Libano, il vescovo di Batroun: il Papa porterà speranza a cristiani, ebrei e musulmani
Cecilia Seppia – Città del Vaticano
Come aveva atteso Giovanni Paolo II nel 1997 e Benedetto XVI nel 2012, il Paese dei Cedri attende ora Papa Leone XIV che per il suo primo viaggio apostolico ha scelto la Turchia, con il pellegrinaggio a İznik in occasione del 1700° anniversario del Concilio di Nicea e poi di farsi pellegrino in Libano, il piccolo-grande "Paese messaggio", mosaico di popoli capaci di vivere pacificamente insieme, ma anche teatro di scontri e guerra civile tanto da essere considerato “polveriera del Medio Oriente”, vittima di una violenta emorragia umana a causa dell’emigrazione, che però continua a mantenere un ruolo cruciale, storico, culturale e sociale in tutta la regione mediorientale e nel bacino del Mediterraneo. Appena la notizia si è diffusa, è stata accolta con gioia e entusiasmo, come segno concreto della vicinanza del Pontefice all’intera nazione in questo passaggio chiave della sua storia. “Per i libanesi questa visita ha un significato enorme”, dice ai media vaticani monsignor Mounir Khairallah, vescovo di Batroun dei Maroniti.
Segni di una nuova era
“La scelta di Papa Leone di compiere qui la sua prima visita la accogliamo e la leggiamo con tanta speranza. Dal 1975 al 2025 siamo stati in guerra, il Libano è stato distrutto, alcune città rase al suolo, lo abbiamo ricostruito tante volte e mai abbiamo perso la speranza, mai ci siamo rassegnati. Già all'inizio di quest’anno, il Signore ha cominciato a mandarci segni concreti per poter realizzare questa speranza. Il primo segno è stato l'elezione del presidente, poi il primo ministro, il governo intero, formato da gente onesta, persone integre che sono arrivate con la volontà di ricostruire lo Stato e la Repubblica del Libano e mettersi al servizio del popolo, senza corruzione”. Era il “sogno” di Papa Francesco farsi pellegrino in questa terra, non ci è riuscito, e così il gesto di Leone XIV si colloca certo nel solco della continuità con il suo predecessore e sotto la bandiera di quella pace piena e duratura parola-programma con cui Leone si è presentato al mondo appena eletto al Soglio di Pietro. “Il mio ultimo incontro con Papa Francesco è avvenuto nell’ottobre del 2024 in conclusione del Sinodo dei Vescovi sulla sinodalità - prosegue il pastore di Batroun - e gli avevo chiesto: ‘Santo Padre ma quando verrà in Libano?’ E lui mi rispose: ‘eleggete un presidente, e io verrò. È per me un sogno venire in Libano e essere un messaggero di pace per voi’. Questo sogno oggi si realizza con Papa Leone XIV e per noi è appunto il segno di una nuova era”.
Due tappe dal valore spirituale e geopolitico
Anche se la Sala Stampa non ha ancora diffuso i dettagli e le singole tappe del viaggio, cosa che avverrà come dichiarato dal direttore Matteo Bruni, tra qualche settimana, monsignor Mounir Khairallah si sofferma anche sulla Turchia, ricordando che la terra di Antiochia fu la prima sede di San Pietro e di San Paolo, il primo luogo dove i seguaci di Cristo vennero chiamati cristiani. E ricorda pure il legame tra il Patriarcato di Antiochia e le Chiese del Medio Oriente. Del viaggio in Turchia, Papa Leone aveva già parlato con il Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, nell’incontro avuto con lui il 19 maggio scorso, all’indomani della Messa d’inizio Pontificato, confermando la volontà di incontrarsi a Nicea per l’anniversario dello storico Concilio che formulò il simbolo, la professione di fede in cui i cristiani di ogni confessione si riconoscono. Una commemorazione a cui Leone XIV ha da subito desiderato prendere parte, definendola non “un evento del passato”, ma “una bussola che deve continuare a guidarci verso la piena unità visibile di tutti i cristiani”. Il viaggio in Turchia, dunque, sarà certamente un’importante occasione di dialogo tra Chiesa cattolica e ortodossa, a cui la visita in Libano, Paese martoriato dai conflitti, dalla crisi economica, politica e umanitaria, aggiungerà anche un forte valore sul fronte geopolitico.
Il Paese messaggio di pace, libertà, convivenza, democrazia
“Il Libano, Paese messaggio per i popoli, non ha mai perso di vista questa sua missione e il suo ruolo anche nel contesto politico del Medio Oriente – afferma il presule che fa parte anche del comitato esecutivo dell’Assemblea dei Patriarchi Vescovi del Libano -. E’ un Paese messaggio di libertà, prima di tutto, messaggio di democrazia, messaggio di convivialità e coesistenza tra diverse religioni, confessioni, appartenenze politiche, culturali, identità. Qui convivono 18 diverse comunità che hanno bisogno di essere confermate nella fede. Dunque per noi veramente questo viaggio del Santo Padre è come un sole che sorge dopo 50 anni di guerra, di tenebre. Un’iniezione di fiducia per tutti i libanesi, cristiani, musulmani, ma anche ebrei. Perciò stiamo vivendo con grande gioia e soddisfazione anche questo tempo di attesa che ci separa dall’abbraccio con Pietro. Ci stiamo preparando con il cuore aperto. La gioia è tangibile soprattutto nei giovani che aspettano l'incontro con il Papa anche come uno spiraglio di luce per il loro futuro che vorrebbero costruire qui in Libano e non fuori, come quotidianamente accade, perché per carenza di opportunità spesso sono costretti a studiare e lavorare all’estero”.
