Le grandi sfide del Nepal dietro le ultime manifestazioni
Giada Aquilino - Città del Vaticano
L’oscuramento delle piattaforme social che non avevano rispettato l’obbligo di registrazione, la disoccupazione e la corruzione. Sono i motivi che nelle scorse settimane hanno portato in piazza i giovani del Nepal, la cosiddetta Generazione Z, in una protesta sfociata poi con le dimissioni del primo ministro Sharma Oli e la nomina ad interim di Sushila Karki, prima donna a rivestire l’incarico nel Paese asiatico. «All’inizio di settembre, il Nepal stava già affrontando gravi sfide, tra cui la povertà diffusa, l’elevata disoccupazione giovanile e la forte dipendenza dalle rimesse dei nepalesi che lavorano all’estero per sostenere le loro famiglie», spiega da Kathmandu ai media vaticani Arpana Karki (nessuna parentela con il nuovo capo del governo, ndr), program manager del dipartimento per la gestione delle catastrofi di Caritas Nepal.
Le proteste
Secondo le stime della Banca mondiale, oltre il 20% dei giovani nepalesi tra i 15 e i 24 anni è disoccupato e il Prodotto interno lordo annuo pro capite non arriva ai 1.450 dollari. Le proteste, esplose l’8 settembre, sono state represse con forza, con un bilancio finale di oltre 70 vittime, più 2.100 feriti, oltre 14.000 detenuti evasi dalle carceri, di cui circa 7.000 ricondotti poi in custodia. I disordini, i più gravi dall’abolizione della monarchia nel 2008, hanno costretto alle dimissioni il primo ministro Oli — leader del Partito comunista, per quattro volte alla guida del governo negli ultimi dieci anni — ma le manifestazioni non si sono fermate. Il 9 settembre la contestazione ha preso di mira le sedi del Parlamento, dei ministeri, della Corte suprema e di altri tribunali, nonché le abitazioni private dei leader politici, con devastazioni e edifici dati alle fiamme, e una quarantina tra carceri e riformatori.
Il 12 settembre l’ex presidente della Corte suprema, Sushila Karki, sostenuta anche dai leader del movimento giovanile, è stata nominata primo ministro ad interim dal presidente della Repubblica, Ram Chandra Poudel. Subito dopo il suo giuramento, la Camera dei rappresentanti è stata sciolta e sono state indette elezioni per il 5 marzo 2026. Tra i primi atti del nuovo governo, c’è stata l’istituzione di una commissione d’inchiesta sulle violenze durante le proteste.
Le precedenti mobilitazioni
Prima delle dimostrazioni della Generazione Z, il Nepal aveva comunque «già assistito a due movimenti significativi all’inizio dell’anno che riflettevano le crescenti tensioni sociali e politiche», riferisce Arpana Karki. «A marzo – ricorda — i sostenitori delle fazioni filo-monarchiche erano scesi in piazza, con raduni, manifestazioni e alcuni scontri con le forze di sicurezza, interrompendo la vita quotidiana e generando paura tra la popolazione. Il movimento aveva messo in evidenza le persistenti divisioni politiche e l’insoddisfazione» nei confronti del precedente esecutivo. Poi ad agosto gli insegnanti avevano «lanciato proteste e scioperi, chiedendo salari più alti, condizioni di lavoro migliorate e riforme governative nel settore dell’istruzione», con la conseguente chiusura temporanea di scuole e college e l’interruzione delle lezioni per gli studenti, in un quadro che ha fatto aumentare «la frustrazione dell’opinione pubblica». Quindi, ribadisce la rappresentante di Caritas Nepal, nei mesi che hanno preceduto le manifestazioni di settembre, «la popolazione stava già vivendo un periodo di incertezza, interruzioni dei servizi e crescenti preoccupazioni per la governance, la povertà e la disoccupazione giovanile»: e ora la serie di proteste, i disordini, le incognite politiche, le fragilità sociali potrebbero rendere le persone ancora «più vulnerabili».
Durante i periodi di tensione sociale, la «Caritas ha monitorato attentamente gli sviluppi per valutare l’impatto umanitario sulle comunità, come gli sfollamenti, l’interruzione dei servizi essenziali e lo stress psicologico o sociale», pur non partecipando come organizzazione — ci tiene a precisare Karki — ad «attività politiche» o dibattiti in tal senso e operando in un contesto in cui, «sebbene il Nepal sia un Paese laico», l’induismo rimane maggioritario e le comunità cristiane minoritarie.
La Caritas accanto alla popolazione
Con una «rigorosa neutralità per garantire che la sua missione umanitaria sia efficace e imparziale», Caritas Nepal rimane accanto a chi è nel bisogno, come lo è stata per le popolazioni colpite il 25 aprile 2015 da un terremoto di magnitudo 7.8, che nel Paese ha ucciso quasi 9.000 persone e lasciato circa 3,5 milioni di senzatetto. A gennaio scorso, peraltro, la nazione ha rivissuto quell’incubo di dieci anni fa, quando il sisma in Tibet è stato avvertito anche in Nepal: le scosse hanno ricordato «in modo drammatico il rischio sismico costante del Paese e la vulnerabilità delle comunità nella regione himalayana», evidenzia Karki. Oggi Caritas Nepal, aggiunge, «continua a promuovere la costruzione di rifugi antisismici per proteggere le popolazioni vulnerabili: dopo il terremoto del 2015 ne ha costruiti oltre 4.700, il numero più alto nella sua storia. Nel novembre 2023, con il sostegno di varie organizzazioni membri di Caritas Internationalis, ha costruito 625 rifugi temporanei nel distretto di Jajarkot per le famiglie colpite dal terremoto. Nel 2024 sono seguiti altri 31 rifugi antisismici e per far fronte alle alluvioni e attualmente ne sono in costruzione 27 nel distretto di Bardiya, con il sostegno finanziario di Caritas Italiana. Queste iniziative — sottolinea — riflettono l’impegno costante di Caritas Nepal nella preparazione alle catastrofi, nella resilienza delle comunità e nella protezione delle famiglie vulnerabili». Come lo sono anche i progetti per la sicurezza alimentare e i mezzi di sussistenza, iniziative che «hanno raggiunto più di 7.000 beneficiari», tra cui persone con disabilità, Dalit, storicamente emarginati, e famiglie con a capo una donna, promuovendo «mezzi di sussistenza sostenibili, un’agricoltura climaticamente intelligente e una sicurezza alimentare a lungo termine», perché «la nostra speranza è quella di accompagnare le persone non solo nei momenti di difficoltà, ma anche nella costruzione della resilienza, nella promozione della solidarietà e nella difesa della loro dignità». Oggi si guarda al futuro «con ottimismo, mentre il Paese attraversa una fase di transizione sotto il nuovo governo provvisorio e si avvia verso una leadership pienamente eletta», sulla strada di una «governance più responsabile», di una «maggiore inclusione» e di un futuro «più luminoso e pieno di speranza» per tutti i nepalesi.
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