"Domine, quo vadis?", sui Passi di Pietro e Paolo sulla Via Appia
Paolo Ondarza – Città del Vaticano
Se potessero parlare, le pietre che compongono il selciato della Via Appia Antica racconterebbero le storie di moltitudini di viaggiatori, per lo più anonimi, che dal IV secolo ad oggi ne hanno percorso il tracciato. Un percorso lungo 540 chilometri che, voluto dal censore Appio Claudio Cieco nel 312 a.C., collegava Brindisi a Roma. Lunghi tratti di strada costituiscono oggi l’itinerario archeologico che si snoda nel suggestivo scenario naturalistico tra rovine e imponenti pini domestici. Non a caso da qualche anno la “Regina Viarum” è stata riconosciuta patrimonio dell’umanità UNESCO.
Sulle tracce degli Apostoli Pietro e Paolo
Sul basolato che conduce alla Città Eterna si sono incrociati i destini degli Apostoli Pietro e Paolo, patroni di Roma. La tradizione ci ha tramandato l’episodio dell’apparizione miracolosa di Cristo Risorto al primo Papa non molto distante dal Mausoleo di Cecilia Metella. Da qui il pescatore di Galilea si mosse per andare incontro al martirio. L’Apostolo delle Genti invece giunse a Roma proprio attraverso questa strategica arteria di collegamento per iniziare la sua opera di diffusione del Vangelo nel mondo.
Da Porta San Sebastiano al primo miglio
Il nostro percorso parte dal primo miglio segnato oggi da una copia della colonna miliare originale: segnava la distanza, pari a 1,480 km, dall’inizio della strada a Porta Capena. A pochi passi c’è Porta San Sebastiano, la più grande e tra le meglio conservate delle porte nella cinta difensiva delle Mura Aureliane di Roma. È chiamata con il nome del primo martire le cui spoglie si conservano nelle vicine catacombe al di sotto dell’omonima basilica. Sullo stipite destro è incisa sulla pietra la figura dell'Arcangelo Michele mentre uccide un drago. A fianco campeggia un'iscrizione, in latino medievale in caratteri gotici: ricorda la battaglia combattuta e vinta il 29 settembre 1327, nella memoria liturgica di san Michele, dalle milizie romane ghibelline dei Colonna contro l'esercito guelfo del re di Napoli Roberto d'Angiò, guidato da Giovanni e Gaetano Orsini.
“È un ex voto in ringraziamento per la vittoria avvenuta”, spiega padre Piotr Marcin Burek della Congregazione di San Michele Arcangelo. Con lui percorriamo gli ottocento metri che ci separano dal luogo in cui avvenne l’incontro tra Pietro e Gesù Risorto. Di fronte all’ingresso delle Catacombe di San Callisto, sorge la piccola chiesa di Santa Maria in Palmis, nota come Domine Quo Vadis? di cui il sacerdote polacco è rettore.
Signore, dove vai?
Padre Piotr tiene subito a precisare un dettaglio spesso trascurato: San Pietro non fuggiva dalle persecuzioni di Nerone. Lo sappiamo da una lettera di Sant’Ambrogio, che racconta come l’Apostolo fosse consapevole che il momento del martirio sarebbe prima o poi arrivato. A chiedergli di lasciare la città era la comunità cristiana di Roma che desiderava proteggere la vita di questo testimone oculare del Vangelo. Pietro cede a queste richieste e si incammina lungo l’Appia Antica dove avviene l’incontro con Gesù a cui l’apostolo chiede: Domine Quo Vadis?, ovvero Signore, dove stai andando?. A questa domanda il Risorto rispose Venio Romam iterum crucifigi, che significa Vengo a Roma a farmi crocifiggere di nuovo”.
Pietro comprende: il Signore gli indicava la strada del martirio. Doveva tornare verso la città per compiere la volontà di Dio e edificare la Chiesa, che in quegli anni stava nascendo a Roma.
“Pietro si è sentito sostenuto dal Signore, confermato nella missione che era chiamato a compiere”, osserva padre Piotr ricordando la visita di san Giovanni Paolo II nel 1981 in questa chiesa: “Il Papa ricordando lo scrittore polacco Henryk Sienkiewicz, Premio Nobel per il romanzo Quo vadis?, osservò come questo luogo sia importante per ogni successore di Pietro”.
