I Papi, la Türkiye e il Libano, nelle carte dell’Archivio Vaticano
Paolo Ondarza – Città del Vaticano
La figura di Giovanni XXIII si distingue nella documentazione dell’Archivio Apostolico Vaticano relativa ai rapporti tra i Successori di Pietro e le terre di Turchia (Türkiye) e Libano. Dai documenti pontifici emerge come i due Paesi, meta del primo viaggio apostolico di Leone XIV, siano stati al centro dell’attenzione pastorale dei Papi contemporanei.
Turchia, da Paolo VI ad oggi
Da Paolo VI a Francesco infatti, ad eccezione di Giovanni Paolo I, per ovvi motivi, tutti i Vescovi di Roma si sono recati in Turchia, terra che ha dato i natali a san Paolo, in cui si sono svolti i primi concili ecumenici e che conserva significative testimonianze della fede cattolica.
Il seme gettato da Roncalli
Un riflesso dell’attenzione della Chiesa Cattolica per questo Paese è presente nelle carte dell’Archivio Vaticano, specialmente in quelle conservate nel fondo relativo al pontificato di Pio XII, rese disponibili per la consultazione dal 2020. “Alcune testimonianze documentali – spiega Alejandro Mario Dieguez, officiale incaricato della sistemazione del materiale dell'Ottocento e del Novecento – riguardano proprio la lenta e faticosa maturazione delle relazioni reciproche portata avanti da un altro papa, Giovanni XXIII, che da vicario e delegato apostolico a Istanbul tra il 1935-1944 riuscì a gettare il seme, in condizioni molto restrittive, per una distensione, culminata con lo scambio di rappresentanti diplomatici in seguito alla visita del presidente della Repubblica di Turchia Celân Bayar a Papa Roncalli nel 1959”.
I delegati apostolici in abiti civili
Per comprendere meglio in cosa consistessero queste condizioni restrittive, Dieguez ricorda che le difficoltà nei rapporti tra Vaticano e Turchia avevano origine non solo nel fatto che quest’ultima fosse uno Stato sostanzialmente musulmano, “ma aveva ricevuto da Kemal Atatürk un’impostazione fortemente nazionalista e laicista”. A tal proposito è interessante guardare curiose foto di delegati apostolici, come Roncalli o il suo successore Alcide Marina in abiti civili.
I rapporti “muti”
“Appena giunto mons. Roncalli a Istanbul, il governo turco emanava la legge che vietava alle donne l’uso del velo e ai sacerdoti l’uso dell’abito. Era vietato inoltre introdurre nel Paese L’Osservatore Romano, così come ogni tipo di propaganda religiosa”, spiega l’archivista vaticano. “Il governo, poi, non riconosceva ufficialmente il delegato apostolico, per cui Roncalli nel suo decennio di permanenza non riuscì ad avere alcun incontro, neanche informale, con le massime autorità turche”.
È interessante leggere tra le carte d’archivio quanto quest’ultimo, poco dopo il suo arrivo sulle rive del Bosforo, riferiva alla Segreteria di Stato: «Col governo turco continuano i rapporti “muti”. Di fatto questi signori lasciano sempre correre, cifra, libertà di trasmissione telegrafica, epistolari, passaggio di corrieri, il che a detta di tutti e in questi tempi pare gran cosa. Ma nessun rapporto personale con il delegato apostolico. Credo opportuno non insistere per avere di più, parendomi che questo sia pure in adiunctis un bel modo di intenderci. Però portai la mia carta con alcune buone parole, tanto al Ministro degli Esteri Numan Menemencioglu, come al Direttore Generale degli Affari Esteri. Non ebbi segno di contraccambio sino ad ora».
Quell’abito laico fuori misura
Nonostante tali condizioni, evidentemente scoraggianti per un diplomatico, “Roncalli – osserva Dieguez – era convinto che il Vangelo poteva illuminare ogni situazione, quindi cercò di innestarsi in questa realtà, scartando il facile ricorso a un netto rifiuto. Cercò, insomma, di puntare più su quello che ci unisce che su quello che ci divide. Ad esempio, si racconta che, obbedendo alla legge, si presentò a un monastero di suore vestito da laico, ma con un abito rimediato chissà dove, con la giacca troppo stretta e i pantaloni troppi corti. Come pastore, spinse la sua piccola comunità cattolica, più portata a chiudersi in sé stessa, ad aprirsi abbattendo le barriere, a vivere la fraternità universale anche con gli ‘acattolici’. Dimostrò anche la sua stima per i turchi introducendo la loro lingua in alcune preghiere devozionali”.
