I Papi, la Türkiye e il Libano, nelle carte dell’Archivio Vaticano

Due Paesi profondamente diversi, ma al centro della costante attenzione dei Pontefici contemporanei: da Paolo VI a Leone XIV. Lo testimoniano i documenti dell’Archivio Apostolico Vaticano, in modo speciale la sezione relativa al Pontificato di Pio XII, aperta alla consultazione dal 2020. La svela a Vatican News Alejandro Mario Dieguez

Paolo Ondarza – Città del Vaticano

La figura di Giovanni XXIII si distingue nella documentazione dell’Archivio Apostolico Vaticano relativa ai rapporti tra i Successori di Pietro e le terre di Turchia (Türkiye) e Libano. Dai documenti pontifici emerge come i due Paesi, meta del primo viaggio apostolico di Leone XIV, siano stati al centro dell’attenzione pastorale dei Papi contemporanei.

Turchia, da Paolo VI ad oggi

Da Paolo VI a Francesco infatti, ad eccezione di Giovanni Paolo I, per ovvi motivi, tutti i Vescovi di Roma si sono recati in Turchia, terra che ha dato i natali a san Paolo, in cui si sono svolti i primi concili ecumenici e che conserva significative testimonianze della fede cattolica.

Ascolta l'intervista a Alessandro Mario Dieguez

Il seme gettato da Roncalli

Un riflesso dell’attenzione della Chiesa Cattolica per questo Paese è presente nelle carte dell’Archivio Vaticano, specialmente in quelle conservate nel fondo relativo al pontificato di Pio XII, rese disponibili per la consultazione dal 2020. “Alcune testimonianze documentali – spiega Alejandro Mario Dieguez, officiale incaricato della sistemazione del materiale dell'Ottocento e del Novecento – riguardano proprio la lenta e faticosa maturazione delle relazioni reciproche portata avanti da un altro papa, Giovanni XXIII, che da vicario e delegato apostolico a Istanbul tra il 1935-1944 riuscì a gettare il seme, in condizioni molto restrittive, per una distensione, culminata con lo scambio di rappresentanti diplomatici in seguito alla visita del presidente della Repubblica di Turchia Celân Bayar a Papa Roncalli nel 1959”.

Archivio Apostolico Vaticano
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I delegati apostolici in abiti civili

Per comprendere meglio in cosa consistessero queste condizioni restrittive, Dieguez ricorda che le difficoltà nei rapporti tra Vaticano e Turchia avevano origine non solo nel fatto che quest’ultima fosse uno Stato sostanzialmente musulmano, “ma aveva ricevuto da Kemal Atatürk un’impostazione fortemente nazionalista e laicista”. A tal proposito è interessante guardare curiose foto di delegati apostolici, come Roncalli o il suo successore Alcide Marina in abiti civili.

Archivio Apostolico Vaticano
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I rapporti “muti”

“Appena giunto mons. Roncalli a Istanbul, il governo turco emanava la legge che vietava alle donne l’uso del velo e ai sacerdoti l’uso dell’abito. Era vietato inoltre introdurre nel Paese L’Osservatore Romano, così come ogni tipo di propaganda religiosa”, spiega l’archivista vaticano. “Il governo, poi, non riconosceva ufficialmente il delegato apostolico, per cui Roncalli nel suo decennio di permanenza non riuscì ad avere alcun incontro, neanche informale, con le massime autorità turche”.

Archivio Apostolico Vaticano
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È interessante leggere tra le carte d’archivio quanto quest’ultimo, poco dopo il suo arrivo sulle rive del Bosforo, riferiva alla Segreteria di Stato: «Col governo turco continuano i rapporti “muti”. Di fatto questi signori lasciano sempre correre, cifra, libertà di trasmissione telegrafica, epistolari, passaggio di corrieri, il che a detta di tutti e in questi tempi pare gran cosa. Ma nessun rapporto personale con il delegato apostolico. Credo opportuno non insistere per avere di più, parendomi che questo sia pure in adiunctis un bel modo di intenderci. Però portai la mia carta con alcune buone parole, tanto al Ministro degli Esteri Numan Menemencioglu, come al Direttore Generale degli Affari Esteri. Non ebbi segno di contraccambio sino ad ora».