Le impronte di Cristo
Appena varcata la soglia della piccola chiesa, padre Marcin Burek ci introduce nell’atmosfera di quel dialogo avvenuto duemila anni fa. Lo raccontano due affreschi ottocenteschi di Ercole Ruspi, che sulle pareti laterali, l’uno di fronte all’altro, raffigurano rispettivamente Pietro e Cristo.
Lo straordinario incontro tra i due è narrato anche da un altro affresco posto sopra l’altare e appena restaurato grazie ai fondi del Ministero della Cultura. Di grande impatto, ai lati del presbiterio, posti specularmente, l’uno rispetto all’altro, i quadri con le due crocefissioni: quella del Salvatore e l’altra, a testa in giù, dell’Apostolo.
Sul pavimento, appena varcata la soglia dell’edificio, ai nostri occhi si impongono i selci scuri della strada romana. In mezzo spicca una pietra più chiara che reca impresse le impronte di due piedi. Il sacerdote spiega: “È una copia della pietra originale collocata nel 1620 nella Basilica di San Sebastiano, accanto alle reliquie del martire. La tradizione attribuisce queste impronte a Gesù, ma la cosa più importante è la scritta scolpita sulla pietra: ci dice che Gesù ha posato in questo luogo i suoi piedi santi”.
La Madre che indica la Via
Non a caso il vero nome di questa chiesa è “Santa Maria delle Palme o delle Piante”. Il rettore ci mostra l’unica testimonianza dell’antica chiesa ricostruita nel XVII secolo. Si trova nell’abside ed è un lacerto di affresco di scuola giottesca, risalente alla prima metà del Trecento. Raffigura la dolcissima figura della Vergine che con una mano cinge il corpo del Bambino, con l’altra ne indica il piede. “La nostra Madre Celeste si rivolge anche oggi a noi, suoi figli per dirci: Seguite mio Figlio. Lui è la via, la verità e la vita”.
Secoli di devozione
La figura del Risorto con gli strumenti della Passione è rappresentata in tutta la sua bellezza in un calco della celebre statua michelangiolesca custodita nella chiesa romana di Santa Maria Sopra Minerva: “È conservato qui almeno dalla metà del secolo scorso”, precisa padre Piotr. “Oggi si trova in una cappella laterale. Precedentemente era posto al centro della chiesa, vicino alle impronte di Cristo”. Un segno tangibile della devozione degli innumerevoli pellegrini che hanno visitato questo luogo lungo i secoli è uno dei piedi della scultura. È in metallo: ha sostituito quello originale, consumato dal continuo passaggio dei fedeli.
Reliquie e santi polacchi
Nel Domine Quo Vadis è presente anche un sacello francescano. Prima dei Micaeliti, fino al 1978, infatti la chiesa era retta dall’Ordine dei Frati Minori, custodi della vicina Basilica di San Sebastiano. In una vetrina inoltre sono esposte le reliquie di San Giovanni Paolo II, suor Faustina Kowalska, del beato Bronislao Markiewicz, fondatore delle Congregazioni di San Michele Arcangelo e della famiglia Ulma, sterminata dai nazisti per aver dato rifugio a otto ebrei e beatificata nel 2023.
Discernimento, la strada che porta a Gesù
Usciamo da questa chiesa così ricca di spiritualità e con padre Piotr Marcin Burek ritorniamo sulla via Appia Antica. Santa Maria in Palmis si trova in un incrocio stradale particolarmente trafficato. La quiete che ci siamo lasciati alle spalle sembra in un primo momento contrastare con il caos cittadino. In realtà anche questa immagine offre uno spunto spirituale. “Le tante strade che qui convergono – fa notare il sacerdote – suggeriscono il tema del discernimento, fondamentale per ogni cristiano. Nel nostro cammino cristiano capita di non sapere dove andare, cosa fare, quale strada seguire. Anche Pietro e Paolo fecero i conti con questi dubbi. La loro risposta fu una sola: Cristo”.
Camminare insieme
“Il capitolo 28 degli Atti degli Apostoli”, nota il sacerdote micaelita, riferisce l’arrivo di Paolo in prossimità del Foro Appio alle Tre Taverne. Come Pietro, sapeva che lo attendeva il martirio. Ad accoglierlo gli sono venuti incontro i fratelli di Roma. La comunità cristiana lo ha incoraggiato.
Un messaggio importante anche per noi: non dimenticare mai la forza della comunità cristiana che ci sostiene nella fede e nella nostra vita”.
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