“Portraits in Faith”, quei volti e quelle immagini che lasciano spazio all’altro
Giada Aquilino - CIttà del Vaticano
Il dialogo interreligioso cresce nell’incontro personale e si racconta nei volti, perché «ogni ritratto sembra lasciare spazio all’altro, in un dialogo che è comprensione e accettazione». È quanto ha evidenziato il cardinale George Jacob Koovakad, prefetto del Dicastero per il Dialogo Interreligioso, intervenendo stamani a Roma, presso la Sala Marconi di Palazzo Pio, alla presentazione del libro e del progetto multimediale “Portraits in Faith”, nell’ambito del percorso giubilare “Open Doors”, in collaborazione con il Dicastero per la Comunicazione ed Emotions To Generate Change.
A cinque anni dalla pubblicazione della Fratelli tutti, la lettera enciclica di Papa Francesco sulla fraternità e l’amicizia sociale, e nel 60° anniversario del documento Nostra aetate, la dichiarazione del Concilio Vaticano II sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane promulgata da San Paolo VI il 28 ottobre 1965, “Portraits in Faith” rende le storie di 500 persone di diverse religioni e tradizioni spirituali nel mondo, raccolte lungo un arco temporale di 25 anni da Daniel Epstein, esperto di marketing e fotografo ebreo che ha viaggiato per il mondo tra impegni di lavoro e fede.
Una comune umanità
In un tempo in cui «le distanze si sono azzerate queste foto ci dicono qualcosa di nuovo: non sono un reportage di realtà inconciliabili, di mondi irraggiungibili ma ci parlano di una comune umanità, perché l’altro fa parte di una fratellanza che ci unisce», ha messo in luce il porporato. «Questo progetto — ha aggiunto il prefetto del Dicastero per il Dialogo Interreligioso in una conversazione con i media vaticani — ha permesso di incontrare 500 persone, conoscerle, ascoltare della loro vita e di ciò che portano dentro». D’altra parte «il dialogo interreligioso è cercare di capire l’altro e rispettarlo, nella responsabilità di promuovere l’armonia e la pace, perché — ha ricordato — nessuna guerra è una vittoria, chi paga di più sono i poveri, i bambini, le donne».
Più maschere che volti
Oggi, ha osservato Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la Comunicazione, «viviamo in un tempo in cui i volti si sono dissolti, vediamo più maschere che volti», per esempio nelle reti sociali. Le foto invece «fermano le immagini e ce le consegnano per la memoria, ci riportano all’origine di quello che siamo, fratelli e sorelle creati ad immagine di Dio, ci ricordano che nel dialogo, nella riscoperta dell’altro, troviamo l’essenza della nostra fede».
L’Imam della grande moschea di Roma, Nader Akkad, che assieme ad Abdellah Redouane, segretario generale del Centro Culturale Islamico d’Italia, ha portato ai presenti il saluto della comunità musulmana italiana, ha esortato a riflettere anche su un’altra foto, quella dell’abbraccio nel 2019 tra Papa Francesco e il Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb, in occasione della firma della Dichiarazione sulla Fratellanza umana: quell’immagine richiama «la bellezza», che sta nei «nostri cuori» e «che si esprime nelle relazioni». Il mondo contemporaneo ferito, ha riflettuto ai nostri microfoni, «ha sete della bellezza delle relazioni, che poi si esprimono in relazioni di fratellanza», in cui ad unire sono «i valori comuni, la giustizia sociale, la dignità dell’uomo, la pace», in un dialogo interreligioso che, ha proseguito, «ci fa conoscere come fratelli in una fede espressa da Dio».
Un'amicizia rispettosa
Daniel Epstein all’evento odierno ha raccontato di aver compiuto un percorso che lo ha portato a scoprire il valore delle differenze per abbattere «il muro della divisione», con la «capacità di dire: questo è un essere umano». Le storie raccontate, ha aggiunto la curatrice del progetto Gina Alicea, sono «piene di contenuto vivente». Perché di fatto il dialogo interreligioso è un incontro tra persone ma anche di cuori, menti, iniziative, in cui si coltiva un’amicizia rispettosa, nonostante le differenze e le diversità. Un’amicizia «che dura», ha testimoniato dal vivo una dei 500 volti incastonati nel progetto, suor Bernadette Reis, delle figlie di San Paolo, perché «quando una persona racconta una storia di fede, che è qualcosa di intimo, non può che nascere un’amicizia». Da “Portraits in Faith” emerge infatti «che l’altro fa parte di me e io faccio parte dell’altro», ha spiegato Lia Beltrami, ideatrice di Emotions To Generate Change: «Nella ricerca di Dio e della fede siamo tutti fortemente uniti da quell’anelito che ci porta verso l’alto, qualsiasi sia il cammino».
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