Quell’abito laico fuori misura

Nonostante tali condizioni, evidentemente scoraggianti per un diplomatico, “Roncalli – osserva Dieguez – era convinto che il Vangelo poteva illuminare ogni situazione, quindi cercò di innestarsi in questa realtà, scartando il facile ricorso a un netto rifiuto. Cercò, insomma, di puntare più su quello che ci unisce che su quello che ci divide. Ad esempio, si racconta che, obbedendo alla legge, si presentò a un monastero di suore vestito da laico, ma con un abito rimediato chissà dove, con la giacca troppo stretta e i pantaloni troppi corti. Come pastore, spinse la sua piccola comunità cattolica, più portata a chiudersi in sé stessa, ad aprirsi abbattendo le barriere, a vivere la fraternità universale anche con gli ‘acattolici’. Dimostrò anche la sua stima per i turchi introducendo la loro lingua in alcune preghiere devozionali”.

Archivio Apostolico Vaticano
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L’amico dei turchi

Questa attività di rispettoso inserimento valse a Roncalli la stima della Turchia che lo ricordò sempre come ‘amico dei turchi’, addirittura come il ‘papa turco’.  “All’indifferenza delle alte autorità dello Stato – osserva l’Officiale dell’Archivio Apostolico – rispose sempre con lealtà e cortesia, senza ricorrere all’aiuto dei diplomatici francesi o italiani per evidenziare la soprannazionalità, l’indipendenza della Santa Sede dai Governi europei e non comprometterla dando l’impressione che fosse asservita alle potenze cattoliche e occidentali”.

Dal seme al frutto

Un atteggiamento di rispetto questo, che porterà frutto: “nel 1959 con l’intesa raggiunta da Giovanni XXIII e il presidente Bayar, si arriva infatti allo scambio di rappresentanze diplomatiche, con tutto ciò che questo atto rappresenta, portando a compimento un progetto da lungo tempo accarezzato da Papi e sultani” e mirato a stingere relazioni più strette con l’impero ottomano prima e con la Turchia poi.

L’incontro tra il sultano e il delegato apostolico

Un precedente significativo è individuato da Alejandro Mario Dieguez nell’udienza concessa dal sultano Abdul Hamid II al delegato apostolico Augusto Bonetti nel 1897, durante gli ultimi anni di pontificato di Leone XIII.

Archivio Apostolico Vaticano
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Ecco alcuni stralci del resoconto di quell’incontro:

“Sua Maestà mi accolse con grande benevolenza […]. So poi, soggiunse il Sultano, che Ella è andata a Roma, mi dia notizie della salute del Papa che tanto stimo e venero. Hanno parlato di me? Allora gli presentai gli omaggi del Santo Padre dicendogli che Sua Santità mi aveva trattenuto da lui manifestando il più grande interesse per la prosperità del suo Impero. Qui il Sultano volle entrare nei particolari della vita di Sua Santità domandandomi la sua età, le sue occupazioni giornaliere il suo vitto ecc. ecc. (…) il Sultano mi esprimeva tutta la sua ammirazione per la incomparabile attività, forza d’animo e potenza d’ingegno di cui fa giornalmente prova il Santo Padre malgrado la sua avanzata età. Mi pregò quindi di esser l’interprete presso Sua Santità de’ suoi sentimenti di stima e di venerazione assicurandoLa da parte sua che i Cattolici del suo Impero saranno sempre trattati con que’ riguardi che convengono al loro Capo sovrano. Finito lo scambio cortese dei convenevoli, il Sultano ripigliò in questi precisi termini: Ben si ricorda che più volte abbiam parlato di quel mio progetto di avere un Agente diplomatico presso il Vaticano, progetto che Ella aveva comunicato al S. Padre il quale lo aveva approvato. Sin qui non ho potuto mandarlo ad esecuzione per causa dei vari e gravi avvenimenti che ci preoccuparono, ma non l’ho perduto di vista, anzi ne ho già intrattenuti i miei Ministri ed attendo un loro rapporto per metterlo ad esecuzione. Il S. Padre gliene ha fatto parola nell’ultima udienza? È egli nelle stesse disposizioni circa questo affare? Io risposi che, benché questa volta il S. Padre non me ne abbia parlato, tuttavia potevo assicurare Sua Maestà che tale progetto sorrideva al Sommo Pontefice come me lo aveva assicurato egli stesso l’anno scorso e che mi portavo garante che si trovava sempre nelle stesse disposizioni perché la parola del Papa non cambia. Allora, soggiunse il Sultano, poiché Lei crede che tale notizia può riuscire gradita al S. Padre io la autorizzo a dirgli da parte mia, che la nomina di un mio agente diplomatico presso il Vaticano mi sta molto a cuore, tanto più che un tale fatto contribuirebbe molto a far cadere tanti pregiudizi e false idee spacciate da certi giornali contro i Turchi che essi fanno passare come nemici implacabili dei Cristiani”

