Francesco Sforza, il fotografo artigiano che ha messo occhi e cuore al servizio dei Papi
PAOLO RUFFINI
Francesco Sforza lo ho conosciuto, e imparato a riconoscerlo, prima che lui conoscesse me. Dovunque c’era il Papa c’era lui. Prima di lui. Discreto, silenzioso, sorridente, trafelato. Ha sempre cercato di non comparire. Però c’era. C’è sempre stato. Ed era impossibile non accorgersi di lui. Laddove arrivava, sicuramente dopo pochi istanti sarebbe arrivato il Papa.
Occhi del Papa e del popolo di Dio
Iniziando con Papa Paolo VI, passando per Giovanni Paolo II e, poi, dal 2007 come primo fotografo per Papa Benedetto, di Papa Francesco e concludendo il suo servizio, in questi mesi, con Papa Leone XIV, ha prodotto scatti che per migliaia di persone sono diventati ricordi indelebili, foto straordinarie dei Papi dei loro viaggi, dei loro incontri.
Francesco, che va oggi in pensione, è stato per quarantotto anni gli occhi dei Papi e gli occhi del popolo di Dio che incrociava i suoi sguardi con quello del successore di Pietro. È stato allievo ed assistente di un altro grande fotografo, Arturo Mari, che per cinquantuno anni documentò la storia della Chiesa di Roma, da Pio XII a Benedetto XVI. L’uomo che raccontò per immagini anche l’attentato a Giovanni Paolo II.
Discrezione e umiltà
Quando Mari si ritirò toccò a Francesco prenderne il testimone che oggi lui lascia a Simone Risoluti. Con una discrezione e una umilità che sfidano la leggenda.
Francesco non è praticamente mai comparso in nessun resoconto, in nessun titolo di giornale. Ma la storia gli deve e gli dovrà molto. Le sue foto sono state pubblicate dai giornali di tutto il mondo. Hanno toccato la mente e i cuori di milioni di persone. Ma senza la sua firma.
Francesco ha fatto della sua macchina fotografica uno strumento di comunione. Ha raccontato con le immagini l’essenza del ministero petrino: la prossimità, l’incontro, l’abbraccio, l’incontro degli sguardi. Penso alle foto a Regina Coeli, all’abbraccio di Francesco con i detenuti. O le foto con i bambini e rifugiati nel campo profughi di Lesbo. Penso alle foto in Iraq o in Canada; a quella della donna anziana che stava con un cartello a Panama: anche noi sappiamo fare chiasso.
Una sicurezza
Francesco è finito anche lui, suo malgrado, fotografato; nelle foto di altri, e nelle riprese televisive. Per questo lo conoscevo senza conoscerlo. Come tutti nel mondo. Perché era impossibile non conoscerlo. Francesco c’era sempre. Una sicurezza.
Le foto dove lui finiva, quasi per sbaglio, presenza amica e discreta, hanno colto la magia del suo lavoro. Congelare in un’immagine la storia nel mentre che essa si fa. Capire un istante prima la grandezza e la bellezza dell’istante dopo, quando l’amore diventa visibile.
Il dono a un senzatetto
Una volta, lui così schivo nel parlare, disse che “il fotografo è un artigiano che mette le mani, mette gli occhi, ma soprattutto mette il cuore” nel suo lavoro, nella sua macchina. Lo disse quando regalò ad un ex senzatetto, a nome suo e dei suoi colleghi del servizio fotografico, una macchina fotografica usata per fotografare il Papa. Aggiungendo: “Chi vive in strada sa come un solo scatto ci può far conoscere realtà che a volte non vediamo o non vogliano vedere”.
Una testimonianza per immagini
Personalmente io lo ho poi conosciuto solo quando sono diventato prefetto del Dicastero per la Comunicazione. E ogni volta che ci ho parlato, che l'ho visto fotografare, oppure lavorare al computer per archiviare ogni giorno centinaia e centinaia di foto, ho pensato che la sua è stata una vocazione. Testimoniare con le immagini ciò che le parole non dicono. Lasciare nella storia una traccia per immagini di ciò che aveva visto, del bene che aveva incontrato, della presenza di Gesù nel mondo.
Grazie Francesco!
Oggi che Francesco va in pensione credo che tutti gli dobbiamo un grazie.
Grazie Francesco per ogni scatto, per ogni momento colto e catturato con la macchina fotografica, grazie per le tue poche parole e i tuoi grandi sorrisi. Per aver testimoniato che la buona comunicazione non è quella che fa rumore, ma quella che sa vedere, anche nei silenzi, il senso della storia e la grandezza della fede.
Grazie per aver insegnato al mondo come vedere la bellezza della Chiesa, la sua misericordia, la sua speranza. Grazie per ogni scatto che è divenuto preghiera.
So che con queste parole scritte violo la tua discrezione. Ma conto sulla tua comprensione.
Buona vita Francesco. Con la tua macchina fotografica sulle spalle continua a raccontare quello che di bello c’è nel mondo.
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