A cento anni dalla Expo Missionaria, le opere continuano a parlare di pace
Paolo Ondarza - Città del Vaticano
Testimoni di incontro, pace e reciprocità interculturale. Furono allestiti in 31 padiglioni i centomila oggetti provenienti da ogni parte del mondo per l’Esposizione Missionaria del 1925. A cento anni di distanza quell’evento viene celebrato il 5 e 6 novembre da un convegno internazionale di studi all’Università IULM, alla Pontificia Università Urbaniana e ai Musei Vaticani
Far conoscere le missioni cattoliche e le tradizioni locali
Voluta da Pio XI in concomitanza con il Giubileo, l’Esposizione era finalizzata al duplice scopo di illustrare la diffusione capillare delle missioni cattoliche nel mondo e di far conoscere le tradizioni, culturali, artistiche e spirituali dei diversi popoli.
Oltre un milione di visitatori
L’Esposizione Missionaria Vaticana «fu un evento importantissimo, voluto da un Pontefice illuminato, aperto, curioso», dichiara Nadia Fiussello, curatrice del reparto per le Raccolte Etnologiche Anima Mundi dei Musei Vaticani. L’idea era quella di raccontare le terre di missione, ma anche e soprattutto «la vita delle persone attraverso gli oggetti e i vari aspetti della loro quotidianità, sia culturali che religiosi». Inaugurata il 21 dicembre 1924, si concluse il 10 gennaio 1926, registrando oltre un milione di visitatori ed un notevole successo di pubblico e di critica.
Le descrizioni dei missionari
Gli oggetti o le loro riproduzioni in miniatura, eseguite quando per ragioni di ingombro non era possibile movimentare gli originali, giunsero in Vaticano dentro enormi casse di legno. Erano accompagnati da descrizioni redatte dai missionari. In queste note emerge la sensibilità propria di ogni ordine o congregazione missionaria. C’è chi mise in luce aspetti intellettuali piuttosto che cultuali o legati alla vita di ogni giorno, come le abitudini alimentari o sanitarie.
Agostino Gemelli e il Padiglione della Medicina
«A differenza delle grandi esposizioni universali europee, Pio XI ha voluto che fosse raccontata la storia e la vita quotidiana di queste popolazioni», aggiunge Fiussello condividendo un aneddoto di particolare interesse: «Papa Ratti incaricò Agostino Gemelli di dedicarsi al Padiglione della Medicina di cui sono rimasti moltissimi oggetti». La finalità era quella di illustrare «quali rimedi utilizzavano le varie popolazioni o gli stessi missionari per curare malattie come la febbre gialla. L’utilizzo della medicina non chimica, oggi tornato di grande attualità, è ad esempio documentato dalla tradizione cinese.
Il terzo linguaggio
Le opere dell’Esposizione, in gran parte confluite nel 1926 nel Museo Etnologico Vaticano oggi denominato Anima Mundi, parlano quello che Fiussello definisce un terzo linguaggio. Un linguaggio di sintesi: non riferibile né ai missionari occidentali, né alle culture di provenienza.
La missione è incontro
«Il nostro è un museo diverso tutti gli etnologici del resto del mondo: nasce infatti come un museo missionario. Ci sono tantissimi oggetti cattolici, cristiani, che testimoniano l'incontro con le popolazioni. I missionari introdussero a livello figurativo le immagini di Cristo, della Madonna o dei santi, ma queste sono state assimilate dalle culture locali che le hanno trasformate utilizzando iconografie autoctone».
Dal Laterano ai Musei Vaticani
La nascita dell’Etnologico Vaticano fu sancita da Pio XI con il Motu Proprio Quoniam tam praeclara del 12 novembre 1926. La sua creazione fu affidata a padre Wilhelm Schmidt. Inizialmente allestito presso San Giovanni in Laterano, il museo accolse circa ottantamila opere provenienti dall’Esposizione Missionaria dell’anno precedente. Nel 1976, per volere di Paolo VI, sotto la supervisione di padre Jozef Penkowski, fu trasferito all’interno dei Musei Vaticani.
Il nuovo Anima Mundi
Negli ultimi anni, con una collezione accresciutasi grazie ai continui doni ricevuti dai Papi nel corso di udienze o viaggi apostolici, ha subito radicali trasformazioni: «L'esposizione degli anni Settanta prevedeva molti oggetti a vista, che rischiavano di rovinarsi essendo continuamente esposti al contatto dei visitatori. Oggi – spiega Nadia Fiussello – i nostri depositi sono a vista, proprio sopra il museo dove gli oggetti sono esposti dietro vetri completamente trasparenti», favorendo un’esperienza immersiva.
La sezione Asia
In questi giorni dopo le sezioni dedicate a Oceania, Americhe e Africa, viene aperta al pubblico la prima parte dell'Asia, dedicata a Giappone e Corea. «Abbiamo quasi completamente allestito la Foresta di Buddha e, grazie ad un costante monitoraggio del clima ed un attento lavoro dei restauratori del Laboratorio Polimaterico, è pronta anche la vetrina delle lacche».
Ambasciatori di pace
Gli oggetti provenienti da ogni latitudine da cent’anni continuano a parlare e a raccontare tradizioni secolari di popoli lontani: «Questi manufatti sono ambasciatori», conclude la curatrice di Anima Mundi ricordando come il rapporto con i Paesi di provenienza abbia consentito di apprendere le corrette metodologie di restauro. Il contatto con i popoli di provenienza ha anche fornito la possibilità di comprendere se esporre o meno al pubblico un oggetto, in base al suo valore cultuale e religioso che riveste. «Il nostro museo non è solo un contenitore, ma è una realtà in divenire, in continuo contatto con le popolazioni di provenienza, con l’obiettivo di favorire un mondo di pace e fraternità»
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