Giubileo delle équipe sinodali. Meyer: il Sinodo una grande scommessa per la Chiesa
Johan Pacheco – Città del Vaticano
Il Giubileo delle équipe sinodali, in Vaticano da oggi fino al 26 ottobre, permette l’incontro e il ricongiungimento di realtà provenienti da diverse parti del mondo che camminano nello spirito della sinodalità. In un colloquio con i media vaticani, il coordinatore della Caritas per l'America Latina e i Caraibi, Nicolás Meyer, partecipante a questo evento giubilare e sinodale, fa il punto sulla vita della Chiesa nell'intera area a partire proprio dall'esperienza della Caritas.
“Siamo molto coinvolti in questa agenda sinodale, in questo processo è meglio dire - afferma Meyer - perché fin dall'inizio Papa Francesco lo ha presentato come un processo e non come un evento della Chiesa destinato a concludersi: è infatti un processo di conversione, di cambiamento e di trasformazione. Una parola che in Caritas ci ha colpito molto nell'ultimo Documento sugli orientamenti, che ha facilitato e mostrato l'itinerario successivo al Documento finale del Sinodo, è stata quella della sperimentazione. Come Chiesa abbiamo bisogno di sperimentare nuove forme di legame, nuovi significati, nuovi meccanismi di lavoro, e ancora nuovi processi, procedure, nuove strutture". Il coordinatore di Caritas per l'America Latina e i Caraibi esprime la sua soddisfazione per l'accompagnamento sinodale del Successore di Pietro: “Siamo stati molto felici che Papa Leone abbia potuto dare tanta continuità a ciò che Francesco stava proponendo, dimostrando che si tratta di una decisione del magistero, al di là della persona che incarna il Santo Padre in ogni momento della storia. È il nostro Pontefice che continua a incoraggiarci e ci ha invitato a vivere questo momento con lui”.
Il Sinodo, una voce forte
Nicolás Meyer sottolinea anche che, nella sua regione, “il Sinodo è stato una voce che è risuonata forte e che ciascuno ha percepito come propria". "Credo che dalla nostra ultima conferenza di Aparecida, poi con l'Assemblea Ecclesiale di tutto il Continente, in Messico durante la pandemia di Covid-19, gli aspetti proposti dal Sinodo abbiano avuto un’ampia eco. Pertanto tutti, le Chiese locali, le conferenze episcopali, le diocesi, hanno formato delle équipe per lavorare insieme e capire come dare seguito a quelle linee. C’è una grande vitalità, una grande scommessa su questo processo sinodale - aggiunge Meyer - che bisogna sempre continuare a rivitalizzare, non bisogna adagiarsi sugli allori delle espressioni che ci sembrano belle, sensate, ma che poi non si traducono in pratiche che trasformano la vita concreta delle comunità ecclesiali”.
Dilexi te, la carezza di Dio ai più bisognosi
Riguardo alla risposta sinodale della Caritas in America Latina, Meyer sottolinea che “ha a che fare con la capacità della Chiesa di portare la carezza di Dio ai più bisognosi, a coloro che soffrono di più, affrontando in particolare la realtà della migrazione, della tratta degli esseri umani e dei rifugiati; ma anche la realtà dei mezzi di sussistenza per la popolazione, del lavoro come risposta alla povertà strutturale, fino a tutta la questione della gestione delle emergenze, che è qualcosa di molto identitario per noi e un bisogno che la società in questo momento di crisi ambientale, dovuta ai cambiamenti climatici, ci chiede con forza”.
Lavorare con i poveri e gli esclusi
Per questo, ritiene anche che l'esortazione apostolica di Papa Leone XIV, Dilexi te, sull'amore verso i poveri ci parli in modo incisivo “del nostro compito, del nostro servizio, dell'essere la missione evangelizzatrice della Chiesa attraverso la pastorale sociale. Questo testo ha molto senso, non solo in questo momento storico, ma riassume Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, il magistero di Francesco, e ora il contributo di Leone XIV. Quella voce della Chiesa, del magistero sociale della Chiesa, che trascende i momenti della storia, che trascende anche i momenti ecclesiali, dove si ritorna alla radice evangelica secondo cui poveri sono la presenza di Dio in mezzo a noi. Ci ricorda che i poveri ci evangelizzano come Chiesa, che essi sono una parte viva che la Chiesa deve accogliere, abbracciare, e ci ricorda che noi non lavoriamo per i poveri, ma lavoriamo con loro. Con loro, al loro fianco, per la loro promozione, per il loro sviluppo, per generare strutture giuste di fronte a tante strutture ingiuste che sopravvivono a causa di un peccato strutturale”, afferma Meyer. Infine, guardando al Giubileo, ritiene che la speranza, cuore dell’Anno Santo, debba essere “una realtà che si incarna e che si può toccare, non solo un discorso, una narrazione o un desiderio. Dobbiamo essere in grado di mostrare in che modo la speranza si incarna in comunità molto concrete e questa è una sfida molto grande per la Caritas, perché lavoriamo tanto con il dolore e la sofferenza, ma sappiamo che in quel dolore e in quella sofferenza Cristo c’è e trasforma quelle realtà: partendo dai cuori fino alle strutture”.
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