Natale in Myanmar, la fiamma della speranza in una terra lacerata dal conflitto
Paolo Affatato – Città del Vaticano
È un Natale di speranza anche se senza le solite manifestazioni gioiose proprie dei giorni di festa quello che vive la comunità cattolica in Myanmar travagliato dai conflitti interni. Nelle zone centrali della nazione, dove non si combatte, insicurezza e timore permeano la vita dei fedeli che potranno recarsi in chiesa per la celebrazione eucaristica nel pomeriggio della vigilia di Natale, per una messa vissuta con intensità spirituale, ma con sobrietà. «Tante tradizioni che in passato caratterizzavano la festa dell’Incarnazione del Signore sono abbandonate. I fedeli andavano gioiosi casa per casa, ad annunciare ai vicini e ai lontani la bella notizia della nascita del Salvatore. Ora questo non si fa, a causa della guerra e del coprifuoco», racconta ai media vaticani Joseph Kung laico cattolico di Yangon, impegnato nella Chiesa locale a livello pastorale, educativo e sociale. «Parteciperemo alla messa della vigilia ma lo spirito del Natale nelle famiglie cristiane è condizionato da disagio, sofferenza e tristezza dovute alla guerra, che continua a mietere vittime e creare lutto e tribolazione», ricorda Kung. «Il nostro pensiero va agli sfollati che non cessano di giungere a Yangon dalle aree periferiche della nazione, e agli oltre tre milioni di persone che hanno perso tutto e vivono nei campi profughi o dispersi nelle foreste, per fuggire bombardamenti», ricorda. «La nostra preghiera nel giorno di Natale non può che essere una preghiera per la pace, dono che tanto desideriamo», nota.
Il dramma del nord
Nel nord del Myanmar, è particolarmente grave la situazione in città come Mindat, Bamaw e Myitkyina, mentre anche a Loikaw, nell’est del paese, e nello stato Rakhine, nella parte occidentale, gli scontri e l’emergenza umanitaria segnano pesantemente il tempo di Natale in cui la violenza non avrà tregua. Padre John Aung Htoi, sacerdote di Myitkyina, riferisce che «in quelle zone i cristiani non possono festeggiare a causa del conflitto in corso e dei bombardamenti aerei. Lo trascorreranno nei campi per sfollati interni, mentre molti restano nei boschi, dove lottano per la sopravvivenza». «Lì — prosegue — si recheranno i sacerdoti per cercare di dare una speranza alla popolazione avvilita e scoraggiata, che sopporta da quasi cinque anni un condizione di precarietà che si è andata deteriorando», rileva. «Il conforto che può portare un sacerdote che celebra la messa di Natale è molto profondo, la sua presenza è un grande dono, è una luce nell’oscurità della solitudine e del disagio», osserva, ricordando che in special modo nell’area di Banmaw la situazione è critica per l’infuriare degli scontri, data la crescente pressione militare dell’esercito sulle forze della resistenza.
La cattedrale di Cristo Re
Anche a Loikaw, città nello stato Kayah, è una ferita aperta la annosa condizione di profugo del vescovo Celso Ba Shwe che celebrerà il terzo Natale consecutivo lontano dalla cattedrale di Cristo Re, dato che il complesso cattolico è stato occupato dall’esercito birmano nel novembre 2023. «Quel luogo sacro è ancora una base militare e chissà quando sarà riconsegnato al vescovo e alla comunità», ricorda padre Htoi, parlandone come «uno dei casi simbolo di questa guerra che ha coinvolto anche luoghi di culto e opere sociali come scuole e ospedali». «A volte poi — racconta il sacerdote — in alcune aree controllate dall'esercito, i cristiani sono persino costretti a festeggiare il Natale solo per far veder che vi sono condizioni pacifiche, in vista delle elezioni del 28 dicembre», un passaggio politico con cui la giunta militare al potere con un colpo di Stato, pur controllando oggi solo il 50% del territorio nazionale, intende ottenere legittimità nazionale e internazionale.
La fiamma della speranza
In tale cornice la piccola comunità di 750.000 cattolici, circa l'1% della popolazione birmana, oggi «vive il Natale per tenere viva la fiamma della speranza, soffrendo accanto ai deboli, agli sfollati, ai poveri, mentre nel paese si registra una catastrofe umanitaria», osserva il prete birmano. Sacerdoti, consacrati, catechisti spendono sé stessi nel farsi prossimi alla popolazione sofferente. «L'apostolato di costoro è una forza vitale che dona conforto, consolazione, naturalmente anche accoglienza e aiuti materiali, dato che tante parrocchie sono divenute oasi per i profughi», ricorda, come accade nella parrocchia di Nostra Signora del Rosario a Mandalay, città colpita prima dalla guerra, poi dal terremoto del marzo scorso. Lì, ha riferito l’agenzia Fides, ci si prende cura di 650 sfollati che vivono stabilmente nel complesso della chiesa cattolica, «confidando giorno per giorno nella Provvidenza di Dio».
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