Padre Toni Elias con alcuni abitanti di Rmeich, estremo sud del Libano al confine con Israele Padre Toni Elias con alcuni abitanti di Rmeich, estremo sud del Libano al confine con Israele

Libano, il prete del villaggio all'estremo sud: “Si vive nella paura, il Papa ci ha dato pace"

Padre Toni Elias è parroco a Rmeich, enclave libanese al confine con Israele. Esempio di vicinanza alla gente, con il suo coraggio ha fatto fuggire i militari salvando la sua gente. “Viviamo nella incertezza per il futuro. Ci domandiamo sempre: cosa succederà ancora?”, racconta, commentando la recente visita di Leone XIV nel Paese dei Cedri: “Ha a cuore tutto il Libano. Ci ha tranquillizzato. Ha detto di lasciare le armi, volevamo sentire questo”

Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

Le esplosioni secche dei razzi in campagne e colline e il fruscio dei caccia a bassa quota sono ormai un rumore costante a Rmeich, quasi quanto le urla dei bambini che giocano per strada, le porte dei negozi che sbattono, le sterzate sul terreno sterrato di biciclette e motorini. Rmeich, enclave libanese all’estremo sud del Paese dei Cedri, governatorato di Nabatiye, nella provincia di Tyr, l’antica Tiro di memoria biblica insieme a Sidone. Un piccolo centro interamente abitato da cristiani maroniti, circondato da villaggi sciiti roccaforte di Hezbollah. Circa 10 mila i residenti l’inverno, qualcuno in più l’estate. Di questi, molti sono fuggiti durante l’ultima – ennesima - guerra al sud del Libano. Novecento famiglie sono invece rimaste “a difendere il villaggio”. A difenderlo “in modo pacifico”, semplicemente non evacuando ma rimanendo nelle proprie abitazioni. Israele è poco più in là. Già il centro del bosco è territorio israeliano e dalle colline si vedono case e antenne dello Stato ebraico. È da quel punto che partono i missili. Da dove, cioè, si nascondono le milizie che mettono a rischio questo villaggio considerato non belligerante e per questo finora risparmiato dai raid che hanno devastato la parte meridionale del Libano.

Ascolta l'intervista a padre Toni Elias

Un prete eroe

La popolazione vive comunque con la valigia in mano e la paura nel petto. “Anche se dopo la visita del Papa ci sentiamo tutti più tranquilli, più rasserenati”, racconta il sacerdote maronita, padre Toni Elias, ai media vaticani a due settimane dal viaggio apostolico di Leone XIV. Voce gentile, barba lunga e occhi chiari, è il parroco di San Giorgio a Rmeich. Una figura che ispira sicurezza e protezione, dalla quale non ci si aspetterebbe di vederlo fare ciò che ha fatto qualche mese fa e che l’ha reso famoso in tutto il Libano. E cioè scacciare a suon di campane e inseguimenti in macchina gli Hezbollah che stavano per attaccare il paesino con lanciamissili mobili che avrebbero quasi sicuramente provocato una risposta dell’IDF. Con Rmeich che sarebbe finita a un cumulo di macerie. “Beh, non è così importante…”, padre Toni si schermisce davanti alla richiesta di raccontare questo atto, a suo modo, di eroismo.

Le colline di Rmeich, al sud del Libano, confine con Israele
Le colline di Rmeich, al sud del Libano, confine con Israele

Alla fine della guerra, alcuni miliziani volevano lanciare i missili vicino alle case e alle scuole. Ovviamente non c’era la scuola, i bambini erano a casa”, spiega il sacerdote. “È venuto un signore mentre stavo in parrocchia, mi ha detto di aver litigato con delle persone che volevano lanciare i missili. Allora ho acceso la macchina, sono partito velocemente e nel frattempo ho avvisato l’ELS (Esercito del Libano del Sud) con cui sono sempre in contatto. Quando sono arrivato, non ho trovato però la base dei missili, se ne erano andati via tutti… Dopo un po’ abbiamo sentito i missili partire da una collina vicino alle case abitate, da una collina di pini e allora ci siamo ‘armati’”.

La forza della fede

Armati che si intende chiamare a raccolta tutti gli uomini del villaggio, a cominciare dai giovani, e suonare ininterrottamente le campane così da allarmare i miliziani. “Abbiamo bloccato la strada e li abbiamo inseguiti, così sono andati via”. Da dove veniva la forza di contrapporsi loro, ‘armati’ solo di sterzo e cordone del campanile, a uomini muniti di razzi e mitra, padre Toni ancora non lo sa. “Dalla fede…”, dice sorridendo, “dalla fiducia e dal coraggio che il Signore ci mette nel cuore”. Lo stesso è avvenuto lo scorso anno, quando, dopo una settimana dall’inizio dei bombardamenti israeliani, mentre celebrava la Messa a San Giorgio lui e gli altri parrocchiani hanno sentito il sibilo dei missili passargli praticamente sopra la testa. “La gente si è buttata a terra, aveva paura che cascassero sopra di noi. Io, con la forza che veniva veramente dal Tabernacolo, ho gridato due volte: ‘Non abbiate paura!”. E fra me e me ho detto: ma perché ho detto questo?”.

