Mozambico, l'arcivescovo di Nampula: "La popolazione del nord ha perso tutto"
Olivier Bonnel - Città del Vaticano
La situazione degli sfollati nel nord del Mozambico "è molto difficile perché si tratta di persone che hanno perso tutto quando hanno lasciato i loro villaggi: sono fuggiti, cercando luoghi più sicuri, senza portare nulla con sé". È una situazione umanitaria drammatica quella che testimonia il presidente della Conferenza episcopale del Mozambico, l’arcivescovo di Nampula Ignacio Saure, che dal 5 al 10 dicembre scorso ha accompagnato il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, nella sua visita vicino Pemba alle comunità degli sfollati per il conflitto dell’insurrezione jihadista che dal 2017 semina paura e distruzione nel nord del Paese africano. "Nei villaggi che abbiamo visitato — racconta il presule ai media vaticani — abbiamo trovato molte persone che affermavano di non avere assolutamente nulla: niente da mangiare, niente acqua, niente assistenza sanitaria; manca tutto".
Un segno di speranza
Dalla provincia settentrionale di Cabo Delgado, al confine con la Tanzania, il conflitto si è gradualmente spostato verso sud colpendo duramente nelle ultime settimane anche la provincia di Nampula. Secondo l’Ufficio Onu per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha), oltre 100.000 persone sono fuggite dalle loro case nelle ultime settimane, portando a più di 330.000 il numero degli sfollati solo negli ultimi quattro mesi. La visita di Parolin, sottolinea l’arcivescovo, è stata accolta con grande speranza. "Ha dimostrato che il Santo Padre sta ancora seguendo la situazione a Cabo Delgado", dichiara: «Quando la gente ha saputo che sarebbe arrivato il cardinale segretario di Stato ha pensato che fosse quasi come se il Papa in persona fosse lì, che volesse sperimentare in prima persona la sofferenza della popolazione".
Serve un aiuto concreto
Il presule spiega poi che "le autorità mozambicane stanno cercando di fare qualcosa per aiutare" gli sfollati nel nord del Mozambico "ma i bisogni sono di gran lunga superiori alle loro capacità. Non direi che le autorità non stiano facendo nulla; stanno facendo qualcosa, ma è davvero insufficiente per risolvere questi gravissimi problemi". La Chiesa, in particolare le diocesi del nord, la diocesi di Pemba e l’arcidiocesi di Nampula, sono tutte mobilitate per fare qualcosa per aiutare gli sfollati a causa della guerra, soprattutto attraverso la Caritas. "Purtroppo, però, le nostre Caritas diocesane hanno risorse limitate — precisa l’arcivescovo Saure —. Queste organizzazioni dipendono da aiuti esterni. Le domande di progetto devono essere presentate e il finanziamento di questi progetti a volte può richiedere tempo. Ciononostante, la Chiesa rimane molto vicina a queste persone sfollate. Ci sono famiglie cristiane che hanno accolto diverse persone nelle loro case; ad esempio, una famiglia di cinque persone in una piccola casa ha ospitato dieci o più rifugiati".
Lo sviluppo impossibile senza la pace
Il presidente della Conferenza episcopale mozambicana risponde infine ad una domanda sulle possibili soluzioni a questa annosa crisi. "La risposta non può essere solo militare", sottolinea: "Dobbiamo assolutamente esplorare altre possibili soluzioni attraverso il dialogo e il confronto". Il presule osserva come «dall’inizio della guerra nel 2017, l’abbiamo costantemente descritta come un nemico senza volto, e questo è successo otto anni fa» per affermare "che dobbiamo assolutamente indagare sulle cause profonde di questa guerra e iniziare ad affrontare i problemi alla radice". Secondo l’arcivescovo Saure, "la cosa più importante ora è sostenere le autorità mozambicane, il Mozambico stesso, nel trovare una soluzione duratura a questa guerra. Ci sono anche le vaste risorse del nord del Paese, in particolare gas, petrolio e oro. Tutta questa ricchezza è diventata una sorta di maledizione per la regione e per il Mozambico. La soluzione, quindi, sta nello sviluppo, ma questo sarà impossibile finché la guerra continuerà".
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