La Santa Sede e il Libano

Per quanto riguarda il Libano, dove Leone XIV giungerà il 30 novembre, dalle carte vaticane, risalenti anche al Settecento, emerge una costante premura della Santa Sede nei confronti di un popolo formato da una parte cattolica e da un’altra musulmana, e circondato da paesi musulmani.

Archivio Apostolico Vaticano
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Simbolo di convivenza pacifica

“Negli anni Cinquanta – rimarca l’archivista vaticano – il Libano era l’unica nazione, nei i due continenti di Africa ed Asia, ad avere un capo di Stato cattolico e un gabinetto di governo formato da cattolici e musulmani. La popolazione cattolica era poi composta da membri di diversi riti: maroniti, greco cattolici, armeni cattolici, caldei, siriani cattolici e latini. Per questo, in occasione della sua breve sosta nell’aeroporto di Beirut il 2 dicembre 1964, Paolo VI descrisse il Libano come simbolo della coabitazione pacifica di diverse comunità”.

Archivio Apostolico Vaticano
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La Svizzera del Medio Oriente

“Era allora considerato come un centro di irradiazione culturale per tutto il Medio Oriente, una terra di pace e sicurezza, che attirava non solo società straniere a stabilirvi le loro sedi commerciali, ma che offriva rifugio e protezione ai perseguitati dei paesi vicini: una Svizzera del Medio Oriente”.

A fronte di “tendenze reciprocamente contrastanti delle diverse comunità”, riscontrate dal nunzio Alcide Marina al suo arrivo a Beirut nel 1948, il Libano offriva un interessante esempio di coesistenza tra diversi gruppi etnico-religiosi. Lo testimoniano le immagini della Festa del Papa del 1948 che Alejandro Mario Dieguez ci mostra.

La Festa del Papa, Beirut 1948. Il ricevimento alla nunziatura. Il rappresentante dell'Arabia Saudita
La Festa del Papa, Beirut 1948. Il ricevimento alla nunziatura. Il rappresentante dell'Arabia Saudita

Il Paese messaggio

Successivamente il Paese dei Cedri è stato attraversato da anni sofferenza e violenza, ricevendo la costante attenzione e la visita dei Papi contemporanei: dal breve scalo tecnico di Paolo VI nel suo viaggio in India nel 1964; al viaggio di Giovanni Paolo II nel 1997 con il suo appello alla ricostruzione di un “Paese messaggio”; fino all’ultimo viaggio apostolico di Benedetto XVI nel settembre 2012.

Ma anche nel caso del Libano, evidenzia l’Officiale dell’Archivio Apostolico, “il futuro Papa Giovanni fu un precursore: nel 1954, da cardinale patriarca di Venezia fu inviato da Pio XII come suo legato al Congresso Mariano Libanese”.  

Archivio Apostolico Vaticano
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Al pro-segretario di Stato Montini, l’allora nunzio apostolico a Beirut Giuseppe Beltrami scriveva così il 7 luglio 1954 a proposito di Roncalli: «Egli è conosciuto da molti, ha vissuto lungamente in Oriente e poi viene da Venezia. Non è privo di significato il fatto che la Serenissima, legata in ogni tempo da molteplici vincoli con queste regioni, ci invii ora il suo illustre Patriarca come rappresentante del Sommo Pontefice».

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28 novembre 2025, 14:53