Gaza, la gente in bilico tra speranza e paura
Federico Piana - Città del Vaticano
Ogni tanto il fragore delle bombe interrompe la calma surreale e tutto torna ad essere come prima: dolore e morte, sangue e disperazione. Poi, improvvisamente, quel silenzio assordante, che non si sa mai se prelude ad un altro raid aereo israeliano, ricomincia ad impadronirsi di ogni cosa. Molti abitanti di Gaza la chiamano la tregua yo-yo: sparisce se Israele pensa di dover eliminare obiettivi che reputa ancora una minaccia, ricompare quando i missili hanno fatto il loro sporco lavoro.
Sospiro di sollievo
Eppure, il cessate-il- fuoco che sembra essere appeso ad un filo continua a far tirare un sospiro di sollievo a tutta la popolazione. “La gente ha accolto la decisione di una sospensione della guerra con un misto di conforto temporaneo e di estrema cautela” prova a raccontare ai media vaticani Emad Wafa Al-Sayegh che a Gaza si occupa di dirigere il Near est council of Churches - organizzazione ecumenica non governativa che opera sotto l’egida del Consiglio delle Chiese del Medioriente (Mecc) e che viene sovvenzionata dalla Catholic near east welfare association - agenzia fondata da Papa Pio XI con lo scopo di andare in soccorso delle Chiese orientali - che soprattutto ha un compito: quello di fornire aiuti al sistema sanitario della Striscia ormai drasticamente ridotto dell’80%.
Fame e sofferenze
La flebile speranza mista ad un generale scetticismo ha origine, ragiona Al-Sayegh, dalla storia delle ripetute violazioni da parte di Israele e dalla preoccupazione che non si stia affrontando in modo corretto la questione del sostegno umanitario e della ricostruzione. “In fondo, l’istituzione che dirigo si sente sollevata dal fatto che ora questa tregua possa favorire gli interventi di emergenza, come la consegna di medicinali e di attrezzature agli ospedali distrutti nel conflitto. Tuttavia, non smettiamo di esercitare pressioni sui governi e sulle organizzazioni internazionali affinché garantiscano un accesso sicuro alle équipe mediche e inizino a ricostituire il settore sanitario”. Anche perché “oltre 2 milioni di palestinesi soffrono per la mancanza di cibo, farmaci ed acqua potabile la cui scarsità provoca malattie come il colera che si stanno diffondendo sempre più rapidamente”.
Dinamiche positive
Nella lista delle dinamiche positive che il cessate-il-fuoco sta provocando, almeno sulla carta, ce ne sono tre che il Near est council giudica di fondamentale importanza: permette l’ingresso su larga scala ai beni di prima necessità; ferma i bombardamenti diretti proteggendo le vite umane, consentendo lo sfollamento in sicurezza e permettendo il ricongiungimento familiare; apre la porta al dialogo politico e alla giustizia, con particolare attenzione al rispetto della vita umana e del diritto. Questo scenario, però, potrà consolidarsi e funzionare solo se ci sarà un forte sostegno internazionale, ammette Al-Sayegh: “Da quando è scattata la tregua i cambiamenti sono tangibili ma limitati. Lo hanno affermato anche le Nazioni Unite e la Croce Rossa. Anche se le loro attività sono state influenzate in modo parzialmente positivo, il cambiamento in corso rimane ancora davvero molto fragile”.
Azioni concrete
E le nuove iniziative che il direttore esecutivo del Near est council chiede di mettere in atto alla comunità internazionale sono anche quelle condivise dall’intero Consiglio delle Chiese del Medio Oriente: “Il popolo palestinese può essere aiutato con alcune azioni concrete. Ad esempio, richiedere sanzioni contro le violazioni israeliane e sostenere le risoluzioni delle Nazioni Unite, come la 2334, per fermare l'espansione degli insediamenti e riconoscere uno Stato palestinese indipendente; aumentare i finanziamenti per gli aiuti immediati attraverso organizzazioni come l'Unrwa - l’Agenzia dell’Onu per il soccorso dei rifugiati palestinesi - e rompere l'assedio per consentire l'ingresso degli aiuti senza restrizioni; incoraggiare i tribunali internazionali a perseguire i responsabili dei crimini e sostenere programmi educativi per la convivenza interreligiosa; investire nella ricostruzione e porre particolare attenzione a una pace giusta che garantisca i diritti dei palestinesi”.
Chiese coinvolte
Anche se, in questa fase così delicata, le Chiese cristiane, come quella cattolica, ortodossa ed evangelica, stanno giocando il loro ruolo pacificatore sul campo dell’aiuto umanitario, non è detto che nell’immediato futuro non possano fare qualcosa di più. “Io – conclude Al-Sayegh – credo molto nel dialogo interreligioso. Si potrebbero organizzare incontri per promuovere la tolleranza, incoraggiare i credenti delle varie religioni a fare pressione sui governi affinché essi rispettino il diritto internazionale e lanciare dei programmi educativi da svolgersi nelle moschee e nelle chiese per cambiare la coscienza e ridurre l’odio, soprattutto tra le nuove generazioni. Se si concentrano su valori condivisi come la compassione e la dignità umana, le religioni possono contribuire in modo potente al processo di pace”.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui