Libano, terra di libertà e letteratura
Eugenio Murrali – Città del Vaticano
Non solo il Paese dei cedri, ma anche un motore di libertà e cultura, un vivaio di giornali, riviste, libri, traduzioni. La storia letteraria del Libano nasce ben prima dell’indipendenza del Paese, avvenuta negli anni Quaranta del secolo scorso, ed è una realtà preziosa, particolarmente lucente, incastonata nel più ampio contesto arabo.
Una stagione di rinascita
“Fino all’Ottocento – spiega Isabella Camera D’Afflitto – si parlava spesso di cultura araba in senso generale, come si trattasse di un mondo unico. La regione libanese era un caposaldo della Nahda, la rinascita araba”. La presenza di case editrici, sin da tempi lontani, l’eccezionale capacità di produrre stampati, grazie a una vivace tradizione tipografica, ha permesso una feconda circolazione della cultura, oltre ad aver dato una propulsione importante alla Nahda ottocentesca. E ancora oggi questo Paese si caratterizza per la sua libertà di stampa e di pensiero. Nella rinascita sono stati fondamentali anche i cosiddetti pionieri, espressi proprio da questa terra, come gli intellettuali Nazif al-Yazigi e Boutros al-Boustani, che hanno fondato giornali e scuole pluriconfessionali, una novità per l’epoca. I discendenti di questi scrittori hanno portato avanti l’opera dei padri, dando vita a vere e proprie dinastie letterarie. L’apertura del Libano è frutto, oltretutto, di una duratura storia di contatti con l’estero.
Un Paese connesso con il mondo
Quando, alla fine dell’Ottocento, la regione ha vissuto una fase di repressione da parte ottomana, molti cristiani libanesi sono emigrati in altri Paesi, come gli Stati Uniti, l’Argentina, il Brasile. Una destinazione di questa diaspora fu inoltre l’Egitto, soprattutto la città di Alessandria, dove chi aveva lasciato il Libano ha potuto continuare la sua attività di giornalista, di scrittore, di traduttore e di propagatore del pensiero e della conoscenza. Anche grazie alla rete di relazioni estesa nel mondo, il Libano ha saputo mantenere una centralità culturale. A Beirut esistono tutt'oggi giornali che hanno fatto scuola nell’intera area araba. È per esempio il caso – ricorda Camera D’Afflitto – di Majallat al-Adab, la Rivista di letteratura, un periodico fondato negli anni Cinquanta da Suhayl Idris: “È una rivista che ha dettato le linee da seguire. Dopo di essa ce ne sono state molte altre, fino a una delle più note, Shi’r, ovvero Poesia, che ha ridisegnato le mappe letterarie di tutto il mondo arabo”.
Le “neo-maqamat”
Uno dei maggiori scrittori libanesi dell’Ottocento è Aḥmad Faris al-Shidyaq, autore di al-Sāq ‘alà al-sāq fī-mā huwa al-Fāryāq, titolo che si potrebbe tradurre, afferma la docente, come Una gamba sull’altra. L’opera racconta la vita di al-Fāryāq, che viaggia per il Mediterraneo con sua moglie e riflette per certi aspetti l’esistenza avventurosa dell’autore, il quale andò a Malta, in Inghilterra, in Tunisia, cambiò religione, da maronita diventò protestante, quindi musulmano. Il personaggio è controverso, ma il romanzo ha avuto grande importanza per la letteratura araba, anche per le sue caratteristiche linguistiche. “Dopo di lui – approfondisce Camera D’Afflitto – sono state molte le opere del filone delle neo-maqamat, cioè un genere che fa rivivere opere letterarie, dai tratti epici, dell’undicesimo e dodicesimo secolo”.
“Il profeta”
Nella prima metà del Novecento troviamo uno scrittore da tutti conosciuto e spesso amato: Gibran Kahlil Gibran. Quest’autore arcinoto aveva composto molte opere in inglese, tra cui uno dei libri più tradotti nel mondo: Il profeta, del 1923. Il testo è un’alta e spirituale successione di prose lirico-mistiche, in cui “il profeta” risponde a una serie di domande che riguardano l’amore, la bellezza, la passione, la morte e altre tematiche esistenziali.
Gibran è nato a fine Ottocento in una famiglia cristiano-maronita e faceva parte del gruppo di libanesi emigrati negli Stati Uniti. Lui e gli altri intellettuali arabi, come Mikha’il Nayme o Amin al-Rihani, che hanno scritto parte della loro opera in inglese, sono stati molto influenti. I loro libri sono stati introdotti più facilmente in Europa, oltre a essere stati diffusi anche nei loro Paesi di origine.
Gli autori libanesi contemporanei più amati
Il premio Nobel attribuito nel 1988 allo scrittore egiziano Nagib Mahfuz ha acceso nel mondo l’interesse per la letteratura araba, di cui prima si conoscevano pochi testi, per lo più confinati nell’epoca classica, che va all’incirca dall’VIII all’XI secolo. “Negli anni Novanta – racconta la studiosa – abbiamo iniziato a tradurre di più e gli autori libanesi ed egiziani sono stati quelli che in Europa hanno avuto maggiore diffusione”.
Oggi molto riconosciuto è Amin Maalouf, che rivede la storia da altre prospettive, come nel suo Le crociate viste dagli arabi, aiutandoci a uscire da una visione eurocentrica: “Potremmo dire, anche se i paragoni sono sempre fastidiosi, che Amin Maalouf rappresenta per gli arabi quello che Umberto Eco ha rappresentato per gli italiani. Fa infatti rivivere la storia e la racconta con una capacità di innovazione linguistica e letteraria molto importante”. L’arabista precisa però che Amin Maalouf scrive in francese, come fanno ancora altri autori libanesi.
Va ricordata inoltre un’autrice maronita che oggi vive a Parigi, Hoda Barakat, tra i suoi libri: Malati d’amore, Corriere di notte, Lettere di una straniera.
Il peso della storia
Quello che forse più colpisce in questi autori contemporanei – tra cui lo scrittore Rashid Daif con il suo Mio caro Kawabata – è che nella loro scrittura si sente, ancora a distanza di anni, la ripercussione della tremenda guerra civile libanese combattuta dal 1975 al 1990. Anni terribili e traumatici se si pensa che, come narrano alcune opere di questi scrittori, tutti hanno combattuto, si sono ritrovati o da una parte o dall’altra, e c’era anche la paura di uscire di casa, perché i cecchini sparavano da ogni dove.
C’è poi un autore, Elyas Khoury, autore di numerosi romanzi tradotti anche in Europa che con La porta del sole, è stato capace di raccontare con particolare forza le vicende e l’anima dei palestinesi.
Infine un siriano, che per scelta si è naturalizzato libanese, è Adonis, oggi considerato uno dei maggiori poeti arabi. Grandissimo innovatore della poesia, capace di scrivere versi intrisi di bellezza, passione e dolore: “Oggi ho la mia lingua / ho le mie frontiere, la mia terra, il mio aspetto / ho popoli che mi nutrono con la loro incertezza / e si illuminano con le mie rovine e le mie ali”.
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