L'arte, lievito di speranza per le detenute della Giudecca

A Venezia nella cappella di Santa Maria Maddalena nell'istituto di pena femminile, l'inaugurazione della mostra fotografica: “I Volti della povertà in carcere”, ispirata all’omonimo volume di Matteo Pernaselci e Rossana Ruggiero edito da EDB. L’esposizione arriva nella città lagunare in concomitanza con il Giubileo dei detenuti. Nell’occasione si è svolto anche l’incontro “Riflessioni ad alta voce”

Marina Tomarro e Alvise Sperandio - Venezia

Quando entri per la prima volta nel convento delle Convertite, oggi Casa di Reclusione Femminile della Giudecca, la cosa che ti colpisce è l'odore. Non quello di cloroformio e disinfettante, come succede nelle altre strutture detentive, ma un profumo di salmastro che viene dal mare. Eppure chi va a visitare la laguna più famosa al mondo, sembra non accorgersi quasi di quelle vite nascoste dietro le antiche mura del monastero. Da alcuni anni però la Cappella di Santa Maria Maddalena è diventata un luogo d'arte, un padiglione speciale della Biennale di Venezia, dove le detenute si trasformano in guide artistiche, aiutando i visitatori a fare un percorso tra le opere esposte.

Una mostra con delle guide speciali

In questo luogo è stata inaugurata la mostra fotografica “I Volti della povertà in carcere”, ispirata all'omonimo volume di Matteo Pernaselci e Rossana Ruggiero edito da EDB che, previa prenotazione, sarà visitabile fino al prossimo 19 dicembre. Saranno queste donne a guidare i visitatori tra gli scatti, in un crudo bianco nero del Carcere di San Vittore, offrendo lo sguardo di chi vive e conosce bene cosa sia la mancanza di libertà e il dolore della detenzione. "Attraverso i volti e le storie narrate nel volume e nelle foto, - ha spiegato l'autrice Rossana Ruggiero - è stato possibile 'ridare cittadinanza' a chi è stato emarginato, riconoscere in ogni persona, anche la più dimenticata, un volto su cui posare lo sguardo. Su questo sentiero, ci siamo fatti strumento per 'restituire voce a chi non ha voce', per riscoprire volti in attesa di essere riconosciuti dopo anni di oblio e per ricucire pezzi di vita necessitanti di rammendo, rivelando una sorprendente ricchezza nella povertà”. Madrina della mostra l'attrice Claudia Potenza che ha letto alcuni brani del libro.

Il carcere come luogo di ripartenza e rinascita

In occasione della mostra, nella biblioteca del carcere si è svolto l'incontro “Riflessione ad alta voce”, dove le protagoniste sono state proprio le donne detenute nella struttura.  Ad aprire l'evento il messaggio del sindaco della città lagunare Luigi Brugnaro, letto dall'assessore alla sicurezza Elisabetta Pesce . "Alla Giudecca - ha spiegato il sindaco nel messaggio - tocchiamo con mano che la povertà non è solo mancanza di reddito, ma anche di relazioni, affetti, istruzione, mancanza occasioni. Nei volti e nelle storie delle donne detenute si intrecciano ferite profonde che spesso hanno preceduto il reato. Questo libro e questa mostra ci aiutano a vedere persone e non numeri. Il nostro dovere è trasformare la pena in possibilità di riscatto. Per questo credo che il lavoro, la formazione, il contatto con il mondo produttivo siano la chiave: ridanno dignità, responsabilità, futuro. Venezia farà la sua parte, insieme a Chiesa, volontariato e imprese, perché nessuna donna che esce da qui si sente condannata a una povertà senza ritorno”. E il carcere deve essere un luogo non solo di detenzione ma soprattutto deve essere anche il segno di un riscatto, di una ripartenza, di una rinascita, come ha ricordato Francesco Moraglia, patriarca di Venezia. “È importante il lavoro e il contributo di ognuno, - ha sottolineato il vescovo - dalle istituzioni preposte, a tutte quelle realtà che possono intervenire positivamente. Il carcere della Giudecca lo ha sperimentato più volte in questi anni attraverso varie forme e modalità di coinvolgimento che toccano gli aspetti fondamentali del lavoro e della formazione, ma anche utilizzano il linguaggio e i canoni della bellezza, dell'arte, del teatro, della comunicazione”

Ascolta l'intervista a monsignor Moraglia

Un mondo a parte

Quella del carcere è una realtà estremamente complessa, perché è una sorta di mondo a parte all'interno delle città, che non sempre viene capito da chi ne vive distante. "Questo progetto che portiamo avanti, – ha spiegato Giacinto Siciliano, provveditore regionale degli Istituti penitenziari di Lazio, Abruzzo e Molise, presente all'incontro – vuole dare una voce e un volto a chi è dimenticato, e far capire a chi è fuori, cosa c'è dietro quel divisorio. Quando ti trovi a lavorare in carcere, ti rendi conto che ti trovi a gestire la fragilità delle persone con i loro problemi. Non tocca a noi giudicare cosa hanno fatto. Quello lo fa la magistratura. Noi dobbiamo aiutarle se possibile, senza lasciarci condizionare dal giudizio. La cosa da fare è metterci in gioco noi per primi, senza negare i limiti che una struttura può avere, perché è questo che crea rispetto e porta chi è dentro ad osservare le regole”

Il taglio del nastro alla mostra fatto dalla direttrice del carcere Maurizia Campobasso, l'attrice Claudia Potenza, monsignor Francesco Moraglia e il sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari
Il taglio del nastro alla mostra fatto dalla direttrice del carcere Maurizia Campobasso, l'attrice Claudia Potenza, monsignor Francesco Moraglia e il sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari

La speranza oltre l'errore

All'incontro hanno raccontato le loro esperienze anche un gruppo di detenuti della struttura carceraria. Storie di vita e di sofferenza, come quella di Monica una giovane madre di due bambine. A causa della sua tossicodipendenza le sono state tolte. Ora sogna un giorno di poterle riabbracciare e dire “alle mie piccole che le voglio bene e vorrei proteggerle da tutto quel male che io ho subito”; quella di Fanta che dalla Sierra Leone. È arrivata in Italia piena di speranze, che sono crollate una dopo l'altra portandola a commettere errori che sta pagando con la detenzione. Eppure non ha perso la speranza di vivere una vita migliore e di poter “avere una nuova possibilità per me e i miei figli che mi mancano tanto”; oppure Amalia, napoletana di nascita che sogna di essere trasferita nel carcere di Trieste dove vive l'uomo di cui è innamorata, perché quando uscirà “lui sarà li ad aspettarmi con un mazzo di rose”.

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05 dicembre 2025, 13:40