Gaza, tra rovine e macerie i cristiani sognano una pace giusta
Marie Duhamel - Città del Vaticano
Di fronte allo stato di devastazione in cui versa Gaza e di fronte all’immensità del dolore dei suoi abitanti, ma anche del lavoro e dell’impegno che li aspetta, i cristiani reagiranno assumendosi l’impegno a ricostruire e a prendersi cura degli uomini. Padre Gabriel Romanelli, parroco della Sacra Famiglia a Gaza City, riflette sulla speranza ora di vedere stabilirsi una pace giusta per tutti, “da un lato e dall’altro del muro”.
Padre Romanelli, qual è l’attuale stato d’animo dei suoi parrocchiani?
C’era il timore che questo passo potesse essere il primo, ma anche l'ultimo di questo processo di pace. E non sarebbe stata la prima volta che un processo, appena iniziato, finisce. Ma, ora sembra davvero possibile che questa guerra sia finita e che qualcosa di nuovo cominci. Nonostante il momento di serenità e di gioia, però, non si può dimenticare che Gaza è completamente distrutta. Molte delle persone che si sono rifugiate in parrocchia da noi non hanno più una casa, alcune sono state abbattute in queste ultime due settimane di guerra. L’ultimo giorno di violenza ha visto radere al suolo diversi quartieri e le persone hanno perso tutto, tra beni e ricordi. Le scuole, come le università, gli ospedali, tutte le strutture essenziali oggi mancano totalmente. La paura esiste, ma allo stesso tempo, ci rimettiamo al lavoro. Ci chiediamo cosa possiamo fare per il bene delle persone, per continuare ad aiutare i poveri. Grazie al patriarca latino di Gerusalemme, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, e a molte associazioni, la piccola chiesa della Sacra Famiglia ha aiutato e continuerà ad aiutare migliaia di famiglie a Gaza.
Siete già in procinto di pianificare la vostra missione?
Abbiamo fatto molto e vogliamo continuare così, ma sono necessarie trasformazioni. Avevamo tre scuole. Speriamo di poterle riaprire, ma due sono state bombardate, ed è pieno di rifugiati là. La scuola adiacente alla chiesa anche è occupata da rifugiati della comunità cristiana. Prima della guerra, nelle nostre scuole, avevamo 2250 alunni, la maggior parte musulmani, il 10% cristiani. Ma oggi dove possiamo mettere questi bambini? Tutte le scuole sono state messe a disposizione dei rifugiati. E poi, come facciamo a riorganizzare la vita sociale? Ci sono macerie ovunque. Tutti i sistemi di acque reflue sono distrutti, mancano acqua potabile ed elettricità, manca l’essenziale. Bisogna procedere con calma e continuare a pregare come abbiamo sempre fatto, con l'adorazione quotidiana, le omelie, i rosari. Occorre avere ogni giorno un tempo di incontro con i bambini, i giovani e anche con gli adulti. Perché la vita spirituale è il fondamento della nostra forza per continuare a servire l'enorme numero di poveri, così come gli anziani e le persone con disabilità.
A Sharm el-Sheikh si sta pensando al futuro dello Stato di Palestina. Voi siete sostenuti dalla vostra fede. È il caso di tutti? Come si possono dirottare paura e rabbia verso qualcosa di costruttivo?
Fortunatamente devo dire che i cristiani d'Oriente sono esempi per noi. Sanno che la guerra è opera degli uomini, non di Dio. Sanno che in Dio, si trova la forza, la pace, la grazia, per continuare a vivere la nostra vita spirituale e servire tutti. E ciò che è veramente toccante è che mai ho sentito un cristiano esprimere un sentimento di rivalsa e di vendetta. Inoltre, in generale, si può dire che i cittadini del Medio Oriente credono in Dio. E anche se ci sono atteggiamenti che cambieranno senza dubbio a causa della guerra, la maggior parte della popolazione di Gaza e anche di Israele, e della Cisgiordania, dove la situazione è molto grave, è davvero stanca della guerra. Tutti desiderano che finisca. È per questo che speriamo sia l'inizio di un nuovo periodo di pace basato sulla giustizia. Perché se non si rispettano i diritti delle persone, che sia da un lato o dall'altro del muro, ci saranno problemi per il futuro.
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