Alcune delle armi sequestrate alle gang di Haiti Alcune delle armi sequestrate alle gang di Haiti 

Rapporto Sipri: nel 2024 l’industria bellica mondiale ha guadagnato oltre 679 miliardi di dollari

Spinte dalle guerre in Ucraina e a Gaza, le vendite dei cento maggiori produttori di armi al mondo sono aumentate del 5,9 per cento. Il primato americano, la Cina arretra, Israele guida il Medio Oriente. Così nessuna pace è possibile

Guglielmo Gallone - Città del Vaticano

Nel 2024 le vendite dei cento maggiori produttori di armi al mondo sono aumentate del 5,9 per cento, raggiungendo un fatturato di circa 679 miliardi di dollari. Lo ha affermato il nuovo rapporto dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri). Se le prime ragioni sono ricollegabili ai conflitti a Gaza e in Ucraina, ci sono altri dati piuttosto preoccupanti e significativi che si possono ricavare dal rapporto.

Usa vs Cina

Anzitutto,  lo stato dell’industria bellica delle due principali potenze mondiali, Stati Uniti e Cina. Washington si conferma primo polo globale, con 334 miliardi di dollari di vendite (+3,8 per cento) e sei colossi tra i primi dieci al mondo, ma si trova ad affrontare una serie di problemi — ritardi nelle consegne, colli di bottiglia nella supply chain e carenze di componenti critici — che oltre a rallentare programmi strategici come la produzione di F-35, i sottomarini classe Columbia e il missile intercontinentale Sentinel, sembrano rivelare il vero problema americano: l’assenza di un tessuto industriale forte. La trasformazione in un sistema fondato su alta tecnologia e finanza, anziché sulla manifattura, ha prodotto armi sì sofisticate ma difficili da realizzare su larga scala, ancor più perché il settore militare soffre di una grave carenza di lavoratori specializzati, dipende dall’estero per le materie prime  e si ritrova in una sorta di  oligopolio, dove i produttori di sistemi chiave sono passati da decine a poche unità. Anche la Cina sta attraversando una fase di difficoltà, inattesa per un Paese che ha investito per anni nella modernizzazione militare, come dimostrato dalla recente realizzazione della Fujian, la prima portaerei sviluppata e costruita interamente in patria. Nel 2024 il fatturato complessivo delle otto aziende cinesi catalogate dal Sipri è sceso del 10 per cento, fermandosi a 130 miliardi di dollari: è il calo proporzionale più ampio tra tutti i Paesi monitorati, che ha reso l’Asia–Oceania l’unica regione a segnare un calo complessivo, pari all’1,2 per cento,  130 miliardi di dollari. Il Sipri lo lega a molteplici fattori interni alla Cina, primi fra tutti le inchieste per corruzione del complesso militare–industriale e le diminuzioni dell’attività manifatturiera, in calo da otto mesi consecutivi.

Emergono le medie potenze

Di questo stallo sembrano approfittare le medie potenze. La Corea del Sud, con un aumento delle vendite del 31 per cento, sta diventando il principale fornitore dell’Occidente soprattutto grazie ad Hanwha, che invia agli europei artiglieria, sistemi antiaerei e  carri armati. Anche le aziende militari giapponesi, sotto gli stimoli del governo e  la percepita pressione nordcoreana, russa e cinese, hanno aumentato il fatturato del 42 per cento.

La verà novità del rapporto Sipri: il Medio Oriente

Poi, c’è il Medio Oriente, dove si registra la vera novità del rapporto Sipri: nove aziende mediorientali  rientrano nella top cento — mai accaduto prima — per un fatturato complessivo di 27 miliardi di dollari (+14 per cento). Ma c’è di più: Israele, con 14 miliardi (+14 per cento), pesa da sola per oltre la metà dell’intera regione. Le critiche internazionali e le decisioni politiche  per la guerra israeliana condotta a Gaza non sembrano aver frenato gli acquisti di armi, anzi.

Sullo sfondo dell'Ucraina

Il Medio Oriente non è però l’unico teatro di guerra in cui le vendite di armamenti prosperano. Le due aziende russe presenti nella Top 100, Rostec e United Shipbuilding Corporation, hanno aumentato i loro ricavi complessivi da vendita di armi del 23 per cento, fino a 31,2 miliardi di dollari, nonostante le sanzioni internazionali. Anche i produttori di armi europei registrano un aumento delle vendite: dei 36 censiti, 23 hanno visto il loro fatturato crescere, con un volume totale in aumento del 13 per cento a 151 miliardi di euro, spinti dal riarmo conseguente all’invasione russa dell’Ucraina e alla necessità di ricostituire scorte ormai erose. È una crescita robusta ma che, segnala il Sipri, affronta  la dipendenza da minerali critici, soprattutto dalla Cina.

Così nessuna pace è possibile

Pochi dati che fanno emergere un mondo in cui, come già ricordava Papa Francesco nel suo ultimo messaggio Urbi et Orbi, l’esigenza che ogni popolo ha di provvedere alla propria difesa sembra trasformarsi in una corsa generale al riarmo. Più che le strategie di lungo periodo, del dialogo o del compromesso, sembrano contare le urgenze contingenti, la necessità di ribadire la strategia del più forte, di gonfiare i bilanci nazionali producendo quelli che Papa Leone XIV, nell’udienza al corpo diplomatico dello scorso 16 maggio, aveva definito «strumenti di distruzione e di morte»: perché così nessuna pace è davvero possibile.

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01 dicembre 2025, 13:34