Il sacerdote se lo tiene caro questo ricordo, molto più di quello delle campane, perché testimonianza di una forza che non veniva da lui. “C’era qualcosa più forte di me che mi suggeriva di dire questa parola, questa frase. Mi sono girato verso il Tabernacolo e veramente ho fatto un atto di fiducia. Da quel momento non ho mai avuto paura, sono stato tranquillo, ho detto al Signore: grazie che mi hai tranquillizzato, che veramente rimani a proteggerci tutta la guerra”.

Padre Toni Elias
Padre Toni Elias

Tutti accolti

È una certezza che padre Toni Elias cerca di infondere anche in tutti gli altri abitanti di Rmeich, abituati, o meglio, rassegnati alla guerra ma che hanno sempre manifestato resistenza e accoglienza. “Nel 2006 (durante la seconda guerra israelo-libanese, ndr) abbiamo accolto quasi 30 mila musulmani in fuga dal conflitto. Sono stati rifugiati da noi nelle case, nelle scuole, in saloni parrocchiali. Ora un po’ meno perché sono stati preavvisati: andate a Tiro!”. Chiunque avrebbe bussato ad abitazioni e parrocchie, tuttavia, sarebbe stato accolto. “Noi non abbiamo nulla contro la popolazione sciita, sunnita, di altre religioni. Siamo fratelli. Non siamo contro la gente, semplicemente siamo contro la guerra. E la cosa bella è che il viaggio del Papa ha confermato quello che stiamo dichiarando, quello che stiamo annunciando: vogliamo il dialogo, non la lingua della forza, delle armi. Vogliamo impedire la guerra, vogliamo dialogare, vogliamo la pace”.

Un viaggio "iniezione di speranza"

Ecco, proprio il viaggio di Papa Leone, quello del 30 novembre - 2 dicembre a Beirut, seconda tappa dopo la Türkiye, è stato una iniezione di fiducia e di speranza per molti libanesi e, in particolare per gli abitanti di Rmeich così al confine, non solo geografico, della guerra. “Attualmente c’è un periodo di oscurità, la paura dell’avvenire: cosa succederà ancora? Si farà ancora la guerra? Troveremo lavoro? Rimaniamo nel nostro Paese oppure…? Ci sono queste domande che la gente le fa, c’è un futuro abbastanza oscuro, buio, non c’è quella chiarezza dell’avvenire, però sempre con la fiducia”, spiega padre Toni.

Tuttavia, racconta, “proprio questa mattina una delle signore, che è una professoressa, mi diceva che dopo la visita del Papa, si è sentita rasserenata. Mi diceva: avevo paura, ero sempre con la valigia pronta perché, se dovesse succedere, qualcosa partiamo subito, però ora no, ora sono più tranquilla. Veramente il Papa ci ha dato un messaggio di fiducia”.

L'incoraggiamento del Papa

Lui, padre Elias, il Papa l’ha seguito in tutti gli appuntamenti. Era in prima fila alla Messa nel Beirut Waterfront e, insieme agli altri sacerdoti, consacrati e consacrate, diaconi e seminaristi agitava la bandierina bianco-gialla del Vaticano nel Santuario di Harissa per salutare l’arrivo del Vescovo di Roma. Un Papa in Libano dopo 13 anni. Anche il sacerdote era a Bkerké, a quella sorta di Gmg che è stato l’incontro del Pontefice con i giovani del Libano e del Medio Oriente. “Quell’incontro mi ha colpito davvero tanto. Quegli inviti: rimanete fermi, voi siete il futuro, andate avanti. E pure la Messa con l’incoraggiamento al Libano a tornare a essere un testimone - come diceva San Giovanni Paolo II - di vita interreligiosa, a essere un segno al mondo intero che possiamo vivere con gli altri nella fratellanza”.

Una processione di fedeli per le strade di Rmeich
Una processione di fedeli per le strade di Rmeich

La pace, finalmente

Quello che però ha maggiormente tranquillizzato il parroco dell’ultimo villaggio al sud del Libano è il discorso conclusivo del Papa, prima del congedo e della partenza per Roma. “Veramente ha a cuore tutto il Libano, tutte le regioni del Libano che non ha potuto visitare, dal nord al sud. È la cosa veramente che la gente aspettava da lui”. Insieme a questo, l’appello a lasciare le armi: “Esatto! Lasciare le armi, questo volevamo sentire. A me veramente ha dato tanta tranquillità e non è una cosa da poco”. Per padre Elias è il segno che la Chiesa non abbandona il Paese dei Cedri. Un ulteriore segno, perché “mai” - afferma - la Chiesa ha abbandonato la gente. “Soprattutto qui al sud… Il nostro vescovo maronita di Tiro, Charbel Abdallah, non ha lasciato i suoi fedeli mai. Anche il nunzio apostolico, monsignor Paolo Borgia, ci ha visitato ben cinque volte durante la guerra. È una cosa molto importante per noi, è un segno”.

Adesso, a due settimane dalla partenza di Leone XIV dal Libano, padre Toni Elias e la sua comunità hanno un unico augurio. Un auspicio grande che si racchiude in quattro lettere: “Pace”. “L’ho detto e lo ripeterò sempre: la pace. Una pace finalmente ‘durabile’, come si dice in italiano? La pace per sempre”.

Papa Leone XIV durante l'incontro a Bkerké con i giovani del Medio Oriente
Papa Leone XIV durante l'incontro a Bkerké con i giovani del Medio Oriente   (@Vatican Media)

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16 dicembre 2025, 09:19