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In Sudan, dove si continua a morire nell'indifferenza del mondo

Nella città di El Fasher, assediata dalle Forze di supporto rapido, la popolazione non ha più né acqua né cibo: migliaia le persone che perdono la vita a causa degli stenti. Ieri un drone ha colpito un mercato uccidendo almeno 25 persone, tra cui donne e bambini. Un testimone oculare: "Gli aiuti umanitari bloccati dai miliziani. La comunità internazionale è impotente davanti a tanto male"

Federico Piana - Città del Vaticano

Un drone si alza in volo, sosta per un attimo sulle teste di alcune persone in fila per cercare di procurarsi almeno un tozzo di pane, poi inizia a sparare all’impazzata uccidendone almeno 15  e ferendone altre 12. Tra loro anche donne e bambini.

Ennesima strage

Ieri, in un mercato di El Fasher, si è consumata un’altra mattanza. L’ennesima, che è tornata ad insanguinare la capitale assediata dello Stato sudanese del Darfur settentrionale stretto in una morsa a tenaglia dalle milizie rivoluzionarie delle Forze di supporto rapido (Rsf) che con l’esercito governativo hanno ingaggiato una guerra che ha già procurato troppo dolore e troppe vittime.

Città allo stremo

Nella città blindata non entra e non esce nulla che l’Rsf non voglia. Nessuna possibilità di fuggire perché chi ci prova viene fermato ai posti di blocco, rapinato e, se va male, fucilato sul posto. Ma anche niente cibo, niente medicinali, niente acqua.

Non hanno più nulla

Una fonte estremamente attendibile che vuole mantenere l’anonimato per ragioni di sicurezza ci racconta che la gente da settimane sta morendo di fame: «Non hanno più nulla da mettere sotto i denti. Chi può vive di frutti e bacche. Ad uccidere non sono solo le pallottole e le bombe». Una volta alcune organizzazioni umanitarie avevano provato a far entrare in città dei camion con degli aiuti umanitari ma non c’è stato nulla da fare: le Forze di supporto rapido hanno bloccato le vie di collegamento. «Sono come topi in trappola, senza via di scampo. Fino ad alcuni mesi fa l’esercito riusciva a inviare cibo con dei paracadute ma con il passare del tempo l’Rsf ha sviluppato le difese antiaeree rendendo di fatto impossibile continuare». 

Non solo droni

E se si riesce a sopravvivere mangiando scarti e radici si rischia di perdere la vita in un bombardamento o in un’incursione aerea, ormai sempre più numerosi. Il nostro interlocutore rivela che l’uso dei droni è diventata una tragica ritualità: «Come quando, venerdì scorso, è stata colpita la moschea durante l’ora della preghiera. Ma anche quando, diversi mesi fa, fu ucciso l’unico prete cattolico rimasto ad El Fasher. I droni, però, non sono solo l’unico strumento di morte: spesso, appostati da fuori città, utilizzano l’artiglieria pesante. E i loro obiettivi preferiti sono le case dei civili». 

Città strategica

Per capire le ragioni dell’assedio di El Fasher, la nostra fonte ci invita a notare come la chiave di lettura sia nell’importanza strategica di quella che nei secoli passati era una stazione di sosta delle carovane che metteva in collegamento tutta la nazione: «E questo ruolo essenziale per le rotte commerciali che si sviluppano soprattutto dall’est verso il centro della capitale, Khartoum, è rimasto intatto. Conquistare definitivamente El Fasher, quindi, vorrebbe dire anche avere la possibilità di spostare liberamente carichi di armamenti da far giungere nelle zone già controllate dall’Rsf». E qui si aggiunge un altro tassello da non sottovalutare, spiega la fonte: «La regione del Darfur è divisa in 5 Stati. Quattro di essi sono ormai sotto il controllo dei ribelli dell’Rsf mentre El Fasher è l’ultima città ancora controllata dal governo: farla cadere vorrebbe dire avere in mano definitivamente tutto il Darfur.

Chiesa provata

Dopo l’uccisione dell’ultimo sacerdote, nella città assediata non c’è più nemmeno l’ombra di preti, suore, religiosi.  Difficile, quasi impossibile, confida la nostra fonte, sapere anche quanti cristiani siano ancora presenti. Non ci sono notizie certe di chi è riuscito a fuggire e non si riesce a sapere neanche  chi sia stato ucciso o sia morto di fame: «Fin quando hanno potuto, ci sono stati missionari che hanno aiutato i cristiani a fuggire in altri posti sicuri. In tanti hanno trovato rifugio nelle zone di Port Sudan. Ma ora questo aiuto non si può più dare». 

Sfollati, questione mondiale

La questione degli sfollati è addirittura diventa un caso mondiale. Le persone che per fuggire dalla guerra hanno abbandonato le proprie case hanno superato i 14 milioni: «Non c’è un conflitto sulla terra — fa notare il nostro interlocutore — che abbia provocato un numero tale di sfollati come questo. La maggior parte di loro ha trovato rifugio all’interno del Paese mentre una minoranza ha preferito riparare in Sud Sudan, Egitto, Ciad. Recentemente, abbiamo anche registrato un piccolo flusso di persone che sta tentando di ritornare nei propri villaggi d’origine».

Comunità impotente

Se proprio l’altro ieri, aprendo i lavori dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, aveva chiesto alle nazioni che in Sudan stanno sostenendo le fazioni in lotta di «smettere subito il loro sostegno», la nostra fonte lamenta che, in fondo, «non esiste la volontà reale di far terminare il conflitto con una trattativa. Mi sembra davvero che la comunità internazionale sia  completamente impotente».

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25 settembre 2025, 15:04