“Lunga vita al libro”, alla Biblioteca Apostolica una festa della lettura
Eugenio Murrali - Città del Vaticano
Il libro è vivo. Lunga vita al libro. Un pomeriggio denso di riflessioni ha visto confrontarsi, alla Biblioteca Apostolica Vaticana, Annalena Benini, direttrice del Salone internazionale del libro di Torino, lo scrittore Alberto Manguel e lo storico Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant’Egidio. “I libri. Come resistono, come sono cambiati negli ultimi anni e perché continuiamo a non poterne fare a meno” è stato il tema della discussione, moderata dal giornalista Edoardo Castagna e preceduta da un saluto dell’archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa della BAV, l’arcivescovo Giovanni Cesare Pagazzi, del direttore di Avvenire, Marco Girardo, e da Giuseppe Battaglia, assessore del comune di Roma. L’occasione è stato l’anniversario di Gutenberg inserto culturale del quotidiano cattolico che vuole essere, ha osservato Girardo, un atto di resistenza culturale, una scommessa sul tempo lungo, nell’epoca della velocità e di quella che Bernard Stiegler chiamava amnesia programmata.
La responsabilità del lettore
Raccontare i libri non è facile senza cedere alle sirene della retorica, soprattutto per chi ha le proprie radici nel Novecento. Per Alberto Manguel, intellettuale argentino naturalizzato canadese, la cui vita e la cui opera si sono espresse attraverso la lettura e la scrittura, “ogni attività umana costruisce le proprie superstizioni”. Per lo scrittore il libro, sia fatto di argilla, di papiro, di carta o di pixel, non è diverso da uno strumento inanimato come “un coltello, una ruota, una sedia” e non ha poteri di “coscienza e conoscenza”. Esso è piuttosto un’estensione dei nostri poteri, della nostra mano, come ha osservato monsignor Pagazzi nel suo ricco intervento sul valore del libro, ma anche del nostro cervello. “Siamo noi i responsabili delle nostre letture” e “dobbiamo accettare questa responsabilità”, avverte Manguel. Anche quelle che il lettore pretende siano le intenzioni dell’autore sono, per lo studioso, un’invenzione di chi legge. Un libro non è né buono né cattivo. E a questo proposito Manguel ha citato Cesare Pavese che, alle osservazioni di un critico che sosteneva di aver trovato determinati messaggi in un suo libro, avrebbe risposto che sicuramente c’erano, se come lettore li aveva trovati, ma certamente lui non li aveva messi.
Il libro come magnete
È nella vivacità del dibattito critico, stimolato anche da inserti come Gutenberg o Quattro pagine de L'Osservatore Romano, che trova terreno fertile la vitalità del libro. E questa linfa si esprime di conseguenza anche in manifestazioni come quella di Torino diretta da Annalena Benini, nelle cui parole il libro non attrae solo i “novecenteschi”, ma è un “magnete” anche per quei visitatori del Salone, più della metà, al di sotto dei trentacinque anni. Un cambio di passo, secondo la scrittrice, consiste nella trasformazione della lettura, in molti casi, da atto solitario a momento di incontro. C’è “un bisogno di carnalità”, il desiderio di conoscere di persona, anche per un brevissimo scambio, l’autore, a cui oggi è spesso richiesto di comunicare ciò che ha scritto, attraverso le presentazioni. Benini ha ricordato il dibattito culturale e politico duraturo, a tratti feroce, nato dalla pubblicazione, nel 1974, del romanzo La Storia di Elsa Morante. È quella la centralità da ritrovare, ma nonostante questo, e al di là di un’inesauribile riflessione sull’educabilità del pubblico, “i libri sono ancora in continuo movimento, non sono un oggetto polveroso”. Quest’anno il Salone donerà 7mila copie di Leggere Lolita a Teheran ai licei, un testo della scrittrice iraniana Azar Nafisi, che celebra l’amore per la lettura, soprattutto in contesti in cui i libri sono proibiti. Perché quella coscienza e quella responsabilità dei lettori, di cui hanno parlato sia Manguel che Riccardi nel corso dell’incontro fanno paura ai regimi.
Un di più di sapere per un mondo globale
Negli ultimi decenni, osserva Andrea Riccardi, il libro è stato spesso “detronizzato”: dalla televisione, dalla disaffezione, dagli annunci della sua morte, dai nuovi modi di comunicare. Eppure lo storico è certo che per poter vivere in un mondo globale sia necessario “un di più di cultura, quindi un di più di libri”. E ha citato una storia scovata in un breve romanzo dello scrittore turco Ferit Edgü, Un inverno ad Hakkari, in cui un maestro elementare, destinato a un isolato villaggio anatolico tra le montagne, prima di prendere la corriera trova una libreria polverosa, piena di vecchi volumi. Il negozio è gestito da un vecchio siriaco che, dopo la conversazione, gli dà “dieci libri come dieci amici”, per guardarli, capirli oppure buttarli via. Quelle pagine saranno le compagne dell’inverno per il maestro. Tornata la buona stagione, il maestro scende nel capoluogo per restituire i libri, ma il siriaco non c’è più e i suoi volumi, considerati “strani”, sono stati bruciati. Un racconto che ha evocato in Riccardi un pensiero di Mohammed Talbi: “Quando si rompono le penne, non rimangono che i coltelli”. Perché bruciare i libri è per i regimi un tentativo di “esorcizzare l’incontrollabile libertà di chi pensa e legge”. E ancora per Riccardi è evocativa la storia di un romanzo della scrittrice armena Antonia Arslan, Il libro di Mush, in cui i personaggi devono decidere se salvare la propria vita o un prezioso libro, perché sono convinti che non periranno finché esisterà quel volume.
La Bibbia di Gutenberg
Come spiegato dal prefetto della Biblioteca Apostolica, don Mauro Mantovani, per l’occasione, sono state esposte due copie della celeberrima Bibbia di Gutenberg, un’edizione cartacea e una stampata su pergamena, riccamente descritte ai presenti dalla studiosa Andreina Rita, direttore del dipartimento degli stampati, e sono state mostrate agli uditori la sala degli scrittori e il meraviglioso Salone Sistino, voluto da Papa Sisto V, con i suoi affreschi parlanti come un vero libro dipinto e aperto.
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