Parolin: umiltà e piccolezza antidoto alle "parole di minaccia" dei potenti
Edoardo Giribaldi – Roma
Non sono i potenti, con le loro “parole di minaccia”, né il fragore prodotto dalla “prepotenza delle armi”, a percorrere le “vie della salvezza” che conducono a una crescita piena, “fino alla misura della pienezza”. Né tantomeno i superbi, “che pensano di bastare a sé stessi”, senza bisogno “né di Dio, né degli altri”. Le strade da seguire sono altre: quelle della “piccolezza e dell’umiltà”, di chi si presenta con “cuore disarmato” e con labbra che non proferiscono menzogna. È questa l’indicazione del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, presiedendo questa mattina, 16 dicembre, la Messa presso la cappella dell’Istituto Dermopatico dell’Immacolata (Idi), a Roma.
Le tre venute del Signore
I giorni che precedono il Natale, “carichi di speranza e di desiderio”, sono sostenuti dalla liturgia, che prende per mano l’intera comunità ecclesiale e la conduce progressivamente “al mistero della nascita del Salvatore”, come un fuoco “che illumina e riscalda il cuore”. Un tempo di attesa, dunque, orientato anche alla seconda venuta del Signore. In proposito il porporato ha ricordato come le venute di Cristo siano tre: la prima, avvenuta a Betlemme più di duemila anni fa; quella futura, alla fine dei tempi; e una terza, che i Padri della Chiesa definiscono “intermedia”, che si innesta ogni giorno nel cuore dei fedeli e della comunità cristiana “attraverso la Parola e i sacramenti”.
Umiltà e speranza
Il tempo di Avvento - ha sottolineato il cardinale segretario di Stato - è proprio un cammino di preparazione alla seconda venuta, che passa attraverso un atteggiamento di umiltà e di speranza. Parolin ha quindi ripreso il passo della prima lettura, tratto dal libro del profeta Sofonìa, nel quale il Signore ammonisce: “Guai alla città ribelle e impura, alla città che opprime! Non ha ascoltato la voce, non ha accettato la correzione. Non ha confidato nel Signore, non si è rivolta al suo Dio”. Un rimprovero che non riguarda tanto le “pietre” della città, quanto la sua classe dirigente, incapace di riconoscere l’avvento del giorno del Signore e il suo giudizio, che - ha ricordato il cardinale - è “di condanna per i superbi e di gioia per gli umili”.
"Guardarsi dentro"
La Parola diventa così un invito rivolto a ciascuno, in questi giorni che precedono il Natale, a “guardarsi dentro”, anche attraverso la preghiera, riconoscendo come, nel mondo frenetico contemporaneo e tra le molte incombenze quotidiane, non sia facile ritagliare uno spazio per l’interiorità. A questo proposito, Parolin ha ricordato l’inizio, proprio oggi, della Novena di Natale.
Il senso di "impotenza" di fronte alla malattia
Il porporato si è poi soffermato sul brano evangelico di Matteo, nel quale Gesù racconta la parabola dei due figli: il primo, che inizialmente rifiuta di andare a lavorare nella vigna, ma poi si pente e vi si reca; il secondo, che promette di farlo ma non mantiene la parola. A compiere la volontà del padre è il primo. Il Signore - ha spiegato Parolin - cerca “cuori sinceri” per la sua missione, una missione che si declina anche tra le mura dell’Istituto, luogo “familiare”, ma segnato anche dal confronto quotidiano con il senso di “impotenza” di fronte alla malattia.
La visita ai degenti
“Ogni giorno, in questo luogo, può nascere una nuova presenza del Salvatore da accogliere”, ha affermato il cardinale, citando ancora i Padri della Chiesa, secondo i quali Cristo può nascere in mille modi: “ma se non nasce ogni giorno nel tuo cuore, non vale nulla la sua nascita a Betlemme”. Da qui l’invito a rendere l’Istituto una vera e propria “culla”. Al termine della messa, il cardinale ha posto un Gesù Bambino sotto l’albero di Natale allestito nell’entrata dell’Istituto. Successivamente, si è recato nel reparto di oncologia, per portare gli auguri di Natale ai degenti.
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