Le donne beduine accolgono i vescovi lombardi pellegrini di pace
di Cecilia Sierra *
Per la prima volta, un gruppo di donne beduine si è trovato di fronte a tanti uomini che non erano della loro famiglia, né condividevano la loro lingua, la loro fede o la loro terra. Tutto sembrava dividerle… eppure, qualcosa di invisibile e profondo le ha unite. Dalla loro umile capanna di lamiere e zinco — divenuta sala d’incontro e cuore del villaggio — si sono preparate con cura per quel momento tanto atteso.
«Sono della Chiesa», avevamo detto loro. «Vengono come pellegrini di pace.» E così, con una timidezza piena di dignità, hanno aperto la loro casa e il loro cuore per accogliere più di trenta vescovi italiani, giunti in questa terra ferita e sacra alla ricerca del volto umano della speranza.
L’aroma del caffè appena fatto e del tè alle erbe si mescolava con l’aria calda del deserto sulla strada che da Gerusalemme va a Gerico. Jamila, la padrona di casa, organizzava con pazienza le vicine: ognuna portava il caffè preparato nella propria abitazione, come se con ogni tazza offrisse una benedizione. E, per la prima volta, come una concessione alla tradizione, le donne si sono lasciate vedere, condividendo lo stesso spazio con degli sconosciuti. Con mani ferme e sguardi gentili mostrarono i loro ricami: fili colorati che raccontano la loro storia, la loro resistenza, la loro bellezza.
Sono circa venticinque donne — nonne, madri, giovani — unite dal desiderio di conservare l’arte delle antenate e di tessere con le proprie mani un futuro più dignitoso. Dopo settimane di apprendimento, alcune di loro hanno ricevuto quel giorno il primo compenso. «È il primo denaro che guadagno con il mio lavoro. Mi sento così felice», racconta Rimal, con gli occhi accesi. «Sognavo di diventare infermiera, ma ho dovuto lasciare la scuola. Camminavamo per ore per arrivarci, a volte senza mangiare. Dalla guerra tutto si è fermato… ma io continuo a sognare. Amo l’inglese, vorrei scrivere un libro. Ho tante storie da raccontare.»
La piccola sala comune si è riempita di risate, sguardi e gratitudine. Le donne hanno offerto a ciascun vescovo un semplice biglietto di Natale, realizzato da altre beduine che non avevano potuto essere presenti. «Che cosa stanno cantando?», chiese curiosa Naufa, mentre i vescovi intonavano ‘O sole mio’. «Che bello… che tornino ancora», ripeteva commossa.
Alla fine, il silenzio è sceso come un velo. I vescovi lombardi, guidati dall’arcivescovo Mario Delpini, hanno alzato le mani per benedire. Sotto l’immenso cielo del deserto, la presenza di Dio si è fatta vicina, avvolgendo tutti e tutte — cristiani, musulmani, credenti e cercatori — in un unico abbraccio. Nel cuore della povertà e dell’incertezza, dove tante frontiere dividono, le donne beduine hanno tessuto con la loro ospitalità una piccola profezia: che anche nella terra arida, gravida di conflitto e dolore, la vita fiorisce; che anche nell’ostilità, la pace può nascere; che Dio, l’Uno, il Dio di tutti e tutte, continua a infondere il suo respiro di vita in questo deserto, tessendo con noi e tra noi Fili di Pace.
*Suora comboniana
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui