In Turchia la Chiesa "piccola ma viva" che attende Papa Leone XIV
Roberto Paglialonga - Città del Vaticano
È l’immagine di una Chiesa piccola numericamente, ma viva e multiforme, quella che caratterizza la presenza cristiana in Turchia. A raccontarlo in un incontro online con la stampa - a cui hanno preso parte anche i media vaticani assieme ad altri network che accompagneranno Papa Leone nel prossimo viaggio in Turchia e Libano del 27 novembre-2 dicembre - sono padre Paolo Pugliese, che ha vissuto a Efeso, Antiochia e ora è delegato e superiore dei frati cappuccini a Istanbul, e padre Nicola Masedu, salesiano, parroco della basilica cattedrale del Santo Spirito, da quindici anni in Turchia, dopo essere stato in Libano, Iran e a Betlemme.
La realtà della Chiesa in Turchia
“Noi cattolici, in particolare, siamo considerati una realtà piuttosto significativa se non altro per la nostra identità chiara; per il profilo internazionale che ci caratterizza, con fedeli che provengono da tante parti del mondo (come africani o filippini); e soprattutto per la figura e il magistero del Papa alle nostre spalle”, spiega padre Pugliese. Le comunità cristiane si trovano a Istanbul; presso Meryem Ana Evi, vicino a Efeso, dove si trova la Casa di Maria, nella quale la madre di Gesù visse assieme all’apostolo Giovanni; nel sud, a Mersin, con l’unica parrocchia cattolica dell’area, e ad Antiochia, dove Paolo e Barnaba costituirono i primi nuclei che venivano dal paganesimo e dove i cristiani presero a essere chiamati tali. Ciò significa che “in Turchia ci sono molte Turchie, con influenze e stili di vita diversi”: per esempio, nel sud, “vi è una forte presenza di alawiti, musulmani e ortodossi, aspetto che rende storicamente stimolanti e di lunga data i rapporti con altre religioni e confessioni”. Nella portuale Smirne molte sono ancora le famiglie cosiddette levantine, di origine europea e stabilitesi qui a partire dal periodo delle repubbliche marinare di Venezia e Genova e dei fiorenti commerci con il Medio Oriente. A Istanbul, ancora, accanto ai cattolici, ci sono Chiese a tradizione orientale, come armeni, siriaci, caldei, e naturalmente ortodossi sotto il patriarca Bartolomeo, oltre a una vasta rete di realtà affini al protestantesimo (le cosiddette “Free Churches”). Certo, ammette, “alla Chiesa non è riconosciuta personalità giuridica, e questo può presentare delle criticità, tuttavia, qui è accreditato un nunzio apostolico che quindi garantisce il mantenimento di un rapporto diretto con la Santa Sede”. E l’aspetto interessante è che accanto alle attività liturgiche, “ci sono quelle caritatevoli, cioè di aiuto di vario genere, che si portano avanti per via informale o attraverso esperienze come la Caritas”.
Una presenza che risale ai primi secoli
In effetti, “non dobbiamo dimenticare – fa eco padre Masedu – che la Chiesa è qui fin dai primi secoli, vi hanno operato sei apostoli: Pietro, Andrea, Paolo, Filippo, Bartolomeo, Giovanni. Ne daremo testimonianza con un regalo a Leone, cui doneremo un calice cesellato a mano con le loro immagini in rilievo”, anticipa. E lunga è la storia di santi che hanno vissuto o sono nati in Turchia: Ignazio di Antiochia, Basilio, Policarpo, Giovanni Crisostomo, oltre a Giovanni XXIII, che fu vescovo a Istanbul per dieci anni e che “da qui contribuì a salvare, anche grazie all'intervento dell’ambasciatore tedesco Franz von Papen, non meno di 24.000 ebrei”. Ciò per sottolineare come il Paese sia sempre stato terra di incontro e accoglienza, anche nelle difficoltà, e, molte volte, amicizia tra fedeli di religioni diverse. “Ce ne ha dato testimonianza proprio Roncalli che diceva di essere orgoglioso dell’amicizia con i turchi, perché lo avevano accolto. E questo il popolo lo ha nel cuore, tanto che alla beatificazione nel 2000 gli dedicarono via Papa Roncalli”. Nei limiti della libertà “che ci è concessa si fa tutto quello che si può”, conferma. “Se ci sono delle restrizioni, le rispettiamo, sulla scia di quanto diceva Giovanni XXIII, ovvero di obbedire alle leggi insegnando anche agli altri a obbedire. Ai proclami preferiamo l’umiltà e l’esempio di Roncalli, per continuare a mantenere la presenza nelle nostre comunità”.
Padre Pugliese: la nostra missione è essere preti e pastori
Affermazione ribadita anche da Pugliese, il quale evidenzia come “la nostra missione sia quella di essere preti, pastori, e questo ci insegna anche a rispettare il campo nel quale possiamo muoverci”. Per le questioni di carattere politico o sociale a livello internazionale, infatti, “la nostra riconoscibilità è garantita dal Pontefice. Prima Francesco e ora Leone, per esempio, su Gaza hanno detto, in prima persona e mentre altri tacevano, parole significative: sentirle da loro, in queste terre non è stato secondario e ha contribuito ad accrescere la nostra credibilità”.
L’attrattività del cristianesimo anche per molti turchi
Tra l’altro, spiega ancora il frate cappuccino come questa riconoscibilità e credibilità siano aspetti attrattivi anche per “molti turchi che oggi si interessano al cristianesimo e desiderano diventare cristiani, perché scoprono di avere radici cristiane (magari perché bulgari o greci di origine); o anche giovani che hanno un interesse più diffuso. E questo rende necessarie attività di catechesi”. Anche da parte della società civile, “ci sono curiosità positiva e interesse per l’arrivo del Papa”, aggiunge il salesiano Masedu, e vuol dire che “l’importanza della religione è aumentata nel tempo anche a livello culturale”.
Dialogo ecumenico come “privilegio assoluto”
Sul dialogo ecumenico, entrambi i religiosi convengono sul fatto che la Turchia goda di un “privilegio assoluto”. “Abbiamo la benedizione della debolezza, per dirla con San Paolo”, spiega Pugliese. “Siamo tutti minoranza e questo aiuta nel dialogo, nei rapporti e nell’accoglienza reciproca, in un modo sconosciuto in altre parti. C’è una predisposizione positiva che si manifesta nella settimana dell’unità dei cristiani, e oggi con l’anniversario dei 1700 anni dal Concilio di Nicea. Anche il Papa – è la sua convinzione – con le sue visite alle comunità armene e siriache testimonierà un ecumenismo a 360 gradi: camminiamo insieme così come si cercava di fare nel 325 d.C.
Padre Masedu: la testimonianza viva di don Santoro
“Viviamo eccellenti momenti di fraternità con le altre confessioni cristiane”, conclude Masedu, che poi, rispondendo a una domanda, precisa come nel Paese sia ancora forte la memoria di monsignor Luigi Padovese, assassinato a Iskenderun nel 2010, e di don Andrea Santoro, ucciso a Trabzon nel 2006 mentre si trovava in chiesa. “In quella città oggi c’è una chiesa fiorente, con la presenza di locali e stranieri”, conclude il salesiano. “E il suo esempio ha spinto molti a venire qui per seguirne la testimonianza”.
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