Leone XIV alla Chiesa libanese: tra le macerie del mondo offrite strade di rinascita

Nel secondo giorno nella Terra dei Cedri, il Papa visita il Santuario mariano di Harissa dove incontra presuli, clero e consacrati che raccontano storie solidarietà, guerra, migrazione e di pastorale carceraria: rimanere ancorati al cielo è l'unico modo di costruire la pace. Il saluto del patriarca di Cilicia degli Armeni: “La sua presenza ci ricorda che Dio è con noi”

Daniele Piccini – Città del Vaticano

Le parole con cui San Giovanni Paolo II, in un messaggio ai cittadini del Libano del 1984, gli affidava la missione di essere “responsabili della speranza”, “non sono state vane”, hanno trovato ascolto e risposta, perché qui si continua a costruire comunione e carità”.

Lo constata Papa Leone XIV nel discorso pronunciato in lingua francese davanti ad un pubblico di circa 4 mila persone, durante l’incontro con i vescovi, i sacerdoti, i consacrati, le consacrate e gli operatori pastorali, tenutosi questa mattina, 1 dicembre, nel Santuario di Nostra Signora del Libano di Harissa, secondo giorno del “pellegrinaggio” nella Terra dei Cedri e seconda tappa, dopo la Türkiye (Turchia), del suo viaggio apostolico. Quello di Harissa, situato sulla montagna omonima che sovrasta la città di Jounieh, è il più importante dei santuari mariani del Medio Oriente, costruito nel 1904, in occasione del 50.mo anniversario della proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione da parte di Papa Pio IX.

LEGGI QUI LE PAROLE DEL PAPA NELL'INCONTRO CON I VESCOVI, I SACERDOTI, I CONSACRATI, LE CONSACRATE E GLI OPERATORI PASTORALI

Leone XIV sull'altare dell Santuario di Harissa.
Leone XIV sull'altare dell Santuario di Harissa.   (@Vatican Media)

Autentici responsabili della speranza

La prova che le parole profetiche di Papa Wojtyła, “tanto affezionato” al Pese mediorientale, sono diventate carne, vita, cura e carità nella società libanese, Leone XIV la trova nelle quattro testimonianze lette durante l’incontro.

Testimonianze di vicinanza e prossimità, come quella appena letta nel brano del Vangelo di Giovanni, dove si dice che Maria e sua sorella, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala, stavano presso la Croce di Cristo, sul Golgota, mentre veniva crocifisso.

È nello stare con Maria presso la Croce di Gesù (cfr Gv 19,25) che la nostra preghiera, ponte invisibile che unisce i cuori, ci dà la forza per continuare a sperare e a lavorare, anche quando attorno tuona il rumore delle armi e le stesse esigenze della vita quotidiana diventano una sfida.

Questa prossimità alla Croce di Gesù è la fede, “l’ancora” che secondo Papa Francesco, cita il Pontefice, tiene la nostra vita “ancorata in cielo”. E rimanere ancorati al cielo, spiega Leone XIV, è l’unico modo di “costruire la pace”.

Da queste radici, forti e profonde come quelle dei cedri, l’amore cresce e, con l’aiuto di Dio, prendono vita opere concrete e durature di solidarietà.

Padre Youhanna-Fouad Fahed legge la sua testimonianza davanti a Leone XIV.
Padre Youhanna-Fouad Fahed legge la sua testimonianza davanti a Leone XIV.   (@Vatican Media)

Monete siriane nell’obolo della messa nel villaggio libanese

Opere d’amore, come quella di Padre Youhanna-Fouad Fahed, sacerdote attivo in un villaggio multiconfessionale - dove convivono musulmani sunniti e cristiani ortodossi e maroniti - chiamato Debbabiyé, nel nord del Paese, al confine siriano. Il sacerdote, in lingua francese, ha raccontato le difficoltà della comunità, vittima dei bombardamenti dal Paese vicino, la Siria, dove imperversava la guerra civile.

Là, pur nel bisogno più estremo e sotto la minaccia dei bombardamenti, cristiani e musulmani, libanesi e profughi d’oltre confine, convivono pacificamente e si aiutano a vicenda.

