Visita del cardinale segretario di Stato Piero Parolin in Mozambico Visita del cardinale segretario di Stato Piero Parolin in Mozambico 

Parolin: "Non dimentichiamo le vittime del conflitto di Cabo Delgado"

Intervista con il cardinale segretario di Stato sulla sua recente visita in Mozambico, dove ha incontrato gli sfollati che fuggono dalle milizie islamiste

Andrea Tornielli

Cabo Delgado rischia di cadere nella categoria dei “conflitti dimenticati”. Lo afferma in questa intervista con i media vaticani il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, rientrato nei giorni scorsi da una visita in Mozambico.

Eminenza può dire quale realtà ha trovato, quali difficoltà vive quel Paese e quali segni di speranza ha incontrato?

La mia visita in Mozambico, dal 5 al 10 dicembre scorsi, mi ha fatto rivivere i sentimenti di gioia e le emozioni della visita apostolica con Papa Francesco nel settembre del 2019. Certo, a distanza di sei anni, tante cose sono cambiate. Ciò che non cambia è l’accoglienza della gente. È il fascino dell’Africa, che colpisce immediatamente!  Il viaggio rispondeva a tre motivi: la celebrazione del 30° anniversario delle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e il Mozambico; la chiusura della Giornata nazionale della gioventù; e la visita in Cabo Delgado.  Il ricevimento commemorativo dei 30 anni di relazioni diplomatiche ha avuto luogo il 5 dicembre nella Nunziatura Apostolica, a Maputo. La presenza del Presidente della Repubblica, S.E. il Sig. Daniel Francisco Chapo, dell’ex-Presidente Joaquim Chissano, e di esponenti del Governo e dell’Opposizione, mi ha offerto l’occasione per ricordare che il Mozambico ha bisogno di pace.  Dopo un periodo di gravi disordini sociali e di violenza seguiti alle ultime elezioni generali, il Paese è tornato alla calma. Tuttavia, per rafforzare la convivenza pacifica e promuovere riforme istituzionali, è stato avviato un processo di “dialogo nazionale inclusivo”, che mi auguro abbia successo, anche per dare speranza ai giovani che costituiscono la maggioranza del Paese e il cui entusiasmo ho potuto sperimentare durante la Santa Messa conclusiva della Giornata nazionale della gioventù.

Lei ha avuto modo di visitare, nella provincia di Cabo Delgado, le comunità di sfollati vittime dell’insurrezione jihadista che dal 2017 ha colpito il nord del Mozambico. Quale situazione ha trovato, in che condizioni vivono?

Ho dedicato due giorni alla visita in Cabo Delgado per esprimere la vicinanza e la solidarietà della Chiesa universale e del Santo Padre alla popolazione che soffre per la violenza terroristica jihadista. Gli attacchi dei gruppi armati, che a partire dalla seconda metà del 2023 si sono estesi all’intera provincia di Cabo Delgado, hanno raggiunto pure le province di Nampula e Niassa. Il 6 settembre 2022 venne uccisa la missionaria comboniana italiana Suor Maria De Coppi nella missione di Chipene, nella diocesi di Nacala e Provincia di Nampula. Questo conflitto ha provocato numerosissimi sfollati, stimati, alla fine del 2023, intorno alle 765.000 persone. Vi sono diversi campi di sfollati in tutta la provincia. Alcuni di loro sono stati accolti da famiglie locali. Il 9 dicembre mi sono recato al campo di Naminawe che ne ospita circa 9.200, tra cui quasi 3.700 bambini, mentre ne continuano ad arrivare. Vivono in condizioni veramente disagiate. Nonostante l’appoggio di alcune organizzazioni caritative, accusano mancanza di cibo, di medicine e perfino di acqua potabile. E come se non bastasse, il ciclone Chido che ha colpito la zona a dicembre dell’anno scorso, ha severamente danneggiato le abitazioni costruite con materiali fragili. I bambini di quel campo, come le centinaia di migliaia negli altri campi disseminati in tutta la regione, rischiano di perdere il futuro perché non hanno sufficienti possibilità di istruzione. I giovani si sentono prigionieri come in un carcere a cielo aperto, perché mancando i mezzi di trasporto, non possono uscire per trovare dei piccoli lavori nelle città più vicine. È stata un’esperienza molto dolorosa. Tanta sofferenza, tanta tristezza, tante domande non risposte emergevano da quei volti!