L’amico dei turchi
Questa attività di rispettoso inserimento valse a Roncalli la stima della Turchia che lo ricordò sempre come ‘amico dei turchi’, addirittura come il ‘papa turco’. “All’indifferenza delle alte autorità dello Stato – osserva l’Officiale dell’Archivio Apostolico – rispose sempre con lealtà e cortesia, senza ricorrere all’aiuto dei diplomatici francesi o italiani per evidenziare la soprannazionalità, l’indipendenza della Santa Sede dai Governi europei e non comprometterla dando l’impressione che fosse asservita alle potenze cattoliche e occidentali”.
Dal seme al frutto
Un atteggiamento di rispetto questo, che porterà frutto: “nel 1959 con l’intesa raggiunta da Giovanni XXIII e il presidente Bayar, si arriva infatti allo scambio di rappresentanze diplomatiche, con tutto ciò che questo atto rappresenta, portando a compimento un progetto da lungo tempo accarezzato da Papi e sultani” e mirato a stingere relazioni più strette con l’impero ottomano prima e con la Turchia poi.
L’incontro tra il sultano e il delegato apostolico
Un precedente significativo è individuato da Alejandro Mario Dieguez nell’udienza concessa dal sultano Abdul Hamid II al delegato apostolico Augusto Bonetti nel 1897, durante gli ultimi anni di pontificato di Leone XIII.
Ecco alcuni stralci del resoconto di quell’incontro:
La Santa Sede e il Libano
Per quanto riguarda il Libano, dove Leone XIV giungerà il 30 novembre, dalle carte vaticane, risalenti anche al Settecento, emerge una costante premura della Santa Sede nei confronti di un popolo formato da una parte cattolica e da un’altra musulmana, e circondato da paesi musulmani.
Simbolo di convivenza pacifica
“Negli anni Cinquanta – rimarca l’archivista vaticano – il Libano era l’unica nazione, nei i due continenti di Africa ed Asia, ad avere un capo di Stato cattolico e un gabinetto di governo formato da cattolici e musulmani. La popolazione cattolica era poi composta da membri di diversi riti: maroniti, greco cattolici, armeni cattolici, caldei, siriani cattolici e latini. Per questo, in occasione della sua breve sosta nell’aeroporto di Beirut il 2 dicembre 1964, Paolo VI descrisse il Libano come simbolo della coabitazione pacifica di diverse comunità”.
La Svizzera del Medio Oriente
“Era allora considerato come un centro di irradiazione culturale per tutto il Medio Oriente, una terra di pace e sicurezza, che attirava non solo società straniere a stabilirvi le loro sedi commerciali, ma che offriva rifugio e protezione ai perseguitati dei paesi vicini: una Svizzera del Medio Oriente”.
A fronte di “tendenze reciprocamente contrastanti delle diverse comunità”, riscontrate dal nunzio Alcide Marina al suo arrivo a Beirut nel 1948, il Libano offriva un interessante esempio di coesistenza tra diversi gruppi etnico-religiosi. Lo testimoniano le immagini della Festa del Papa del 1948 che Alejandro Mario Dieguez ci mostra.
Il Paese messaggio
Successivamente il Paese dei Cedri è stato attraversato da anni sofferenza e violenza, ricevendo la costante attenzione e la visita dei Papi contemporanei: dal breve scalo tecnico di Paolo VI nel suo viaggio in India nel 1964; al viaggio di Giovanni Paolo II nel 1997 con il suo appello alla ricostruzione di un “Paese messaggio”; fino all’ultimo viaggio apostolico di Benedetto XVI nel settembre 2012.
Ma anche nel caso del Libano, evidenzia l’Officiale dell’Archivio Apostolico, “il futuro Papa Giovanni fu un precursore: nel 1954, da cardinale patriarca di Venezia fu inviato da Pio XII come suo legato al Congresso Mariano Libanese”.
Al pro-segretario di Stato Montini, l’allora nunzio apostolico a Beirut Giuseppe Beltrami scriveva così il 7 luglio 1954 a proposito di Roncalli: «Egli è conosciuto da molti, ha vissuto lungamente in Oriente e poi viene da Venezia. Non è privo di significato il fatto che la Serenissima, legata in ogni tempo da molteplici vincoli con queste regioni, ci invii ora il suo illustre Patriarca come rappresentante del Sommo Pontefice».
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