Sfollati congolesi in cerca di un riparo sicuro Sfollati congolesi in cerca di un riparo sicuro  (ANSA)

Est congolese, la violenza jihadista e il dramma di chi è più volte sfollato

Nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo da fine anni Novanta si consuma un conflitto alimentato dalla presenza di diversi gruppi armati in guerra contro l’esercito di Kinshasa e in un contesto di instabilità in cui si inserisce la presenza di forze straniere. Gli ultimi attacchi, attribuiti ai miliziani delle Adf, hanno preso di mira il centro minerario di Manguredjipa, a ovest di Butembo. Un volontario: "I 'terroristi' continuano a uccidere chi trovano sul loro cammino"

Giada Aquilino - Città del Vaticano

Una situazione «gravissima». È quella della parte orientale della Repubblica Democratica del Congo, da fine anni Novanta teatro di un conflitto alimentato dalla presenza di diversi gruppi armati in guerra contro l’esercito di Kinshasa e in un contesto di instabilità in cui si inserisce la presenza di forze straniere. A descriverla da Butembo è Justin Muhindo Masinda, presidente dell’associazione “Famiglia missionaria senza frontiere”, che si occupa di progetti di sviluppo educativo, sanitario e umanitario nel Nord Kivu. Racconta degli ennesimi attacchi nella regione. Gli ultimi hanno interessato nelle ultime ore la zona del centro minerario di Manguredjipa, a un centinaio di chilometri a ovest della stessa Butembo.

Ascolta l'intervista con Justin Muhindo Masinda

Attività commerciali e minerarie

È un’area «molto importante da un punto di vista commerciale ed è dove si comprano anche i minerali che vengono dalle zone circostanti e dalle foreste», spiega. Le violenze, nella ricostruzione fornita dai militari congolesi intervenuti al villaggio col sostegno di milizie locali e truppe ugandesi, sono state attribuite alle Adf, le Forze democratiche alleate, gruppo armato che ha giurato fedeltà al sedicente Stato islamico: si tratta di una delle tante sigle delle fazioni armate attive nel quadro conflittuale dell’est congolese, che vede agire anche la milizia M23 (Movimento 23 marzo), supportata secondo esperti dell’Onu da almeno 4.000 soldati rwandesi, per quanto Kigali abbia sempre respinto ogni addebito.
A Manguredjipa - riferisce Justin, che è volontario laico cattolico della diocesi di Butembo-Beni - «i “terroristi” sono arrivati martedì mattina presto e hanno cominciato ad uccidere le persone. Il bilancio ufficiale è di 4 vittime, tra cui una donna e un militare, oltre a un’anziana che è morta per un attacco di pressione alta quando ha sentito gli spari».

La violenza jihadista

L’ultimo rapporto sulla libertà religiosa di Aiuto alla Chiesa che Soffre evidenzia come la violenza jihadista continui a mietere vittime su scala globale, segnalando come nel Paese africano le Adf perseguano la creazione di strutture parallele di potere, colpendo cristiani e musulmani ritenuti “colpevoli” di non rispettare le loro imposizioni. «Si sa che sono là per uccidere le persone, tutti quelli che trovano sul loro cammino: chi riesce a fuggire racconta anche che vogliono fare di tutta la gente dei musulmani», in un contesto per esempio come quello di Manguredjipa «a maggioranza di cristiani, cattolici e protestanti». Generalmente, spiega, i jihadisti «vivono nelle foreste: vengono nei villaggi solo per uccidere e saccheggiare, poi tornano da dove sono venuti». Peraltro nella zona limitrofa sono stati segnalati ulteriori raid mortali dei miliziani, «con altre 15 vittime» segnala Justin.

L'accoglienza degli sfollati

Sul terreno rimane un’emergenza umanitaria difficile da contenere: secondo l'Onu tra il Nord e il Sud Kivu si registrano almeno 4,6 milioni di sfollati interni. «Sono tantissimi: nella nostra zona, la maggior parte si è rifugiata in città, a Butembo, altri che non hanno la possibilità di venire qui rimangono nei villaggi circostanti, ma sempre con la paura che i terroristi possano tornare e continuare a uccidere». Le loro condizioni sono disperate: «Stanno vivendo un momento molto difficile, perché non hanno niente, sono semplicemente ospitati in famiglie che li accolgono volontariamente». Nella propria casa, Justin ospita ad esempio 24 persone, parenti e abitanti del villaggio di cui è originario, Ntoyo, che da Manguredjipa dista solo 8 km: anch’esso è stato attaccato dalle Adf in settembre. «Tra questi sfollati ci sono 8 bambini, che ho iscritto a scuola qui a Butembo. Nei giorni scorsi alcuni dei ragazzi più grandi hanno tentato di rientrare a Ntoyo, dove molte case erano state bruciate e distrutte, ma martedì sono stati costretti a tornare indietro dopo l’incursione dei terroristi a Manguredjipa», andando ad allargare le file di quelli sfollati più volte dalle loro case. «Tutte le famiglie sono poverissime e nessuno può più andare nei campi per cercare qualcosa da mangiare, perché c’è sempre il pericolo di nuovi attacchi».

L'aiuto internazionale

«Bisognerà trovare comunque la possibilità di sostenere queste persone», riflette il volontario. Nelle scorse settimane, sono arrivati aiuti dai Paesi Bassi per 1.750 famiglie del territorio di Beni e anche per gli sfollati di Goma, dove - da gennaio scorso - ci sono i ribelli dell’M23». Ma ciò di cui c’è veramente bisogno, ci tiene ad aggiungere Justin, è «trovare la pace, perché solo così avremo anche cibo, sviluppo, istruzione, cure, e credo che in questo cammino serva l’aiuto della comunità internazionale». Lo sguardo, allora, è anche alla Conferenza internazionale dedicata alla pace e alla prosperità nella regione dei Grandi Laghi africani, ospitata oggi a Parigi.

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30 ottobre 2025, 13:55