Dalla provincia di Cabo Delgado, al confine con la Tanzania, il conflitto si è spostato verso sud colpendo anche la provincia di Nampula. Secondo l’Ufficio Onu per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha), oltre 100.000 persone sono fuggite dalle loro case nelle ultime settimane, portando a più di 330.000 il numero degli sfollati negli ultimi quattro mesi. Si parla di uccisioni per chi non si converte all’Islam. Quali sono le cause di questa tragedia?

Segnali di radicalizzazione cominciarono ad emergere in alcune zone della provincia di Cabo Delgado prima del 2017, a causa dell’azione di alcuni islamisti provenienti dalla Tanzania o transitati attraverso tale Paese. La violenza, che iniziò in quell’anno, si è poi aggravata a partire dal 2020. I gruppi armati, composti prevalentemente da adolescenti e giovani e raggruppati nell’Ahlu Sunna Wa Jama (ASWJ), associato allo Stato islamico, si ispirano all’ideologia della jihad e sognano di instaurare il Califfato. Ci sono stati e continuano ad esserci episodi di decapitazione di cristiani. Sebbene le cause profonde del conflitto siano numerose e complesse, non possiamo dimenticare che la religione, purtroppo, viene oggi usata da alcuni in maniera abusiva. Dico purtroppo perché per secoli le diverse religioni, in particolare il Cristianesimo e l’Islam, hanno convissuto in Mozambico in pace, armonia e rispetto reciproco. Oggi in Cabo Delgado, i terroristi sfruttano la povertà, la disoccupazione, il diffuso risentimento contro lo sfruttamento delle ingenti risorse locali che non apporta benefici visibili alla popolazione locale, le tensioni etniche e politiche, ecc. per attrarre i giovani. La popolazione musulmana locale, che costituisce la maggioranza della provincia di Cabo Delgado, si è opposta alla strumentalizzazione della religione, ma non mancano al suo interno crescenti simpatie per il movimento jihadista. Le moschee stanno progressivamente subendo un processo di radicalizzazione. La popolazione, soprattutto i cristiani e anche i musulmani moderati, vivono con paura e dolore. Alcuni dei nostri fedeli cattolici hanno affrontato la morte senza rinnegare la fede in Gesù crocifisso e risorto. 

Che cosa sta facendo la Chiesa per aiutare la popolazione?

Le testimonianze degli agenti pastorali della diocesi di Pemba (Cabo Delgado) mi hanno commosso. Alcuni sacerdoti, costretti a lasciare le proprie parrocchie, continuano ad accompagnare il loro gregge come “pastori sfollati”. Le comunità religiose che vivono situazioni di insicurezza, invece di fuggire, hanno aperto le porte a chi sta peggio di loro. La Chiesa locale non ha abbandonato il popolo sofferente. L’ho ringraziata sentitamente per questa sua testimonianza. C’è poi tutta l’azione umanitaria, per venire incontro alle tante emergenze conseguenza della situazione. Essa collabora con altre Organizzazioni delle Nazioni Unite e della società civile per garantire agli sfollati il necessario: cibo, indumenti e riparo sicuro. Il servizio concreto e efficiente della Caritas diocesana di Pemba va apprezzato e appoggiato. Ancora, si sforza di promuovere la pace e l’armonia socio-religiosa. A Pemba ho partecipato a un breve incontro interreligioso, organizzato dalla Diocesi, con la partecipazione di rappresentanti musulmani e di altre confessioni. 

Che cosa possiamo fare noi? 

La prima cosa da fare è non dimenticare i nostri fratelli e sorelle di Cabo Delgado. È vero che la comunità internazionale, e specificatamente la Comunità per lo Sviluppo dell’Africa Australe (SADC), ha inviato una missione militare, la quale, con l’ulteriore presenza di forze rwandesi, ha potuto ristabilire una certa sicurezza in alcune città, come Pemba e Palma, ma ho l’impressione che anche il conflitto di Cabo Delgado rischia di cadere nella categoria dei “conflitti dimenticati”. In questo senso mi sono espresso più volte durante la visita e spero che essa, come anche queste mie parole, contribuisca a una più grande attenzione e ad un maggiore interessamento del mondo su quel conflitto. Come cristiani, abbiamo a nostra disposizione le “armi” della preghiera e della carità fraterna. Pregare e appoggiare le attività di assistenza in favore degli sfollati di Cabo Delgado, non solo li aiuterà a sentirsi meno soli, ma sarà per noi un modo per vivere bene il Natale. Che il Principe della Pace, nato a Betlemme, porti pace a quella cara terra del Mozambico! 

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Visita del cardinale Parolin in Mozambico
23 dicembre 2025, 14:30