Disarmare le persone e le coscienze nel Sudan spaccato in due dalla guerra
Giada Aquilino - Città del Vaticano
In Sudan «i massacri e gli assedi continuano». Fratel Antonio Soffientini, missionario laico della provincia italiana dei comboniani, realtà impegnata da anni nel Paese africano, in una conversazione con i media vaticani parla di un Sudan «praticamente spaccato in due», tra territori in mano all’esercito di Khartoum e zone conquistate dai paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf), in guerra dall’aprile 2023. «Una parte, l’esercito, controlla il flusso di petrolio che arriva a Port Sudan dai giacimenti del Sud Sudan, l’altra ha in mano i giacimenti d’oro che si trovano in Kordofan e Darfur, i cui territori sono occupati o controllati dall’Rsf, mentre le armi continuano ad arrivare» senza sosta, spiega il missionario che a Verona lavora per Fondazione Nigrizia onlus, tra le realtà firmatarie di un nuovo appello con cui si chiede di non spegnere i riflettori sulla crisi sudanese.
Gli scontri nel Kordofan
In oltre due anni e mezzo, il conflitto ha provocato la morte — in un bilancio difficile da verificare per la profonda insicurezza, evidenzia fratel Soffientini – di almeno 150.000 persone e costretto tra i 12 e i 13 milioni di persone a spostarsi all’interno o all’esterno dei confini nazionali. Sul terreno peraltro si continua a combattere: nel Kordofan occidentale, nel sud, l’esercito di Khartoum ha avviato una serie di attacchi con droni contro le postazioni dei paramilitari. I raid hanno colpito Abu Zabad, Abu Qalb, Al Mahfura e non si fermano i combattimenti neppure al confine con il Kordofan settentrionale, per il quale l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) ha lanciato in queste ore l’allarme: la città principale, El Obeid, appare oggi «a un passo o due dall’essere la prossima sotto attacco», ha fatto sapere l’organismo delle Nazioni Unite.
Il dramma del Darfur
Le operazioni belliche vanno avanti inoltre nel Nord Darfur, la cui capitale El Fasher è stata conquistata in ottobre dall’Rsf dopo un lunghissimo assedio: «Ancora oggi – riflette il missionario – non sappiamo esattamente cosa sia successo lì e quanto sia costato a livello di vite umane, c’è chi dice che i morti potrebbero essere stati 70.000». L’appello delle ultime ore, a cui aderiscono oltre alla comunità sudanese in Italia anche associazioni e organismi impegnati per la difesa dei diritti umani, la cooperazione e la pace, come Amnesty International Italia, Comunità di Sant’Egidio, Caritas Italiana, Focsiv, Medici senza frontiere, è indirizzato al governo italiano, «che a novembre – ricorda fratel Antonio – si è impegnato a inviare aiuti alimentari destinati a 2.500 bambini, attraverso la parrocchia del Sacro Cuore di Port Sudan, i missionari comboniani e le suore di Madre Teresa: è importante inviare gli aiuti, ma dobbiamo trovare anche una maniera di farli arrivare alle persone che effettivamente stanno vivendo le situazioni peggiori e questo lo si può fare soltanto aprendo corridoi umanitari».
Serve un cessate-il-fuoco
Le associazioni italiane domandano dunque un impegno «per un cessate-il-fuoco e un’apertura di corridoi umanitari, in modo da far sfollare le persone e permettere – spiega il missionario – la consegna degli aiuti. Al contempo si invoca lo stop alla vendita di armi alle fazioni che stanno combattendo, perché quella in Sudan è diventata una guerra per procura», con chiaro riferimento a un intreccio di alleanze e interessi geostrategici che varca i confini nazionali. Nell’approssimarsi del Natale, il pensiero del missionario va al costante pensiero di Papa Leone XIV al Sudan e alla popolazione stremata della nazione africana. «È importante che non cali l’attenzione, anzi: aumenti. Solo nelle zone che potremmo definire più tranquille, ci sono campi profughi che accolgono 7 milioni di persone. Ben 11 milioni di bambini poi da due anni e mezzo non vanno a scuola e non hanno accesso all’istruzione. E oltre 50 strutture sanitarie sono state attaccate, secondo l’Onu. Papa Leone nel messaggio per la Giornata mondiale della pace scrive che “la bontà è disarmante”, aggiungendo che “forse per questo Dio si è fatto bambino”. La speranza allora è a creare un Natale di bontà che – conclude – aiuti a disarmare le persone e le coscienze».
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