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La Turchia si prepara ad accogliere Papa Leone XIV: in foto la moschea di Hagia Sophia a Iznik	La Turchia si prepara ad accogliere Papa Leone XIV: in foto la moschea di Hagia Sophia a Iznik   (ANSA)

Il viaggio del Papa in Turchia, padre Monge: un messaggio per credenti e non credenti

Il frate domenicano e direttore del Centro per il dialogo interculturale DoSt-I di Istanbul, commenta con i media vaticani il primo viaggio apostolico di Leone XIV in Turchia. Le prospettive per la comunità cristiana e i cambiamenti in corso nella Chiesa locale. Le attese del potere politiche, il ruolo del dialogo e le speranze di pace in Medio Oriente, su cui dice: dalla precarietà della tregua alla stabilità di qualcosa di nuovo solo assicurando vera giustizia

Roberto Paglialonga - Città del Vaticano

"Che Papa Leone faccia partire il suo primo viaggio apostolico in assoluto proprio dalla Turchia, penso sia un messaggio estremamente forte, indirizzato a tutti i credenti, non solo cristiani, che vi risiedono". In questo senso, "i veri credenti, anche tra i musulmani, stanno testimoniando un grande interesse per quanto accadrà, certi che avrà dei riflessi importanti anche nella continuazione del rapporto quotidiano" con le altre confessioni e le altre religioni. A parlare ai media vaticani da Istanbul, dove dirige il Centro per il dialogo interculturale DoSt-I (Dominican Study Institute), è il frate domenicano Claudio Monge, che nel Paese vive da 24 anni. Lo raggiungiamo a un mese dall’appuntamento che porterà il Pontefice in Turchia dal 27 al 30 novembre, per proseguire poi, fino al 2 dicembre, in Libano.

Padre Monge: il viaggio del Papa un evento che ci scuote

"Noi viviamo una realtà estremamente piccola", spiega, "quindi un evento del genere ci scuote sempre, anche per la sproporzione" tra la sua importanza, e "i numeri di chi si professa cristiano in questa terra". D’altro canto, "ci sentiamo onorati e incoraggiati dal fatto che si continui a guardare con interesse al nostro Paese", una "vera Terra Santa per il cristianesimo, oltre che epicentro storico-archeologico mondiale, e oggi pivot essenziale sulla scena della politica internazionale. Da Paolo VI, in poi, praticamente tutti i Papi sono passati fisicamente da qui", dice, esprimendo tutto il suo entusiasmo. Dopo Montini, che vi giunse nel 1967, è stata la volta di Giovanni Paolo II nel 1979, Benedetto XVI nel 2006, e infine Francesco nel 2014. Fa eccezione Giovanni Paolo I, morto nel 1978 dopo appena 33 giorni.
Si tratta, in questo caso, di un appuntamento atteso, per la verità, "perché già Papa Bergoglio aveva in animo di venire" per celebrare i 1700 anni del Concilio di Nicea, che portò alla formulazione della dichiarazione di fede, conosciuta come Simbolo niceno-costantinopolitano, anche se poi dovette rinunciarvi per l’aggravamento delle sue condizioni di salute. "Ci ha colpito non tanto che Leone abbia deciso di mantenere un impegno del predecessore, quanto come lui stesso abbia voluto entrare personalmente in questa visita, con i vari appuntamenti pastorali". Infine, associando alla Turchia anche la tappa in Libano "non c’è dubbio che si sia voluto dare un’impronta particolare al viaggio", con un valore geopolitico che si estende a tutta l’area.

