Un talebano afghano a Spin Boldak, durante una pausa degli scontri tra Afghanistan e Pakistan Un talebano afghano a Spin Boldak, durante una pausa degli scontri tra Afghanistan e Pakistan 

Il difficile dialogo tra Afghanistan e Pakistan

Attesa a Istanbul la ripresa dei negoziati per una tregua duratura. L'analista Giuliano Battiston: ad oggi rimane "molto difficile" trovare un compromesso e appare altrettanto arduo "che i talebani di Kabul accettino la condizione primaria chiesta dal governo pachistano", quella di prendere le distanze dai jihadisti del Ttp

Giada Aquilino - Città del Vaticano

Ripresa dei colloqui negoziali a Istanbul per raggiungere una tregua duratura. È quanto hanno stabilito Afghanistan e Pakistan dopo che una prima tranche di trattative tra le rispettive delegazioni, iniziata nel weekend e mediata da Turchia e Qatar a seguito di un cessate-il-fuoco provvisorio, era naufragata nelle scorse ore. I team di negoziatori dei due Paesi si trovano ancora nella città turca per tentare di scongiurare una ripresa degli scontri al confine, che questo mese hanno causato decine di vittime. La tensione è salita con le esplosioni del 9 ottobre a Kabul e nella zona di Paktika che i talebani, tornati al potere in Afghanistan nell’agosto 2021, hanno attribuito al vicino Pakistan. Per rappresaglia, hanno lanciato un’offensiva al confine, alla quale sono seguiti raid di Islamabad. Secondo l’Onu sono stati uccisi almeno 50 civili e circa 450 sono rimasti feriti solo sul versante afghano. Le nuove violenze si inseriscono nel contesto di ricorrenti attriti alla frontiera, alimentati da problemi di sicurezza. Islamabad accusa Kabul di dare rifugio a formazioni terroristiche guidate dai talebani pakistani del Tehrik-e-Taliban Pakistan (Ttp), ai quali viene attribuita l’uccisione di centinaia di soldati.

Il nodo del Ttp

Ad oggi «rimane molto difficile trovare un compromesso che vada bene ad entrambe le parti e che la tregua, per ora sulla carta e provvisoria, diventi veramente solida», osserva Giuliano Battiston, ricercatore e giornalista di Lettera 22. Appare altrettanto arduo, aggiunge, «che i talebani di Kabul accettino la condizione primaria chiesta dal governo pachistano, che è quella di dare segnali inequivocabili contro gli esponenti del gruppo di jihadisti del Ttp». Soltanto quest’anno, fa notare, «sono almeno 600 gli incidenti di natura militare o gli attacchi che sono stati attribuiti al Ttp, una coalizione che è nata come reazione alla “guerra al terrore” scatenata dagli Stati Uniti, quando attorno al 2007-2008 alcuni militanti, perlopiù pachistani delle aree di frontiera ma anche con altre cittadinanze dell’Asia centrale, si sono uniti. Questo cartello mira a tre obiettivi principali: rovesciare il governo di Islamabad, contrastare l’accorpamento della provincia delle aree tribali in quella che si chiama Khyber Pakhtunkhwa e far rilasciare tutti i militanti arrestati fin qui».

Ascolta l'intervista con Giuliano Battiston

I gruppi jiadisti dell'area

Nell’evidenziare che da quando i talebani sono tornati al potere a Kabul il Ttp ha intensificato gli attacchi all’interno del Pakistan — «e questo da Islamabad viene visto come un segnale di promiscuità, di vicinanza eccessiva» — Battiston inquadra tali miliziani come «il frutto di quella politica controproducente cha ha favorito la nascita di gruppi jihadisti». Alcuni di tali movimenti, prosegue, «sono quelli che una parte dell’establishment militare pachistana ha aiutato ad affermarsi in funzione anti indiana, perché sappiamo esserci un lungo contenzioso con l’India sui territori del Kashmir», senza dimenticare l’ultima escalation tra New Delhi e Islamabad sfociata in un conflitto armato solo a maggio scorso. I talebani afghani, da parte loro, «hanno ricevuto molto sostegno nel tempo, ma da quando sono tornati al potere, non intendono farsi indicare la via dal vicino».

Il confine lungo oltre 2.600 km

Quella degli oltre 2.600 km di confine rimane poi «una zona molto permeabile, di attraversamenti continui, non solo di merci mediante i valichi ufficiali ma pure di jihadisti e al contempo di migranti, un’area dunque difficile da controllare». Si tratta peraltro di territori più volte colpiti da terremoti — l’ultimo devastante sisma a fine agosto scorso ha causato almeno 2.200 vittime in Afghanistan, in un momento di grave crisi economica e alimentare per un Paese già al collasso — e «di difficilissimo accesso con valli remote e aree montagnose». Non è un caso, segnala ancora l’analista, «che la branca locale del sedicente stato islamico, la cosiddetta provincia del Khorasan, abbia trovato rifugio molto a lungo in quelle zone». In tale contesto di instabilità, si inserisce inoltre, la decisione del Pakistan di «avviare ormai da due anni una politica di rimpatrio, anche forzato, di tantissimi afghani che avevano trovato rifugio o che erano andati a lavorare oltre confine e che adesso vengono rispediti in un Afghanistan con forti problemi economici e di tenuta sociale».

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30 ottobre 2025, 13:17