Nicea, una bussola ancora funzionante
Roberto Cutaia - Firenze
"A 1700 anni dall’indizione del Concilio, siamo chiamati a rivolgere la nostra attenzione su questo grande evento del IV secolo per farne memoria e per verificare come a distanza di secoli un insegnamento, quando intende affermare la verità, sia capace di conservare la sua peculiarità, sempre a partire dalle coordinate storiche in cui è stato formulato e anche a prescindere da quel particolare contesto". Lo ha detto sabato 18 ottobre l’arcivescovo emerito di Firenze, cardinale Giuseppe Betori, portando i saluti al convegno internazionale (iniziato nel capoluogo toscano giovedì 16) nell’anno dell’anniversario del Concilio di Nicea (325-2025) intitolato Giustizia consustanziale? Chorologia estetica e ri-generazione istituzionale. Far-essere nel voler-bene. L’evento, organizzato dalla rete dei cenacoli rosminiani, ha riunito esperti internazionali (da Italia, Austria, Francia, Stati Uniti, Danimarca, Giappone, Città del Vaticano) tra colline e borghi medievali della Toscana come la Certosa di Firenze e la Pieve di Sant’Alessandro a Giogoli.
La capacità di Nicea di generare esperienza ecclesiale e culturale
"Trovo una straordinaria convergenza - ha detto monsignor Pierangelo Sequeri, del Pontificio istituto teologico “Giovanni Paolo II” per le scienze del matrimonio e della famiglia - con l’enfasi che io pongo sull’implicazione ontologica della generazione divina, considerata come principio del far-essere assoluto dal quale è impossibile arretrare verso il primato di una sostanza-auto-riferita. La collocazione dell’affezione generativa nel luogo della principialità assoluta mi pare un tema di esplicitazione ancora mancata. L’affezione rimane argomento ostinatamente 'psicologico' e l’assoluto un principio di consolidata sterilità". Nicea secondo i convegnisti è ancora oggi una bussola “funzionante”, capace di generare esperienza ecclesiale e culturale. “Generato non creato della stessa sostanza del Padre”: è un aspetto del dogma di Nicea del 325, ha sottolineato monsignor Antonio Staglianò, presidente della Pontificia accademia di teologia. Il problema teologico è il seguente: Gesù di Nazareth è il Figlio eterno nel quale tutto è stato creato. Egli è l’immagine del Dio invisibile, per mezzo di Lui e da Lui e per Lui sono tutte le cose; Egli è il Principio della Genesi di cui si dice: “In principio Dio creò il cielo e la terra, cioè nel Principio che è Gesù”. Questa è una rilettura cristocentrica cristiana, ovviamente".
Un dialogo profondo tra fede e ragione
Fede, ragione e la sostanza di Dio: Aristotele tra Nicea e Costantinopoli. Ecco il trait d’union o l’ago della bilancia tra due millenni. "Nel corso dei secoli - ha evidenziato Silvia Fazzo, dell’Università del Piemonte Orientale - si è spesso pensato che il pensiero cristiano delle origini fosse segnato soprattutto dal platonismo, e che Aristotele, con il suo rigore logico e sistematico, rappresentasse piuttosto il volto “freddo” della ragione. Ma se si guarda più da vicino al dibattito teologico fra il III e il IV secolo, emerge una storia diversa: quella di un dialogo profondo e trasformante tra fede e ragione, in cui Aristotele ha avuto un ruolo decisivo, benché quasi sempre implicito". Ma è dall’implicito che scaturisce il cambiamento d’epoca. "La mia idea, ha ribadito Paolo Heritier, dell’Università del Piemonte Orientale, è sullo sfondo dell’analisi del concetto di sostanza del simbolo, letto dalla prospettiva della svolta affettiva di Sequeri, del progetto di ricerca promosso dalla rete dei cenacoli rosminiani e dall’estetica giuridica propria di una filosofia del diritto: provare a interrogarsi sulla necessità di comprendere la nozione di sostanza all’interno della prospettiva interculturale che oppone logos, riferito al triplice principio logico aristotelico (identità, non contraddizione, terzo escluso), e lemma, che aggiunge ai principi aristotelici la duplice affermazione, variamente al seguito di Nishida Kitaro e Yamauchi Tokuryu".
Il contributo di Rosmini
Tuttavia la grandezza degli uomini che "contribuiscono al bene comune nella Chiesa e nella società - deduce Vito Nardin, rosminiano dell’Istituto della Carità - non appare sempre nel corso della loro vita, ma più tardi. Rosmini fu ritenuto grande già in vita, ma da pochi. Ora cresce il numero di chi lo ritiene tale, e intende fruire e diffondere la sua dottrina". Tant’è che la trasmissione della fede per tutti è diventata più che una sfida. "Se dunque la persona, ha affermato Fernando Bellelli, presidente della rete dei cenacoli rosminiani, citando il beato, "è attività suprema per natura sua, egli è manifesto che si deve trovare nell’altre persone il dovere morale corrispondente di non lederla, di non fare pure un pensiero, un tentativo volto ad offenderla o sottometterla, spogliandola della sua supremazia naturale, come si scorge applicandovi il principio morale da noi stabilito “di riconoscere praticamente le cose per quelle che sono". Dunque, la persona ha nella sua natura stessa tutti i costitutivi del diritto: essa è dunque il diritto sussistente, l’essenza del diritto (Filosofia del diritto, Città Nuova, Roma, 2014, vol. II, n. 52).
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui