Nell'isola di Pemba, dove far nascere Gesù?

Federica Maifredi è fidei donum nell'arcipelago di Zanzibar dove vivono un centinaio di cattolici. Dopo anni a contatto con situazioni di vulnerabilità e violenza, dall'Egitto al Sudan, dal Togo al Perù fino alla Repubblica Democratica del Congo, è in Tanzania da aprile come volontaria nella scuola per l'infanzia e nell'unica parrocchia esistente. La speranza è costruire una scuola laica dove accogliere i figli della piccola comunità cristiana e coltivare il dialogo nella quotidianità

Antonella Palermo - Città del Vaticano

"A volte ci si scambia gli auguri di Natale un po' per circostanza, diciamo la verità. È diventata quasi una formula svuotata di senso. E il senso magari lo riscopri quando sei in 'minoranza', quando gli auguri non si ricevono e non si possono fare. E, comunque, malgrado ciò, ci si scambia quel che si ha, un seme di amicizia buona. E questo basta". Federica Maifredi è laica fidei donum, appartenente alla diocesi di Brescia, di dove è originaria, e vive nell'isola di Pemba, in Tanzania. Conversare telefonicamente con lei è sentire in sottofondo il richiamo continuo del muezzin alla preghiera. Qui la popolazione è quasi completamente musulmana. "Quest'anno per noi è il primo Natale che passiamo qui, particolare perché nessuno lo festeggia a parte noi. Come comunità cristiana siamo un centianio di persone. In parrocchia ho fatto il presepe insieme ad altre donne che hanno pulito e addobbato per l'accoglienza di Gesù Bambino. Nulla però fuori fa sentire questo clima di festa, di solennità. Con mio marito abbiamo organizzato un pranzo insieme ad altri espatriati. Sette, otto persone in tutto. Ognuno prepara qualcosa e stiamo così a farci un po' di compagnia". Nel suo racconto riavvolge i fili andando a ritroso fino alla genesi del suo desiderio di lasciare la comfort zone in Italia e di cominciare un servizio di volontariato che l'avrebbe condotta in vari Paesi africani e del Sud del mondo. 

Federica con alcune donne di Pemba
Federica con alcune donne di Pemba

Andare là dove c'è bisogno

Era il 2006 e Federica aveva 26 anni: si stava facendo sempre più chiara la voglia di spendersi nel volontariato. La prima esperienza fu in Togo, poi in Brasile. Figlia unica, venne il momento di comunicare ai genitori l'intenzione di impegnarsi in questo ambito a lungo termine. "Io lavoravo in un ufficio, mi avevano detto che non sarebbe stato automatico ritrovare il posto una volta tornata. I miei erano perplessi. Venni a Roma per tre mesi per un corso dalle suore canossiane e, anziché un anno, finì di dover stare fuori due anni: prima in Egitto con i rifugiati sudanesi e poi in Sudan, nel 2008, un Paese che mi strazia ancora il cuore al pensiero di raid che, proprio in questi giorni ho appreso hanno colpito un villaggio vicino a El-Obeid dove vivevo io. C'è gente tranquillissima lì che vorrebbe solo vivere una vita semplice di agricoltura e allevamento, e non chiede nulla di più. È impressionante cosa sta succedendo lì. Fa male. Ci ho vissuto un tempo che mi è piaciuto tantissimo - ricorda - in cui ho capito che avrei voluto proseguire nella missione ad gentes. Mi misi così nuovamente a disposizione, la suora da cui tornai mi mandò in Togo dove già avevo avuto modo di conoscere il dispensario e una missionaria laica che mi aveva fatto appassionare alla scelta. Nel 2009 cominciò l’avventura".

Tra la gente del Congo
Tra la gente del Congo   (© Federica Maifredi)

Dalla periferia di Lomè, nel 2012 lo spostamento in un altro villaggio nel Paese. Tre anni dopo, sempre dalla provincia di Brescia, scendeva Andrea: sarebbe diventato suo marito. "Non ci conoscevamo ma, piano piano, abbiamo ricostruito una rete di conoscenze comuni. Anche lui era figlio unico, viveva con la madre ed era animato dai miei stessi desideri, dai miei valori, ideali. Geometra, sa fare l’elettricista, ha fatto il muratore. Era molto spendibile, un jolly che occorreva alla missione. Nel frattempo ci siamo innamorati, avevo 35 anni. Io non avevo mai pensato al matrimonio, pur non escludendolo, ma ho incontrato la persona con cui trascorrere una vita così. Una vocazione individuale che dunque si raddoppiava rappresentando anche una novità e che, devo ammetterlo, lì per lì creò anche qualche incomprensione in chi ci vedeva da fuori". Utile fu per i fidanzati rientrare per un periodo nei propri ambienti di provenienza dove fortificare la scelta di futuri sposi, mentre intanto tornare in Togo si faceva pressoché impossibile. "Al centro missionario diocesano ci proposero una casa famiglia in Perù dove c’era necessità di accompagnare, come coppia, un gruppo di adolescenti. Nonostante non avessimo alle spalle una esperienza del genere, siamo stati accolti e abbiamo trascorso due anni e mezzo là, dove poi ci siamo sposati". 

Essere pronti a lasciare

Non una fuga, dunque, quella di Federica, ma un capire poco a poco che il proprio baricentro era altrove, nel bisogno di una semplice presenza, una fiaccola di speranza. Sì, la speranza di una pace di cui avrebbe sperimentato tutta la fragilità in Repubblica Democratica del Congo, successiva destinazione. "Eravamo nello Stato dell’Itturi, a nord est del Paese, ai confini con l’Uganda, una zona calda, vicina al Kivu. Non ho mai visto così tanta gente riempire la chiesa a tutte le ore del giorno: gente che non ha mai avuto niente, solo disgrazie, stare in ginocchio così tante ore e pregare. Vedere, per esempio, la statua della Madonna in processione era vederla come una persona viva e salutarla con un fazzolettino, gioire. Era gente che riceveva il Vangelo, attaccata con le unghie a questo Vangelo, e che spera, spera nella salvezza. Il Vangelo è per loro l’unica cosa li può tirar fuori, li può aiutare". Federica ricorda quanto le sarebbe piaciuto andare a incontrare Papa Francesco in occasione del viaggio apostolico nel 2023, ma che bisognava prendere tre voli interni e così mandarono una piccola delegazione. "Sentivamo che il Papa era più che un pastore, lo abbiamo percepito sempre come uno di noi... Il fatto che parlasse davvero tanto di perdono in una terra dilaniata dalla guerra e dai massacri era sfidante e difficile. Io quello che ho vissuto in Congo…". Le parole non arrivano, sono inadeguate a descrivere gli scempi. Poi prova a ricordare un episodio.

Guardando il gioco dei bambini in Repubblica Democratica del Congo
Guardando il gioco dei bambini in Repubblica Democratica del Congo   (© Federica Maifredi)

"Accadevano cose allucinanti. Una notte, verso l’una, sentiamo degli spari, era abbastanza normale sentirli, in realtà. Ma quella volta seguirono grida e rumori di motociclette. Il giorno dopo apprendiamo che il nostro vicino di casa, che lavorava in un commercio di telefoni, aveva subìto una rapina a mano armata da parte di una banda. Gli avevano intimato di tirar fuori i soldi che aveva, lui lo fece ma loro dissero che non era tutto. Allora per far vedere che non scherzavano spararono alle gambe della moglie, incinta, che era nel letto. C’era anche un bambino che veniva all’asilo da noi. Loro, non contenti, quando l’uomo disse che avrebbe dovuto portare la donna in ospedale, spararono su di lei, a morte. ‘Finiscila!’, dissero. Spararono al petto. C’erano dei ragazzi in moto che segnalarono la cosa alla polizia la quale rispose di non avere carburante nella macchina, che non sarebbero potuti andare. Ecco uno dei problemi più grossi in certi contesti come questo: la complicità. "La sera seguente le suore ci dissero di stare con loro. C’era sempre lo zainetto pronto con documenti e soldi, poi la cosa si risolse ma durante il periodo che restammo non potevamo certo essere spensierati. Quando passavano camion che facevano rumori forti, o perdevano il loro carico, non sapevi se erano scoppi o altro... Sono stati tre anni intensi. In quel periodo ero all’asilo e insegnavo italiano alle postulanti. Andrea era nella biblioteca che ha ristrutturato mettendo su corsi di computer". Federica guarda a un'epoca tanto dolorosa quanto bella, dice, per la possibilità che ha avuto di innestarsi nella realtà locale rispondendo alle esigenze che arrivavano 'dal basso', in tutta semplicità: "Spesso ti parlano di progetti predefiniti che però si rivelano solo idee: magari ti propongono di fare scuola e poi, una volta sul posto, scopri che la scuola ancora non c’è".

Il valore di una testimonianza silenziosa 

Sopravvivere nel villaggio di Aru con la guerra perennemente sull'uscio divenne così non più sostenibile. Nel confinante Uganda la possibilità di rifugiarsi per qualche settimana faceva ben sperare ma l'idea di ritornare in Repubblica Democratica del Congo fu definitivamente ritenuta impraticabile. "Non siamo più rientrati: l’esercito ugandese era entrato nel Paese e c’erano ribelli ovunque. Questo accadeva nella scorsa primavera. L’esercito del Congo era ridicolo, sgangheratissimo: uomini che pesavano trenta, quaranta chili, con fucili vecchissimi. Spesso, col pretesto di compiere giri per la sicurezza, se ne approfittavano: con le donne, con il cibo. A quel punto - racconta Federica - non ti puoi rifiutare se vogliono entrare in casa, li devi accogliere. E può succedere di tutto". Fu in questo frangente ancora una volta pieno di incognite che alcuni cooperanti dell'associazione LVIA, fondata a Cuneo da Aldo Benevelli, sacerdote partigiano missionario, intercettarono in Andrea il giusto profilo per un nuovo impiego a Pemba, nell'arcipelago di Zanzibar. "Si doveva decidere entro un mese ma non era facile interrompere tutto. L'aggravarsi della situazione in Congo accelerò i tempi, capimmo che l’opportunità era da cogliere al volo e ci trasferimmo". Federica era abituata in tanti anni di missione ad adattamenti continui ma stavolta si trattava di fare un vero salto nel buio. "Cosa avrei fatto? Cosa sarei diventata, in un contesto completamente musulmano?". 

