Sudan, 106 mila persone in fuga da El Fasher
Beatrice Guarrera - Città del Vaticano
«In un mese più di 106.000 persone sono state costrette a lasciare la capitale del Nord Darfur, El Fasher, e i villaggi intorno, da quando le forze paramilitari hanno conquistato il territorio». È quanto affermato ieri, martedì 25 novembre, dal portavoce dell’Onu, Stephane Dujarric, nel corso dell’incontro quotidiano con i media internazionali. Nella regione occidentale del Sudan, dilaniata dalla guerra tra militari e miliziani delle Forza di Supporto Rapido (Rsf), la situazione umanitaria, nel frattempo, si aggrava ogni giorno di più. Lo hanno denunciato anche le ong che operano sul terreno, continuando, pur nella difficoltà, a fornire sostegno alla popolazione sofferente.
Livelli di malnutrizione acuta
In questo momento oltre il 75% delle strutture sanitarie nelle aree colpite dal conflitto in Sudan non è operativo, a causa di attacchi, saccheggi e carenze di personale, farmaci e forniture. Lo ha sottolineato Save the Children, sabato 22 novembre, in una nota in cui ha affermato che milioni di persone, in particolare bambini e donne incinte, non hanno accesso nemmeno ai servizi sanitari di base. In questo contesto, un segnale di speranza è arrivato, nei giorni scorsi, con l’atterraggio a Port Sudan di un aereo cargo con 40 tonnellate di forniture mediche e alimenti terapeutici per curare i bambini in Sudan. Queste forniture saranno, poi, trasportate su strada per raggiungere tutto il Paese, compresa Tawila, nel Nord Darfur, dove molte persone si sono rifugiate in cerca di sicurezza. Lì i sopravvissuti dall’assedio di El Fasher, durato oltre 500 giorni, sono assistiti anche dai team medici di Medici senza frontiere (Msf). L’ong ha riferito di aver riscontrato negli sfollati livelli estremi di malnutrizione acuta, in quella che è ormai la più grave crisi nutrizionale che ha colpito il Sudan dall’inizio della guerra. In preda alla disperazione per la mancanza di cibo, molti testimoni hanno raccontato di essere stati costretti ad alimentarsi — oltretutto a pagamento — con mangime per animali.
Al fianco del popolo sudanese e della Chiesa locale
Nei giorni scorsi anche Caritas internationalis e Act Alliance hanno espresso profonda preoccupazione per la grave crisi umanitaria in rapido deterioramento che sta colpendo il Paese, facendo eco all’urgente appello lanciato dai vescovi cattolici del Sudan e del Sud Sudan il 14 novembre. «L’assistenza umanitaria necessaria — ha dichiarato Alistair Dutton, segretario generale di Caritas internationalis — deve essere urgentemente facilitata e fornita immediatamente. Bisogna aprire al più presto una strada credibile per i negoziati di pace. Dobbiamo stare al fianco del popolo sudanese e della Chiesa locale». La situazione descritta è tra le più drammatiche: «I servizi pubblici sono collassati. Le case dei civili vengono deliberatamente attaccate e le persone assassinate sul posto. Si tratta ora della più grande e grave catastrofe umanitaria al mondo, con 12 milioni di sfollati e 12 milioni di persone in urgente bisogno di assistenza salvavita. È necessario intervenire immediatamente per arginare i livelli catastrofici di violenza sessuale contro le donne e il trauma tra i civili, gli operatori umanitari e gli assistenti».
"Crimini di guerra" contro i civili
Non va dimenticato, inoltre, che il Sudan sta pagando il prezzo della guerra anche sul piano educativo. A causa del conflitto, infatti, la maggior parte delle scuole è chiusa e più di tre quarti dei 17 milioni di bambini in età scolare sono esclusi da percorsi di istruzione: una crisi che rischia di compromettere il futuro di un’intera generazione. Intanto ieri, Amnesty International ha rilasciato un report con nuove testimonianze sulle violenze contro i civili commesse dalle Rsf ad El Fasher: «crimini di guerra», dei quali «i responsabili devono essere chiamati a risponderne».
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