnina di Verolengo, dell’Immacolata Concezione di Aosta e della Consolata di Torino.
L’incontro con Papa Leone XIV
«Le situazioni si aggravano sempre di più, non solo quelle di malattia ma anche una vita che diventa complicata nello svolgersi costante, disoccupazione, situazioni familiari difficili», spiega padre Mario Magro, rettore del santuario di Sant’Antonio di Messina, presidente del Collegamento nazionale dei santuari italiani, che di recente, insieme al direttivo, ha incontrato Papa Leone XIV: «Ci ha chiesto di continuare a far vivere Dio nel cuore della gente, che questo incontro che la gente fa con Dio possa portare luce e speranza». «La disperazione non è dei cristiani sicuramente, ma a volte capita e quindi abbiamo bisogno di infondere nuova fiducia in sé stessi e in Dio che è sempre lì accanto, non ci abbandona», aggiunge don Mario, convinto che la pietà popolare «è vissuta come un cammino nuovo di evangelizzazione». Per don Magro bisogna valorizzare i santuari in cui «come vere cliniche dello Spirito, ci si va a curare», si chiede la grazia, si attende «la presenza viva di Dio che parla al nostro cuore. La pietà popolare aiuta a riportare anche nella vita cristiana tanta gente che si è allontanata».
Accoglienza e accompagnamento
Per don Carmine Arice, superiore generale dell’Istituto Cottolengo di Torino, il cui intervento verte sul tema “Fragilità e sofferenza”, la consolazione dei pellegrini che cercano conforto in un santuario «diventa non solo la preghiera per e con loro ma anche l’ascolto delle loro domande e la ricerca condivisa di possibili percorsi che li aiuti a scoprire di essere molto di più del loro limite e delle loro fragilità». Sulla sofferenza nella malattia che può far sentire soli e abbandonati, padre Arice osserva che «la solitudine ammazza prima della morte, per questo ritengo che sia assolutamente necessario “il sacramento della presenza” cioè quell’esserci accanto ai crocifissi del nostro tempo come Maria lo è stata ai piedi della croce. Sarebbe bello che nei nostri santuari, almeno là dove è possibile, ci fossero ministri e operatori pastorali ad accogliere le persone. E forse mai come nei santuari quel “perché mi capita questo” potrebbe miracolosamente trasformarsi in “a cosa può servire questo mio patire”».
Un sostegno spirituale
«Il santuario offre sostegno prima di tutto a livello spirituale, ovvero è “specializzato” nel rimettere in contatto con Dio e nel creare le condizioni per una ritrovata amicizia con lui», spiega don Rossano Sala, docente di Teologia pastorale alla Pontificia università salesiana di Roma, la cui relazione è incentrata su “Giovani e disagio sociale”. «Risponde prima e soprattutto alla nostalgia e all’inquietudine spirituale delle giovani generazioni, così come — prosegue — alla loro povertà spirituale che si manifesta in molti modi: vuoto esistenziale, mancanza di destinazione dell’esistenza, depressione dovuta all’assenza di un senso della vita». Per don Sala il servizio singolare da offrire ai giovani in un santuario, soprattutto oggi, è quello «della confessione sacramentale. Avere confessori preparati in modo impeccabile è la vera ricchezza di un santuario, uomini di Dio capaci di intercettare la condizione dei giovani e di donare loro, oltre al perdono sacramentale, anche gli elementi per unificare la loro esistenza in Cristo e gli stimoli giusti per affrontare con forza, determinazione e coraggio le povertà che abitano» in loro.
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