Unhcr: in Myanmar oltre tre milioni di sfollati. Il sostegno delle suore saveriane
Guglielmo Gallone - Città del Vaticano
«C’è un’altra crisi dimenticata che non riceve l’attenzione che merita: il Myanmar». Con queste parole, dal palcoscenico dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite in cui si stanno riunendo i grandi del mondo, l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, Filippo Grandi, ha richiamato l’attenzione sul Paese del Sudest asiatico travolto da una guerra civile che coinvolge una miriade di gruppi ribelli e l’esercito al potere dopo il colpo di Stato del 2021. Una guerra «molto dura e brutale», ha proseguito Grandi, che ha già costretto tre milioni di persone a fuggire dalle proprie case, «probabilmente di più, a mio parere».
Una catastrofe umanitaria
Sebbene il mondo sembri in gran parte ignorare le atrocità commesse in Myanmar, i dati più recenti forniti dall’Unhcr parlano chiaro: solo nel mese di agosto, oltre 200 mila persone sono state sfollate dalle loro case a causa o dei combattimenti o delle alluvioni. Gli sforzi delle agenzie umanitarie sono enormi, con 192.633 persone raggiunte e 138.032 persone che hanno ricevuto assistenza anche se, nelle aree colpite dal terremoto dello scorso marzo, sono 6,3 milioni le persone che hanno bisogno di assistenza immediata.
Colpiti i più giovani
Numeri dietro cui si nascondono storie, spesso giovanissime. Vengono in mente i 19 studenti uccisi pochi giorni fa nel collegio del Kyauktaw Township, nello Stato di Rakhine: avevano tra i 15 e i 21 anni e sono stati uccisi da un attacco aereo in una delle regioni più instabili del Paese, da mesi teatro di violenti combattimenti tra l’esercito e l’Arakan Army, che cerca maggiore autonomia per la provincia costiera. Un caso tutt’altro che isolato, dal momento che nel mese di agosto quasi 500 attacchi aerei hanno ucciso oltre 40 bambini e colpito 15 scuole. Eppure, proprio nello Stato di Rakhine il Programma alimentare mondiale (Wfp) ha lanciato l’allarme per l’aumento della fame e della malnutrizione che colpisce in particolare la minoranza musulmana Rohingya. Questa regione confina col Bangladesh, terra di speranza per moltissime persone appartenenti a questa minoranza perseguitata: qui oltre un milione di Rohingya sono riusciti a trovare rifugio. Chi non riesce a fuggire è sottoposto a un atroce destino: sempre secondo Unhcr, circa 620 mila persone appartenenti a questa minoranza musulmana sono oggi apolidi o detenuti.
L'amore per la missione di suor Anna Teresa
Neanche nel sud del Paese è facile spostarsi, come racconta ai media vaticani suor Anna Teresa, delle suore di San Francesco Saverio di Myanmar: «Durante la visita pastorale alle nostre comunità, situate tra Myeik e Dawei, dove sono presenti sia il governo militare sia truppe ribelli come il Knu (Karen National Union), il Knla (Karen National Liberation Army) o il Pdf (People’s Defense Force), abbiamo impiegato otto ore per un viaggio che, normalmente, ne richiede quattro». Suor Anna Teresa spiega come «il motivo del ritardo è dovuto al fatto che il nostro autista doveva fermarsi a ogni stazione militare per mostrare i documenti d’identità e pagare una tassa per ogni passeggero. Queste stazioni, appartenenti a varie truppe, si trovavano a solo un chilometro di distanza l’una dall’altra e qui tre o quattro soldati ci controllavano, facendo domande assurde. Noi rispondevamo con chiarezza e rispetto: tremavamo alla vista delle armi. Alcuni passeggeri ci raccontavano che eravamo state fortunate perché non ci sono stati scontri sul terreno né era in vigore la legge che proibisce di viaggiare dalle 18:00 alle 6:00». Ma, conclude la missionaria, «noi abbiamo deciso di affrontare questa avventura per amore della missione, per le nostre consorelle e per il loro popolo, soprattutto per i bambini e i ragazzi che vivono con noi, per il loro futuro, la loro educazione e la loro dignità. Siamo state felicissime di vedere nei loro occhi la speranza: una speranza che, nonostante tutto, non si è spenta, anche se la sua fiamma è sempre più fragile».
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