In Sudan situazione “apocalittica”, l'Oms chiede risposta umanitaria urgente
Vatican News
È ormai sotto gli occhi del mondo quali tragedie siano in corso in Sudan: un susseguirsi di esecuzioni sommarie, violenze, aggressioni, saccheggi, rapimenti, rivelati dalle immagini satellitari e dalle testimonianze dei pochi che sono riusciti a raggiungere la salvezza. Gruppi di cadaveri nelle strade, nelle sedi universitarie e nei siti militari: il teatro di questo spettacolo di morte è la città sudanese di El-Fasher, caduta il 26 ottobre scorso, dopo 18 mesi di assedio. A prendere la città, il principale centro urbano del nord Darfur, sono state le Forze di Supporto Rapido (Rsf), l'armata paramilitare che da oltre due anni si contende il controllo del Paese con l’esercito regolare. Una guerra civile in cui entrambe le parti sono state accusate di crimini di guerra e atrocità.
Una situazione che è stata definita “apocalittica” dai ministri degli Esteri tedesco, Johann Wadephul, e britannica, Yvette Cooper. Di “crisi umanitaria di proporzioni disumane” ha parlato invece il ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi. L’omologo egiziano Badr Abdelatty ha richiesto ieri sera ai microfoni all’emittente saudita Al-Hadath “un cessate il fuoco immediato”. Di qualche giorno fa l'appello dell’Italia a tutte le parti in conflitto a interrompere immediatamente le ostilità e rispettare il diritto umanitario internazionale e i diritti umani.
La denuncia dell'Onu
Il portavoce dell’Alto Commissariato dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per i diritti umani, Seif Magango, parlando da Nairobi ai giornalisti a Ginevra, ha riferito che sono state raccolte numerose testimonianze di residenti fuggiti nel terrore mentre la città cadeva, e che poi “sono sopravvissuti al pericoloso viaggio verso Tawila, circa 70 chilometri più a ovest”, un tragitto che richiede da tre a quattro giorni a piedi. Secondo le Nazioni Unite, El-Fasher contava a fine agosto almeno 260 mila persone: in oltre 36 mila sarebbero fuggiti dalla città lo scorso sabato verso Tawila, che secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni già ospita più di 652 mila sfollati.
La preoccupazione di Medici Senza Frontiere
Eppure, negli ultimi cinque giorni sono solo cinquemila le persone arrivate davvero ai team di Medici Senza Frontiere che si erano organizzati alle porte della città in attesa di un afflusso di massa che non c’è stato. I superstiti giunti ai presidi sanitari, che presentavano perlopiù ferite da arma da fuoco, fratture e lesioni dovute a percosse e torture, hanno riferito di omicidi di massa, bambini uccisi a colpi d’arma da fuoco davanti ai genitori, violenze sessuali, rapimenti a scopo di riscatto, anche nelle città vicine e lungo le vie di fuga.
“I numeri degli arrivi non quadrano, mentre crescono le testimonianze di atrocità su larga scala - riflette Michel Olivier Lacharité, responsabile delle emergenze di Msf -. Dove sono tutte le persone che sono sopravvissute a mesi di carestia e violenza a Al-Fashir? La risposta più probabile, anche se spaventosa, è che vengono uccisi, bloccati e inseguiti mentre cercano di fuggire. Chiediamo urgentemente alle Rsf di risparmiare i civili e consentire loro di mettersi in salvo”.
La più grande crisi umanitaria
Intanto nel Paese la carestia è diffusa e si moltiplicano i focolai di colera e di altre malattie mortali. Ad avere bisogno di assistenza umanitaria urgente sono in 30 milioni. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha confermato le segnalazioni di attacchi contro strutture sanitarie e operatori, condannando il rapimento di sei lavoratori sanitari: quattro medici, un’infermiera e un farmacista. L’ospedale di maternità saudita è stato attaccato cinque volte solo nel mese di ottobre.
Dopo la caduta di El Fasher, l’agenzia sanitaria delle Nazioni Unite ha spiegato di essere attualmente “impossibilitata a prestare assistenza a coloro che sono stati colpiti, alle vittime delle molteplici aggressioni contro i civili”, le parole la dottoressa Teresa Zakaria, responsabile dell’Unità Operazioni Umanitarie dell’Oms. La stssa organizzazione ha confermato che 189 attacchi sono stati verificati in Sudan dall’inizio dell’anno, con un bilancio di 1.670 morti e 419 feriti. “L’86% di tutti i decessi legati a questi attacchi è avvenuto solo quest’anno, segno che gli attacchi stanno diventando sempre più letali”, ha osservato la dottoressa Zakaria. Rapporti sconvolgenti indicano l’uccisione di malati e feriti all’interno dell’Ospedale di maternità saudita e in edifici dei quartieri Dara Jawila e Al-Matar, utilizzati come centri medici temporanei. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che 460 pazienti e accompagnatori siano stati uccisi durante il presunto massacro.
Grave carenza di fondi
“Il Piano di risposta umanitaria per il Sudan è finanziato solo al 27,4%, una lacuna enorme”, ha aggiunto la dottoressa Zakaria. “Per il solo settore sanitario i fondi coprono il 37 per cento del fabbisogno, e stiamo affrontando gravi difficoltà di risorse. Ecco perché chiediamo alla comunità internazionale di non abbandonare il popolo del Sudan, perché i principali attori dell’assistenza restano le organizzazioni sudanesi, che continuano a operare e a fornire aiuto”.
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