Una storia di continuità e amicizia
Tanti Papi hanno guardato al Libano con affetto, con particolare cura, spesso anche con apprensione: pensiamo a Papa Paolo VI la cui fine del pontificato fu segnata con l'inizio della guerra civile in Libano e poi Giovanni Paolo II con il suo Messaggio a tutti i libanesi del 1° maggio 1984, scritto a seguito di un incontro con i Patriarchi delle Chiese del Paese. Durante gli ultimi anni della guerra civile in Libano, Wojtyla ha mobilitato reti informali e formali per cercare di salvare vite umane e trovare soluzioni al conflitto. Sul piano della diplomazia pontificia, il futuro cardinale Tauran fu coinvolto nella negoziazione degli Accordi di Taif, che permisero di tornare a un certo equilibrio, seppur precario, a partire dal 1990. Ma è stato solo nel 1997, dopo 19 anni di attesa, che Giovanni Paolo II è riuscito finalmente a recarsi fisicamente a Beirut, per un viaggio apostolico che è rimasto nella storia, soprattutto per la sua espressione "Paese messaggio", che ancora oggi viene spesso usata dai libanesi che vogliono evidenziare la particolare missione del Libano nel concerto delle nazioni e nel disegno di Dio. Quindici anni dopo, il suo successore, Benedetto XVI, ha seguito le sue orme per recarsi nel Paese dei Cedri nel settembre 2012, per l'ultimo viaggio apostolico del suo Pontificato. Mentre il conflitto nella vicina Siria e il contesto turbolento di molti Paesi mediorientali suscitavano il timore di un viaggio ad alta tensione, il Papa fu accolto in un'atmosfera calda e consensuale, piena di entusiasmo, anche dai movimenti musulmani che lo hanno salutato sventolando le bandiere vaticane, tra lo stupore dei giornalisti occidentali.
Ricostruire insieme
“Come ha detto il nostro presidente della Repubblica Aoun, quelli tra i Papi e il Libano sono legami storici, solidi, vissuti nell’amicizia e nel rispetto. Tutti i papi hanno portato il Libano nel loro cuore e nella loro missione. Perciò Leone XIV – afferma ancora il vescovo di Batroun - viene da noi portando anche tutto il bagaglio di storia e politica del Vaticano e del Libano. Viene a rinsaldare un legame che è già forte tra la Santa Sede e il Paese dei Cedri ma anche tra la Chiesa cattolica e le Chiese orientali. Non dimentichiamoci che il suo predecessore Leone XIII nel 1894 è stato il primo Papa a pubblicare una lettera per le Chiese cattoliche orientali in cui mostrava apertura all'Oriente e la volontà di valorizzare la loro tradizione”. Frutto di questo lavoro sinergico secondo monsignor Khairallah è anche la convivenza pacifica tra le varie anime che abitano il Libano: “E' per questo che il Libano è un Paese messaggio: cristiani e musulmani, ma anche ebrei, possiamo e vogliamo ricostruire il nostro Libano Paese Messaggio e siamo certi di arrivarci tutti insieme, perché nonostante tutto riusciamo a camminare insieme”.
Positivo per tutto il Medio Oriente l'accordo tra Hamas e Israele
Allargando lo sguardo alla scena internazionale, con l’accordo di pace raggiunto tra Israele ed Hamas, monsignor Mounir Khairallah esprime soddisfazione per l’intesa nonostante la tregua a Gaza appaia estremamente fragile e tanti siano ancora gli sforzi da compiere per la ricostruzione, quindi sottolinea l’apporto e il sostegno dato dai Paesi arabi affinché si arrivasse alla fine delle ostilità. “E’ un accordo positivo, non solo per palestinesi e israeliani, ma è un accordo positivo per tutti i nostri Paesi. Oggi davvero possiamo dire che c’è un sole che sorge per il Medio Oriente attraverso questo primo passo. Rimane però sempre aperta la questione del riconoscimento dello Stato di Palestina. La risoluzione delle Nazioni Unite del 1949 non è mai stata realizzata, per noi dunque la soluzione e la pace passeranno attraverso il riconoscimento ufficiale e internazionale dello Stato di Palestina accanto allo Stato di Israele”. Per quanto riguarda la posizione del Libano, il vescovo di Batroun conferma che ci sono ancora questioni aperte con Israele e lo stesso presidente Aoun nei giorni scorsi ha auspicato che si possa arrivare a negoziati diretti con lo Stato ebraico ma l'auspicio è sempre lo stesso: che il dialogo prevalga sulle armi.
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