Nei villaggi del Burkina Faso per fermare la guerra dell'acqua
Vincenzo Giardina - Città del Vaticano
Non chiamatelo conflitto religioso e neppure lotta di potere tra l’esercito regolare, da un lato, e dall’altro i gruppi armati. All’origine delle violenze che continuano ad attraversare il Burkina Faso c’è, anzitutto, una competizione per le risorse, a partire dall’acqua: nel cuore del Sahel, siccità sempre più lunghe stanno portando milioni di persone allo stremo. Secondo Abdouraouf Gnon-Kondé, responsabile regionale dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr), nell’area le persone costrette a spostarsi a causa di violenza, insicurezza ed “effetti devastanti” del cambiamento climatico sono circa quattro milioni. Molte di loro sono cittadine del Burkina Faso, un Paese privo di accesso al mare e non attraversato da fiumi di grande portata come il Senegal o il Niger.
Non piove quasi mai
È una mappa quasi del tutto priva di azzurro quella esposta al Musée de l’eau, alle porte della capitale Ouagadougou. Secondo il suo fondatore, il sociologo e antropologo Alassane Samoura, intervistato dall’emittente turca Trt, gli spazi espositivi sono visitati ogni mese da 400 o 500 studenti, che si rendono conto di come la questione sia decisiva. “La stagione umida dura appena tre mesi”, sottolinea l’esperto, “le precipitazioni sono comprese tra i 400 e i 1200 millimetri e comunque ci sono regioni dove non piove affatto”. A confermare “un’acuita difficoltà nell’accesso ai mezzi di sostentamento e in particolare alle fonti idriche, essenziali per i pascoli e l’agricoltura” è Marco Lombardo, a Ouagadougou con Progettomondo, ong veronese parte della Federazione degli organismi di volontariato internazionale di ispirazione cristiana (Focsiv).
Rafforzare la coesione sociale
Il cooperante non offre solo una testimonianza: il suo è anche impegno in favore della coesione sociale e della pace. Lo strumento è “Sur les Chemins du Dialogue”, un’iniziativa di Progettomondo supportata dai fondi dell'8xmille alla Chiesa cattolica: ha il volto di giovani, agricoltori, pastori, rappresentanti di comunità e religiosi, cristiani, musulmani o custodi di altre tradizioni, che sono alla ricerca insieme di soluzioni possibili. Lombardo parla di “spazi di confronto e forum di promozione della coesione sociale”. Si tratta di incontri con una prospettiva locale, organizzati per e con chi vive le difficoltà. “Il tentativo”, spiega il responsabile di Progettomondo, “è coinvolgere attori chiave in un contesto multiculturale e multireligioso come quello del Burkina Faso”. A livello nazionale, il capo dello Stato Ibrahim Traoré sta cercando di respingere i gruppi armati, con interessi spesso diversi tra loro e appartenenti a più formazioni, di matrice salafita come Jama’at Nusrat al-Islam wal Muslimin (Jnim) ma non solo. Parte della strategia militare, per ridurre le aree a rischio incursioni, è l’arruolamento di civili come ‘Volontaires pour la défense de la patrie’.
Dialogo e riconciliaizone
Poi c’è l’impegno per la pace dal basso, villaggio per villaggio. Progettomondo riferisce di quasi 45mila persone coinvolte attraverso 5.212 "spazi di dialogo comunitario". Settanta invece i villaggi, che attraverso loro capi o rappresentanti hanno firmato sette diverse intese di "pace". Altri contributi hanno la forma di “chartes villageoises”, documenti sull’uso locale delle terre, dell’acqua e dei pascoli. Ascoltiamo anche Adama Ouedraogo, dell’associazione Watinoma. “Gli abitanti di due quartieri non si parlavano più a causa di una disputa su alcuni terreni” ricorda l’attivista. “Ci siamo impegnati a favorire degli incontri e, alla fine, in un pomeriggio arso dal sole, all’ombra della tettoia di una capanna, tutti hanno potuto presentare le proprie ragioni e c’è stata una riconciliazione”. Secondo Ouedraogo, “in occasioni di battesimi, funerali o altri momenti sociali, ora gli uni hanno ripreso a rendere visita agli altri”.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui