Gaza, il nodo della restituzione dei corpi degli ostaggi grava sul futuro della tregua
Giada Aquilino - Città del Vaticano
Un impegno a restituire tutti i corpi degli ostaggi israeliani ancora trattenuti nella Striscia di Gaza, secondo quanto previsto dall’accordo di cessate-il-fuoco mediato dagli Stati Uniti, pur sottolineando che rimane difficile la ricerca dei resti sepolti sotto le macerie dell’enclave palestinese dopo due anni di massicce operazioni militari israeliane. È quanto ha annunciato da Hamas, dopo che ieri il capo della Casa Bianca, Donald Trump, ha lanciato un nuovo avvertimento, minacciando che gli Usa si «occuperanno» della fazione islamica nel caso di violazione degli impegni stabiliti a Sharm El-Sheikh. L’intesa prevedeva il ritorno di tutti gli ostaggi, sia in vita sia deceduti, entro la mattina del 13 ottobre. Lo stesso presidente statunitense — che ieri ha avuto una conversazione col primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, proprio in merito alla questione del rientro dei corpi degli ostaggi, come riportato da diversi media israeliani — ha annunciato comunque che Hamas ha consegnato a Israele altre salme di ostaggi, poi identificate dall’Istituto nazionale di Medicina forense di Israele nei resti di Inbar Hayman e Muhammad al Atresh. Da lunedì risultano nove, su 28, i corpi resi dai miliziani: Hamas sostiene che si tratta degli unici a cui ha potuto accedere, lamentando la necessità di “attrezzature speciali” per proseguire le operazioni. A tal proposito la Turchia ha inviato nel territorio palestinese un’ottantina di specialisti per la ricerca dei corpi sepolti, «compresi» quelli degli ostaggi.
Da parte sua, Israele ha consegnato un totale di 120 corpi di prigionieri palestinesi, di cui 30 ieri a Gaza, in base a quanto confermato da fonti sanitarie della Striscia citate da Al Jazeera, secondo cui le salme mostrerebbero segni di tortura e di esecuzione. Le notizie al riguardo «sono estremamente preoccupanti», ha fatto sapere Stéphane Dujarric, portavoce del segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres.
L'emergenza umanitaria
Gli accessi a Gaza, tutti controllati da Israele, rimangono intanto molto limitati, restando di fatto operativo principalmente quello di Kerem Shalom. Dopo l’incertezza dei giorni scorsi, il capo della diplomazia israeliana, Gideon Sa’ar, ha annunciato che potrebbe aprire domenica il valico di Rafah, tra l’Egitto e il territorio palestinese, snodo cruciale per il passaggio degli aiuti umanitari, come chiesto più volte dall’Onu, che invoca l’apertura immediata di tutti i passaggi per alleviare l’emergenza umanitaria dei 2,2 milioni di abitanti di Gaza, la maggior parte al momento senza casa, cibo e assistenza sanitaria.
E l’Organizzazione mondiale della sanità lancia un nuovo allarme: le malattie infettive nella Striscia stanno «sfuggendo al controllo», con soltanto 13 dei 36 ospedali del territorio parzialmente funzionanti.
La nota di Caritas Internationalis
Il cessate-il-fuoco segna comunque «una pausa disperatamente necessaria nella devastazione e offre un momento di sollievo tanto atteso ai palestinesi esausti, affamati e in lutto, nonché conforto alle famiglie degli ostaggi israeliani che hanno vissuto nell’angoscia e nell’incertezza», ha scritto Caritas Internationalis in una nota. «Esortiamo entrambe le parti a onorare e attuare l’accordo di pace. Abbiamo bisogno di un accesso immediato per fornire assistenza urgente ai palestinesi di Gaza che sono stati spinti al limite della sopravvivenza», ha sottolineato il segretario generale, Alistair Dutton. «Gaza è ormai quasi completamente distrutta» va avanti il comunicato. «Secondo le immagini satellitari, oltre l’83% degli edifici della città di Gaza sono in rovina o distrutti. Gli ospedali sono in macerie e migliaia di feriti attendono di essere curati. La malnutrizione si è diffusa rapidamente tra i bambini e le donne incinte, mentre quasi 2 milioni di persone affrontano l’inverno senza un riparo adeguato, combustibile o acqua potabile». In tale contesto, Caritas Internationalis chiede tra l’altro che vengano consegnate «oltre 170.000 tonnellate di cibo, forniture sanitarie e ripari preposizionati nella regione e pronti per essere inviati immediatamente», oltre a invocare un «ampliamento dei valichi» e il «ripristino urgente» del meccanismo di coordinamento umanitario guidato dall’Onu.
Nuove tensioni in Cisgiordania
Rimane poi alta la tensione anche nei territori palestinesi della Cisgiordania. Un bambino palestinese di 11 anni è stato dichiarato morto dopo che ieri le forze israeliane hanno aperto il fuoco nel villaggio di Al-Rihiya, a sud di Hebron. L’esercito israeliano ha affermato di aver sparato contro «sospetti» nella zona. Secondo la stampa palestinese, il piccolo stava giocando a calcio nel cortile di una scuola con un gruppo di amici quando i militari hanno iniziato a fare fuoco.
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