Dal Papa un gruppo di giovani ucraini: “Ci ha ascoltato, ha compreso il nostro dolore”
Salvatore Cernuzio e Svitlana Dukhovych – Città del Vaticano
Storie di sofferenza, di perdite, strappi di radici e legami, quelle presentate oggi a Leone XIV da un gruppo di donne e adolescenti provenienti dalla Ucraina definita tante volte “martoriata” da Papa Francesco. Sono alcune delle mamme e mogli di prigionieri e alcuni dei bambini portati in Russia con la forza. Circa ventimila, secondo le stime riferite in questi anni dal governo ucraino; un migliaio hanno fatto ritorno a casa tra 2024 e 2025. Tra loro Mark, Oleksandr, Veronika, Marta, oggi nel Palazzo Apostolico insieme a Leone. Sulla questione del rientro dei bambini e dello scambio dei prigionieri la Santa Sede si è impegnata pervicacemente, attivando canali diplomatici e umanitari. Un lavoro per cui lo stesso presidente Volodymyr Zelensky ha manifestato la propria gratitudine.
Aiuto, ascolto, regali
Questo impegno l’ha ribadito oggi Papa Leone, assicurando – dopo aver sentito le storie e testimonianze del gruppo – che verrà fatto “tutto il possibile” per aiutarli. Il Pontefice ha ricevuto donne e bambini questa mattina, poco dopo le 12, nella Sala del Concistoro per circa mezz’ora. Presente anche la senatrice statunitense, Amy Klobuchar, molto attiva per la questione del rimpatrio degli ucraini e la liberazione dei prigionieri, e presente l’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede, Andrii Yurash, che già ieri sera, nella Messa a Sant’Andrea della Valle presieduta dal cardinale Pietro Parolin in suffragio delle vittime dell’Holodomor, aveva presentato questi suoi connazionali come “coloro che più di tutti, e in modo completamente innocente, hanno sofferto a causa della guerra”.
Ai media vaticani Yurash parla di un momento “molto sincero, molto sereno” con il Papa, poco “istituzionale” e più “confidenziale”: “Il Santo Padre ha ascoltato tutti con grande pazienza”. Ad ognuno Leone ha donato un Rosario; i ragazzi hanno ricambiato con magliette e felpe delle associazioni di cui fanno parte, come ad esempio Bring Kids Back UA. E hanno regalato al Papa anche disegni - tanti disegni - alcuni con la scritta “Pace”, altri con Leone raffigurato su un cavallo bianco. Li hanno realizzati altri bambini rimpatriati dalla Russia di cui si è fatta portavoce Marta, 18 anni: “Gli sono piaciuti molto”, racconta ai media vaticani, dove è ospite con Olena e Veronika.
Avanti nell'impegno per gli altri
Cappello in testa con la scritta Roma, outfit grunge sui toni del nero e il Rosario regalatole dal Papa al collo, la ragazza, fuggita di nascosto da Donetsk, racconta di aver parlato in inglese con Leone XIV che le ha fatto i complimenti per la padronanza della lingua. “Ho sempre incontrato politici e ogni volta i miei amici scherzavano: ‘Beh, chi ti rimane? Forse il Papa di Roma?’. La battuta oggi è diventata realtà”. “Sono entrata in Aula consapevole dell’importanza dell’incontro e sorpresa dalla bellezza degli arredi – aggiunge Marta – mi è molto piaciuto tutto. È stato piacevole perché lui, il Papa, ha fatto capire che ci comprende”.
Lo stesso ripete Veronika, 16 anni. Ne aveva 13 quando si è trovata all’improvviso in un altro Paese e ha ‘festeggiato’ il suo quattordicesimo compleanno lontano dalla mamma. Con la t-shirt della sua Ong di volontari impegnati per il ritorno in patria dei civili (la stessa che ha regalato al Papa), racconta di partecipare a circoli scolastici e iniziative di carità, tra cui la raccolta fondi per militari e vittime del conflitto. “Ero un po’ preoccupata, ma invece è stato tutto sorprendente. Una cosa che succede una volta nella vita. Papa Leone è stato molto buono con noi, era attento, ascoltava”, spiega. Veronika non dimentica il periodo in cui le “mancavano cose di base” e “i bombardamenti erano continui”. Ma i traumi non hanno schiacciato sogni e obiettivi: “Altri hanno bisogno di aiuto, mi voglio impegnare per loro. Vorrei diventare giurista o diplomatica – afferma la ragazza - una delle due o anche tutte e due: posso laurearmi, diventare avvocato e poi diplomatica!”. A muovere la giovane è l’obiettivo che “migliaia di bambini vengano aiutati come sono stata aiutata io. Non voglio essere vittima della storia. Non voglio che in futuro i miei figli, i miei nipoti, né nessun altro viva quello che ho vissuto io. Questa tappa deve concludersi definitivamente”.
"Auguro a ciascuno di rivedere il ritorno dei suoi cari"
Olena, cresciuta in un villaggio cattolico negli anni del comunismo, che ha curato i feriti nel Centro di assistenza medica e sanitaria di Hostomel, parla invece di “fede”. Quella che, racconta, “insieme alla speranza”, l’ha sostenuta nei mesi infiniti in cui aspettava che il figlio e il marito riapparissero sulla porta di casa. Il primo era stato imprigionato, il secondo deportato a Kursk, da dove è stato rilasciato durante uno scambio nell’aprile 2022. “Ogni giorno chiedevo al Signore di conservare loro la vita. E chiedevo che anche io potessi sopravvivere e che avessi la forza di aspettare”.
“Dio mi ha ascoltato”, dice la donna. Marito e figlio ora vivono “un lungo periodo di riabilitazione. Mio figlio 22 anni, era sportivo, aveva finito l’università... Credo che la medicina e il Signore lo aiuteranno”. Lei, intanto, è riuscita a compiere una missione che si era preposta da tempo: “Arrivare fino al Vaticano”. “Ho presentato tante istanze in Ucraina e non solo, ho avuto tanti contatti, qualcuno mi ha detto di restare a pregare a casa. Poi ho contattato la Segreteria di Stato”. E oggi era con il Pontefice. Assicura, Olena, di non volersi fermare nell’“impegno di far tornare i civili”. “Siamo diventati come familiari, lavoriamo per far tornare ogni ucraino a casa”. “Questo incontro – dice, commentando l’abbraccio con Leone – mi dà la speranza che la Santa Sede proteggerà i civili prigionieri. Auguro a ciascuno di rivedere il ritorno dei suoi cari come è successo a me”.
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