Il cardinale Koovakad a Fatima per l'evento sul 60.mo anniversario della "Nostra aetate" Il cardinale Koovakad a Fatima per l'evento sul 60.mo anniversario della "Nostra aetate"

Koovakad: "Nostra aetate", una spinta ad agire anche oggi per la pace

Il prefetto del Dicastero per il Dialogo Interreligioso è intervenuto a Fatima all'evento in occasione del 60.mo anniversario della dichiarazione del Concilio Vaticano II sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane: il documento ha contribuito "enormemente" a migliorare i rapporti in modo particolare con gli ebrei e i musulmani ma non solo, in "un’amicizia rispettosa nonostante le differenze e le diversità"

Giada Aquilino - Città del Vaticano

Un momento di «svolta» nella storia della Chiesa cattolica. È quello che il cardinale George Jacob Koovakad, prefetto del Dicastero per il Dialogo Interreligioso, individua nella Nostra aetate, la dichiarazione del Concilio Vaticano II sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane. Il porporato lo ha evidenziato intervenendo oggi al Santuario di Fatima all’evento commemorativo per celebrare il 60.mo anniversario del documento, promulgato da San Paolo VI il 28 ottobre 1965. All’appuntamento, promosso dalla Conferenza episcopale portoghese, la riflessione del cardinale Koovakad si è incentrata sulla genesi e sull’importanza della Nostra aetate, di fatto anche sulla sua attualità. La Dichiarazione, ha messo in evidenza, ha «fondamentalmente determinato un cambiamento nell’atteggiamento della Chiesa cattolica nei confronti delle altre religioni», esortando «a promuovere l’unità e l’amore tra tutti», attraverso il dialogo e la collaborazione: Nostra aetate «ha così aperto la strada a un impatto trasformativo sulla vita della Chiesa, inaugurando una nuova era di relazioni rispettose tra i cattolici e le persone di ogni altra tradizione religiosa».

La nascita del documento

Ripercorrendo il processo che ha portato alla nascita del documento, il prefetto del Dicastero per il Dialogo Interreligioso ha individuato i molti fattori che hanno influito in tal senso. Sicuramente «la rabbia e la repulsione» per l’Olocausto (Shoah), che causò la morte di 6 milioni di ebrei. Il cristianesimo, ha ricordato, fu accusato «dagli ebrei di complicità o indifferenza nell’intera vicenda»: crebbe dunque «la consapevolezza che la Chiesa dovesse avvicinarsi agli ebrei e al giudaismo in modo diverso dal tradizionale “insegnamento del disprezzo”, come lo definì l’illustre studioso ebreo francese Prof. Jules Isaac», egli stesso sopravvissuto all’Olocausto, che ebbe modo di incontrare San Giovanni XXIII.

San Giovanni XXIII e San Paolo VI

Tredici anni dopo la fine della Seconda Guerra mondiale, fu infatti eletto al soglio pontificio Giovanni Roncalli: fu il “Papa buono”, ha evocato il porporato, a convocare un Concilio ecumenico «per rinnovare e aggiornare» la Chiesa cattolica in risposta alle sfide del mondo moderno, per promuovere l’unità dei cristiani e rendere la Chiesa più pastorale nell’approccio e nell’opera di evangelizzazione. Dopo la sua morte, Giovanni Battista Montini, San Paolo VI, «si è giustamente guadagnato il titolo di “Papa del dialogo”» per gli «sforzi pionieristici volti ad avviare e rafforzare il dialogo tra la Chiesa cattolica e le altre confessioni cristiane, le religioni del mondo e la società in generale», in particolare attraverso la sua prima enciclica, l’Ecclesiam suam, e i suoi viaggi internazionali, «una novità assoluta nella storia del papato». Nell’enciclica, ha fatto notare il porporato, usò per 67 volte la parola “dialogo”, che entrò così «per la prima volta» nel lessico cattolico, invitando «la Chiesa al dialogo con le religioni, le culture e le persone di buona volontà». Fu nel 1964 che la Dichiarazione sugli ebrei (Decretum de Iudaeis) – la cui prima bozza è precedente di alcuni anni – venne presentata al Concilio ed emerse la spinta ad un documento che riguardasse non solo l’ebraismo, ma anche l’islam e le altre religioni del mondo.

Il tempo di oggi

Oggi l’importanza della Nostra aetate, ha osservato Koovakad, «attraversa di fatto il presente e si proietta nel futuro con prospettive di nuove collaborazioni interreligiose, punteggiate dalla promessa di costruire sempre più insieme la pace e di raccogliere ulteriormente l’armonia». Perché ciò che 60 anni fa richiedeva «una ridefinizione del rapporto della Chiesa cattolica con le persone di altre tradizioni religiose, in particolare con gli ebrei, continua a inviarci un appello urgente ad agire a favore della pace, della fraternità e della solidarietà nel nostro tempo contemporaneo», quando si assiste a «violazioni dei diritti, violenze contro civili innocenti, aggressioni territoriali che provocano un clima di guerra e fermenti di paura, odio e discriminazione» anche sulla base dell’identità «nazionale e religiosa».
Negli ultimi sessant’anni, il documento ha contribuito «enormemente» a migliorare i rapporti tra i cristiani e gli altri, in modo particolare gli ebrei e i musulmani, «trasformando secolari rappresentazioni negative e stereotipi dannosi, ostilità e animosità in rispetto reciproco, comprensione, riconciliazione, empatia, dialogo e collaborazione per il bene comune». Nostra aetate fa infatti riferimento anche all’induismo, al buddismo e ad altre religioni, lodandone «la ricca spiritualità».

Il contributo di ogni Papa

Il dialogo interreligioso - come «incontro» tra persone ma anche di cuori, menti, progetti «con prospettive di pace e armonia», in cui si coltiva «un’amicizia rispettosa nonostante le differenze e le diversità» - è cresciuto e si è ampliato, ogni Papa ha contribuito, «a modo proprio», a promuoverlo, in un contesto in cui «le sfide globali si sono moltiplicate e sono diventate più complesse». Ecco perché «i principi e lo spirito» della Nostra aetate «sono altrettanto rilevanti, se non di più, per i nostri tempi», mai dimenticando che le religioni sono fonte «di fraternità e solidarietà» e al contempo, come ricorda Leone XIV, «di guarigione e riconciliazione».

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16 ottobre 2025, 14:30