La chiusura delle porte all'Hôtel Matignon, sede del governo francese La chiusura delle porte all'Hôtel Matignon, sede del governo francese  (ANSA)

Francia, le dimissioni di Lecornu e la crisi di un sistema

Tre primi ministri in un anno e mezzo, tre tentativi falliti di ricomporre un equilibrio politico e sociale che non esiste più. Jean-Baptiste Noé: "Macron non ha altra scelta che sciogliere l’Assemblea Nazionale"

Guglielmo Gallone - Città del Vaticano

La Quinta Repubblica era nata nel 1958 per porre fine all’instabilità parlamentare e ridare alla Francia una guida forte, capace di incarnare l’unità della nazione nel secondo dopoguerra. Quasi settant’anni dopo, il sistema semipresidenziale, fondato sull’elasticità tra presidente e premier, sembra essere finito in un limbo: il presidente, Emmanuel Macron, eletto nel 2022 senza una maggioranza forte, non può sciogliere l’Assemblea senza consegnarla alla destra, né può restare immobile senza logorare la sua autorità. Di fatto, la sua credibilità e quella di tutto il Paese dipende dal primo ministro, cioè da quella figura che, inizialmente, era stata voluta per liberare la presidenza dal fronte interno e darle più autonomia nelle questioni internazionali.

Una crisi politica ed economica

Barnier, Bayrou, ora Lecornu: tre primi ministri in un anno e mezzo, tre tentativi falliti di ricomporre un equilibrio politico e sociale che non esiste più. Perché, spiega ai media vaticani Jean-Baptiste Noé, caporedattore della rivista di geopolitica francese “Conflits”, «all’instabilità politica, caratterizzata sia dalla perdita di legittimità del presidente sia dall’assenza di una maggioranza parlamentare e dalla necessità di trovare accordi di circostanza, si somma una situazione economica disastrosa. Il debito pubblico continua a crescere e le tasse aumentano. Molte imprese e giovani imprenditori lasciano il Paese per sfuggire alla pressione fiscale. Il governo deve attuare tagli per riequilibrare la situazione di bilancio, ma nessun partito è d’accordo sulla politica economica da seguire».

Il fardello della spesa pubblica

Il vero problema sta proprio qui, cioè nella spesa pubblica, come ricorda UBS in un report pubblicato ieri. Nel 2024 la spesa pubblica ha raggiunto il 57,1 per cento del Pil, la seconda quota più alta dell’Eurozona dopo la Finlandia, mentre le entrate fiscali si attestano al 51,3 per cento, tra le più elevate del continente. Eppure, osservano gli analisti, la Francia non registra un bilancio in attivo dal 1974 né un avanzo primario dal 2001. Gran parte delle risorse continua a confluire in pensioni e sanità, settori che assorbono enormi fondi pubblici senza garantire risultati migliori rispetto alla media europea. L’efficienza della spesa pubblica francese resta inferiore agli standard europei, nonostante il livello record di risorse impiegate, si legge nel documento. In altre parole, la Francia non soffre tanto di mancanza di entrate quanto di incapacità di spesa: un sistema rigido, costoso e socialmente inefficace che nessun governo — né di destra né di sinistra — è riuscito finora a riformare.

Un futuro incerto

E finché nessun partito disporrà di una maggioranza, riprende Noé, «nessuna soluzione sarà possibile. Perciò, dopo tre primi ministri in un anno e mezzo, Macron non ha altra scelta che sciogliere l’Assemblea Nazionale. L’unica possibilità sarebbe a questo punto che la coalizione di Macron accetti di governare con il Rassemblement National: insieme avrebbero una maggioranza». Un’ipotesi ventilata anche da Barclays che, in un altro report, riconosce come i mercati si stiano abituando all’idea di una coabitazione tra Macron e Le Pen in attesa delle presidenziali del 2027.

Senza direzione

Ma data la volatilità della situazione, anziché fare improbabili previsioni, è meglio concludere sulle tre conseguenze più pericolose di questa crisi: un indebolimento del sistema semipresidenziale francese; una frammentazione sociale che dividerà ancor più il Paese e quindi la politica; di riflesso, una debolezza strutturale dell’Europa intera. Così, il rischio oggi non è il ritorno all’instabilità della Quarta Repubblica, bensì qualcosa di più sottile: la trasformazione della Quinta Repubblica in un regime di inerzia, dove le istituzioni funzionano ancora, ma non producono decisioni. Specchio di un Paese che non riesce più a trovare la propria direzione.

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07 ottobre 2025, 14:10