La semplicità della casa © Federica Maifredi
La semplicità della casa © Federica Maifredi   (© Federica Maifredi)

Dopo nove mesi di permanenza, oggi Federica può dirsi molto contenta, giacché si sono andati profilando man mano alcuni ambiti in cui poter offrire il suo servizio. Tre volte a settimana si reca in un asilo privato, musulmano frequentato da una sessantina di bambini, altrettanti sono nella scuola dell’infanzia. "Mi piace tantissimo. La direttrice mi ha preso in buon cuore, mi adora. È madre di sei figli, mi tratta come fossi sua nipote. Mi accompagna al mercato, mi invita spesso a casa sua, mi consiglia. È bello. Poi tre pomeriggi vado a fare il doposcuola in parrocchia. Mi sono messa a disposizione, anche fosse stato solo per pulire la chiesa". È la sfida di una convivenza possibile che si lascia scoprire piano piano, nella pazienza, nella piccolezza e nella fiducia di ricalibrare ogni volta le proprie attitudini. "In Europa, in Italia si parla spesso di integrazione, ma rischia di diventare una parola forse un po' vuota, nel tentativo di autoconvincersi che sia buona", spiega. "Io qua semplicemente la vivo, nel rispetto reciproco. E questa cosa apre alla possibilità della testimonianza, seppure silenziosa e senza segni, di portare Gesù Cristo. C'è da essere buoni cristiani, o comunque provarci, essere onesti, sinceri, ecco. Li ho sentiti spesso qui dire: i cristiani sono brave persone. È una cosa bella. Poi qui ci sono moschee ovunque. Ogni cinque ore c’è il muezzin che richiama alla preghiera. Questo mi interroga. Mi chiedo: a che punto è il mio dialogo con Dio? È cresciuto? È costante? È di convenienza? Sono ancora lì che dico le mie preghierine a Messa o prima di andare oppure ci penso di continuo durante il giorno? Loro lasciano le loro attività per andare i quindici minuti alla preghiera e poi tornano alla vita. Io quanto spesso mi fermo per parlare con il Signore? Quante volte nell’affanno mi fermo e dico quello che voglio dire al Signore? Qui, per esempio, i pescatori, mentre tirano le reti e sbattono il polpo sullo scoglio, al richiamo del muezzin si fermano, si inginocchiano e pregano. È bello. Quante volte a noi capita di aver vergogna a fare il segno della croce fuori al ristorante?".

Con i bambini

Nelle parole di Federica affiora qualche preoccupazione per il futuro ambientale dell'isola che al momento non è ancora travolta dal turismo che invece ha saturato l’altra isola principale dell’arcipelago Zanzibar, Unguja. "Vediamo già i cambiamenti per le strade, le imprese che stanno ampliando l’aeroporto, lavorano a nuove costruzioni. I 300 mila locali rifiutano l'omologazione del turismo di massa". Fortuna ci sono i bambini: affascinanti, spontanei, hanno gli occhi che brillano. "A differenza della realtà del Togo o del Congo qui hanno una famiglia solida alle spalle. Qui c’è la poligamia ma la famiglia conta molto. Non ci sono bambini che ti vengono in braccio o che si attaccano alle gambe, non cercano quel contatto personale, quasi morboso, un rapporto che vada a colmare la mancanza di un nucleo. I nonni contano, le zie contano. Li educano fin da piccoli al rispetto per tutti. Poi in realtà restano con tutte le peculiarità dei piccoli, con il loro entusiasmo e mentre lanciano i sassi per raccogliere i frutti dagli alberi capita che li lancino pure alle case". Proprio sui bambini si cerca di destinare il grosso delle energie: il sacerdote ha l’idea infatti di costruire una scuola laica (asilo e primaria) dove accoglierne quanti più possibile anche per venire incontro all'esigenza di una gran fetta di popolazione cattolica (insegnanti, militari, persone delle ong…) che qui risiede e che è costretta in molti casi a dividersi per portare i figli a scuola in Tanzania. Federica partecipa con speranza a questo progetto per cui chiede sostegno e tenta di dire cosa è per lei vivere la speranza giubilare: "A Pemba la speranza è di poter aiutare. Significa ogni giorno, ma davvero ogni giorno, cercare di dare, di essere, di usare piccoli gesti di gentilezza che possano smuovere, disarmare l’altro, disinnescare l’odio". E si ferma a constatare come oggi ci si perda tanto della bellezza delle relazioni nel ritmo frenetico delle grandi città, per cui "non c’è tempo per guardare negli occhi l’altro, di accorgersi come sta l’altro. Una corsa per andare dove?". 

Volti © Federica Maifredi
Volti © Federica Maifredi   (© Federica Maifredi)

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24 dicembre 2025, 10:00