La diaspora africana
Diego Boerchi *
La diaspora africana verso l’Europa e il Nord globale non è un fatto episodico, ma un processo strutturale alimentato principalmente da dinamiche demografiche, disuguaglianze economiche, conflitti e crisi ambientali. Questa, più recentemente, risponde anche a domanda di lavoro qualificato dei paesi più ricchi, rispondendo ai loro bisogni reali ma rischiando di svuotare i sistemi di origine. È il cosiddetto brain drain, che qui leggiamo anche come job attraction, ovvero un’attrazione attiva e selettiva di talenti e professionisti (sanità, istruzione, ICT) da paesi a basso reddito, con implicazioni etiche.
Il Magistero recente invita a guardare oltre l’emergenza. Papa Francesco ha sintetizzato un approccio in quattro verbi — accogliere, proteggere, promuovere e integrare — e ha richiamato la responsabilità di creare le condizioni perché le persone siano libere di scegliere se migrare o restare, cioè il diritto a non dover migrare. In questa luce, le diaspore sono risorsa di sviluppo umano integrale: lavoro, iniziativa imprenditoriale, scambio culturale, rimesse in denaro che i migranti inviano alle proprie famiglie o comunità nei Paesi d’origine. Anche il SECAM (Simposio delle conferenze episcopali di Africa e Madagascar) e diverse Conferenze episcopali africane sollecitano partenariati equi tra Chiese, Stati e società civile per rendere la mobilità più sicura e per evitare pratiche di reclutamento predatorie verso i Paesi fragili.
Una lettura sociale onesta chiede di tenere insieme diritti e responsabilità su entrambi i fronti. Per i Paesi di destinazione: vie legali di ingresso, riconoscimento rapido delle qualifiche, tutele contro sfruttamento e razzismo, percorsi di cittadinanza e politiche di co-sviluppo. Per i Paesi di origine: investimenti in istruzione e lavoro giovanile, servizi pubblici essenziali, programmi di rientro e circolarità dei saperi, governance trasparente delle rimesse. Per tutti: la consapevolezza che le persone non sono “risorse” da spostare, ma soggetti di diritti e portatrici di vocazioni, legami e culture.
La sfida è passare da una mobilità subita o manipolata a percorsi liberi e responsabili, orientati al bene comune. La comunità cristiana può contribuire accompagnando le famiglie migranti, sostenendo il riconoscimento delle competenze, promuovendo opportunità formative nei Paesi di partenza e pratiche di reclutamento etico nei Paesi di arrivo. È una via esigente, ma è la più coerente con la dignità della persona e con un’idea di sviluppo che non lasci indietro nessuno.
* Docente di Psicologia dell’orientamento presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore
Il podcast è di Diego Boerchi, curatore della voce: “La diaspora africana” del Dizionario di Dottrina sociale.
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