Una comunione che sottolinea anche il Papa soffermandosi sull’immagine delle monete siriane lasciate nella borsa delle elemosine, insieme a quelle libanesi: il gesto “ci ricorda che nella carità - commenta il Pontefice - ciascuno di noi ha qualcosa da dare e da ricevere, e che il nostro donarci a vicenda ci arricchisce tutti e ci avvicina a Dio”.

Rispondendo indirettamente a padre Youhanna, che poco prima ha parlato dei “giovani che vedono un futuro solo nella fuga” della migrazione, il Papa ricorda la “responsabilità che tutti abbiamo verso di loro”.

È importante favorire la loro presenza, anche nelle strutture ecclesiali, apprezzandone l’apporto di novità e dando loro spazio. Ed è necessario, pur tra le macerie di un mondo che ha i suoi dolorosi fallimenti, offrire loro prospettive concrete e praticabili di rinascita e di crescita per il futuro.

Guarda il video integrale dell'incontro con la Chiesa libanese

Restare per amore nonostante bombe e violenza

Per chi però non può fuggire nemmeno davanti alle minacce dei bombardamenti e cerca “sicurezza e pace”, “i responsabili della speranza” hanno il volto di religiose che restano loro accanto, nonostante le milizie armate le circondino, improvvisando un campo profughi e un centro studi per continuare a seguire “i nostri studenti rifugiati”. È la testimonianza della sorella Dima Chebib, religiosa delle Suore dei Sacri Cuori, mandata dalla sua congregazione a Balbeeck, una città libanese, a maggioranza musulmana dove le sue consorelle sono presenti dal 1882. “Non potevo andarmene”, ha raccontato in francese suor Dima.

Leone XIV sottolinea l’importanza di “tenere aperta la scuola” anche di fronte “all’esplodere della violenza”: qui si impara ad “amare in mezzo all’odio, a servire anche nella stanchezza e a credere in un futuro diverso al di là di ogni aspettativa”.

La Chiesa in Libano ha sempre curato molto l’istruzione. Incoraggio tutti voi a continuare in quest’opera lodevole, venendo incontro soprattutto a chi è nel bisogno e non ha mezzi, a chi si trova in situazioni estreme, con scelte improntate alla carità più generosa, perché alla formazione della mente sia sempre unita l’educazione del cuore.

“Educazione del cuore” che, ricorda il Papa, di cura stando alla “scuola della Croce” e avendo per “unico nostro Maestro è il Cristo”.

La testimonianza di Loren Capobres, volontaria originaria della Filippine.
La testimonianza di Loren Capobres, volontaria originaria della Filippine.   (@Vatican Media)

L’orrore della guerra: la storia di James e Lela

E proprio storie di migrazioni “che spezzano il cuore” ha raccontato Loren Capobres, nella sua testimonianza. La donna, originaria delle Isole Filippine, che lavora come domestica da diciassette anni, pur lontano da casa “ha trovato uno scopo nel servizio agli altri”. “Faccio volontariato con Couples for Christ Lebanon, l’Arrupe Migrants’ Center e nella mia parrocchia, Saint Joseph Tabaris, che ora considero la mia seconda casa”, ha raccontato in lingua inglese la donna, che poi ammette di portare incisa nel cuore la storia di James, sudanese, e della moglie Lela. Il datore di lavoro, quando scoppia la guerra, li chiude in casa. La coppia non si arrende. Lele è incinta e i due riescono a liberarsi e dopo tre giorni di cammino arrivano nella chiesa di Loren.

Leone XIV ricorda che, come affermava Papa Francesco nell’omelia nella Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato del 29 settembre 2019, il dolore della guerra “ci riguarda e ci interpella”. La storia di James e Lela dunque “ci tocca profondamente”, commenta il Pontefice.

Ciò che hanno vissuto ci impone di impegnarci, affinché nessuno debba più fuggire dal suo Paese a causa di conflitti assurdi e spietati, e affinché chi bussa alla porta delle nostre comunità non si senta mai respinto.

