Azione contro la Fame: nel mondo 200 milioni di persone in crisi alimentare
Sara Costantini - Città del Vaticano
Circa 200 milioni di persone nel mondo vivono una condizione di crisi alimentare e 30 milioni di bambini soffrono di malnutrizione. Sono numeri che raccontano un'emergenza globale sempre più profonda e complessa, che è quella che Azione Contro la Fame ha fotografato nella “Mappa delle 10 (+3) principali emergenze alimentari globali”, presentata oggi, 9 ottobre, alla Triennale di Milano, nell'ambito dell'inaugurazione delle giornate contro la fame.
Le crisi alimentari aumentano
“La mappa fotografa un mondo in cui le crisi alimentari si stanno intensificando, mentre i finanziamenti per farvi fronte diminuiscono”, spiega Simone Garroni, direttore generale di Azione Contro la Fame Italia. “L'iniziativa in corso, Giornate contro la fame, che ha come sottotitolo ‘nell’emergenza e per l’autonomia, in Italia e nel mondo’, è una mobilitazione che vuole coinvolgere istituzioni, aziende, ristoranti, scuole, famiglie e opinione pubblica per sensibilizzare sul fatto che le crisi alimentari stanno aumentando e si stanno intensificando. Questo richiede sempre più interventi di emergenza, in un contesto però in cui i finanziamenti stanno invece decrescendo”. Secondo Garroni, il rischio è quello di distogliere risorse e attenzione dai programmi di costruzione dell’autonomia, “che sono l’unico modo per risolvere strutturalmente la fame cronica”.
Dieci Paesi in emergenza
Dalla mappa emerge che due terzi delle persone in crisi alimentare si trovano in dieci Paesi: Nigeria, Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Bangladesh, Etiopia, Yemen, Afghanistan, Pakistan, Myanmar e Siria. A questi si aggiungono tre contesti particolarmente colpiti, Sud Sudan, Haiti e la Striscia di Gaza, scelti per l’elevata percentuale di popolazione in stato di fame acuta. “Abbiamo visto che la gravità e l’intensità di queste crisi stanno aumentando - sottolinea Garroni - tanto che cresce il numero di persone in fase di carestia.” I fattori che alimentano queste crisi sono principalmente tre: conflitti e violenze interne, catastrofi naturali legate al cambiamento climatico e shock economici. “Questi elementi si sommano e agiscono in contasti fragili, con istituzioni deboli e disuguaglianze strutturali, generando crisi che le istituzioni locali faticano a gestire” spiega Garroni. A peggiorare la situazione, si sono le difficoltà all’accesso umanitario. “Lo vediamo a Gaza - aggiunge - ma lo stesso accade in molti altri Paesi. Questi impedimenti rendono impossibile un intervento tempestivo, efficace e diffuso”.
Un approccio integrato e duraturo
Il metodo di Azione Contro la Fame si basa sul cosiddetto “doppio nesso” tra umanitario e sviluppo. “L’emergenza serve a garantire la sopravvivenza immediata - nutrizione, igiene, riparo, acqua pulita - ma ogni intervento deve essere pensato anche in un’ottica di costruzione dell’autonomia a lungo termine,” spiega Garroni. “Questo significa coprogettare con le comunità locali, dare protagonismo alle persone che conoscono la propria storia e i propri bisogni. Gli interventi devono agire sui fattori di prevenzione delle crisi: nutrizione, sicurezza alimentare, servizi sanitari di base, formazione e sostegno alle attività che generano reddito e quindi autonomia. Fermare la fame è possibile solo adottando un approccio integrato.” Questo approccio vale tanto nei Paesi del Sud del mondo quanto in Italia, dove il fenomeno della povertà alimentare è ormai una realtà consolidata.
La fame nascosta in Italia
A novembre sarà presentato alla Camera dei deputati l’Atlante della fame in Italia, realizzato da Azione Contro la Fame in collaborazione con l'Istat e l’Università di Milano. “L’insicurezza alimentare e la povertà alimentare sono purtroppo un fatto anche nel nostro Paese,” spiega Garroni. “Circa 2,3 milioni di famiglie, cioè 5 milioni di individui, non hanno accesso a una dieta proteica adeguata”. Gli indicatori principali, sono tre: le persone che non hanno potuto permettersi l’acquisto di cibo in alcuni momenti dell’anno, chi non riesce ad avere un pasto proteico ogni due giorni e chi deve ricorrere a forme di aiuto alimentare fornite da parrocchie, enti o associazioni del terzo settore. “Il problema principale è la mancanza di reddito, legata alla precarietà del lavoro. Restituire autonomia alle persone significa garantire un lavoro stabile, adeguatamente remunerato e continuo. Solo così si può assicurare il diritto al cibo anche in Italia.”
Oltre i numeri, la speranza
Dietro i numeri, però, ci sono le storie. Garroni ne racconta una che, spiega, “riassume il senso del nostro lavoro”. Si tratta della testimonianza di una donna del Niger "che ha perso cinque figli nello stesso mese a causa delle violenze. Poi è tornata a essere madre, ma la sua bambina si è ammalata di malnutrizione e sembrava destinata alla stessa sorte. Invece - conclude Garroni - è stata accolta nei nostri centri nutrizionali, curata e guarita. È stata la prima paziente salvata in quella struttura. Ha riportato un segno di speranza, di salute, di vita e di futuro nella storia di quella famiglia. Fermare la fame è possibile, ma serve un’alleanza globale e locale, fatta di responsabilità condivisa, cooperazione e speranza”.
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