Leone XIV legge il suo discorso davanti ad un pubblico di circa 3.500 fedeli.
Leone XIV legge il suo discorso davanti ad un pubblico di circa 3.500 fedeli.   (@Vatican Media)

Portare e incontrare Cristo nelle carceri

Padre Charbel Fayad, Lazzarista, cappellano delle carceri, incontra Cristo tutti i giorni nel volto dei detenuti “che la società ha dimenticato, ma che Dio non ha mai smesso di amare”. “Celebriamo la Messa, ascoltiamo le confessioni, condividiamo il pane e la Parola, accompagniamo [i detenuti] a tutti i livelli. E lì, spesso nel silenzio, rinasce la gioia di sapersi amati, anche dietro le mura”, ha detto padre Chabrel in francese nella sua testimonianza.

I luoghi come questo, “dove il mondo vede solo muri e crimini”, ci offrono l’opportunità di incontrare lo sguardo di Dio. “Negli occhi dei detenuti vediamo la tenerezza del Padre che non si stanca mai di perdonare”, ha commentato il Papa nella sua omelia.

Ed è proprio così: vediamo il volto di Gesù, riflesso in quello di chi soffre e di chi si prende cura delle ferite che la vita ha provocato.

L'incontro tra Leone XIV e Raphaël Bedros XXI Minassian, Patriarca di Cilicia degli Armeni.
L'incontro tra Leone XIV e Raphaël Bedros XXI Minassian, Patriarca di Cilicia degli Armeni.   (@Vatican Media)

Il saluto di benvenuto del Patriarca di Cilicia degli Armeni

L’incontro presso il santuario di Harissa è iniziato alle 11.40, ora locale, con il saluto di benvenuto di Raphaël Bedros XXI Minassian, Patriarca di Cilicia degli Armeni, che ha definito la visita del Papa “una fiamma viva di preghiera e di speranza che illumina ogni angolo del nostro Paese”, ricordando che “ogni giorno, ovunque siamo, nelle chiese, nelle cappelle o nelle case, le nostre voci si levano in un unico canto, come un profumo di incenso che sale verso il cielo. Preghiamo con Lei, Santo Padre, per la pace, per la giustizia e per la rinascita del nostro amato Libano”. Una nazione il cui popolo nel corso degli ultimi anni «ha affrontato prove che hanno profondamente scosso il suo corpo e la sua anima». In questo Paese, ha aggiunto il “Catholicos”, la memoria dei martiri, custodita, è stata trasformata «in un Vangelo vissuto, incarnato nella vita quotidiana». È da questa fede ardente che «scaturisce la forza dell’Oriente cristiano» in un Paese che «ospita diciotto confessioni religiose, simbolo concreto di come la fede possa divenire un ponte al di sopra delle ferite del mondo». E «la Sua presenza — ha concluso Minassian rivolgendosi al Pontefice — ci ricorda che Dio è con noi. La Chiesa è con noi. Non siamo mai soli».

Leone XIV depone la Rosa d'Oro ai piedi della statua nera della Madonna di Harissa.
Leone XIV depone la Rosa d'Oro ai piedi della statua nera della Madonna di Harissa.   (@Vatican Media)

Il dono della Rosa d’Oro

Portare Cristo e il suo profumo, spiega Leone XIV è il senso della consegna della Rosa d’oro, il dono che tradizionalmente i Pontefici in vista mariana al Santuario di Harissa portano come pegno della loro devozione alla Vergine e posizionano ai piedi della statua nera della Madonna del Libano.

È un gesto antico, che ha tra i suoi significati quello di esortarci ad essere, con la nostra vita, profumo di Cristo.

Un profumo che non è necessariamente caro, aggiunge il Papa, e spesso somiglia all’aroma del cibo donato e condiviso.

Non è un prodotto caro riservato a pochi che se lo possono permettere, ma l’aroma che si sprigiona da una mensa generosa su cui trovano posto tante pietanze diverse e da cui tutti possono attingere insieme.

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01 dicembre 2025, 11:48