L'attualità del Concilio di Nicea

Per quanto attiene le comunità locali, aggiunge padre Monge, "noi vorremmo essere in grado di esprimere una Chiesa in ascolto, che sappia sviluppare questa caratteristica anche al suo interno, in uno scambio maturo". Per farlo — è la sua convinzione — la cosa essenziale, "è resistere alla tentazione di una postura solo identitaria", tranello in cui spesso cadono i gruppi numericamente minori. "Sarebbe svilente". Invece, questa celebrazione del primo Concilio ecumenico della storia "ha un senso se riusciamo a capirne la portata e il significato per l’oggi", evitando di farne "qualcosa di nostalgico". Nel tempo presente, come nel IV secolo, "c’è la provocazione a un’unità visibile: qui sta la grande novità anche dopo 1700 anni". La convocazione di quel momento, che fu tra l’altro opera di Costantino, quindi del potere temporale, "esprimeva la convinzione che l’unità dell’impero presupponesse in qualche modo incondizionatamente anche l’unità della fede". Oggi, a distanza di secoli, "credo che vivere questo e farne una 'bussola che ci guida alla piena unità visibile di tutti i cristiani' (così Leone XIV nel giugno scorso, n.d.r.) non sia manifestare "un’unità nell’uniformità, ma un’unità come diversità riconciliata". Si tratta di "un modo rinnovato di vivere l’appello evangelico".

Le attese sul piano politico e su quello religoso e sprituale

Sul piano politico, "qui il Papa è atteso soprattutto come capo di Stato, si riconosce l’impatto globale che ha la sua persona", spiega. Le sue prime visite, in base al programma diffuso dalla Sala stampa della Santa Sede, saranno ad Ankara, al presidente della Repubblica e al mausoleo di Atatürk. A livello religioso e spirituale, "per noi cristiani la sfida sarà cercare di trasformare questo evento non in un punto di arrivo, ma soprattutto di partenza e di evoluzione nella testimonianza di ciò che siamo come Chiesa, e come Chiese".

L'importanza del dialogo

Al dialogo ecumenico, e anche con le fedi non cristiane, le comunità dedicano impegno costante, seppure all’interno dei limiti che sono consentiti. "Il dialogo — sottolinea Monge — è un incontro di persone, concretamente. Non è un rapporto tra sistemi o una negoziazione teorica". Cioè, "è vero nella misura in cui persone che credono fino in fondo in ciò che fanno, accettano il rischio che il confronto con il diverso solleciti a rinnovare e rinfrescare la propria testimonianza".

Una Chiesa espressione della cultura turca

Per questo, la comunità cristiana, in Turchia, è "una realtà in continua evoluzione". Così come le Chiese stesse "cambiano un po’ pelle". Un esempio è il dato che "quella di rito latino, sempre percepita come la chiesa degli stranieri, oggi dovrebbe essere ri-aggiornato: la nostra è una comunità che sta assumendo un volto anche turco. E questo per noi è uno stimolo, un fatto che ci interroga. Penso sia un segno che lo Spirito Santo sta lavorando, malgrado tutto. Quando Francesco nel 2014 celebrò la messa nella cattedrale dello Spirito Santo a Istanbul (presente il Patriarca ecumenico Bartolomeo, n.d.r.), ricordò che esso non è uno spirito di uniformazione, ma un invito a mettere in comune le ricchezze di una diversità che lavora ogni giorno per la riconciliazione. E non per difendere il proprio territorio". Così "la crescita specifica di piccoli numeri di quello che è un volto anche turco della Chiesa è un’opportunità e una sfida". È una Chiesa "che deve trovare la sua dimensione, non solamente importarla, perché il Vangelo parla a culture precise, sapendo interrogarle e provocarle. È un invito a metterci ancora di più in ascolto, perché si tratta di prime generazioni di credenti" e di "una Chiesa totalmente espressione di questa cultura". Una sfida, certamente, confessa.

Le domande aperte sulla geopolitica e la cautela per la tregua a Gaza

Così come lo è quella geopolitica. "È presto a mio avviso per dare un giudizio su quanto sta avvenendo a Gaza e in Medio Oriente", ammette Monge, con cautela. "Intanto siamo coscienti che si parla di una tregua, e tuttavia il sistema mediatico ha smesso di raccontare la violenza quotidiana, che non si è fermata del tutto, purtroppo. Restano in campo domande enormi. L’occidente poi sta mostrando se stesso in modo un po’ auto-assolutorio rispetto a quanto è successo e succede". Pertanto, "è prematuro parlare di pace. Chi vive il quotidiano sa benissimo che le ferite" non si rimarginano velocemente. "Pure in Libano ci sono bombardamenti ogni giorno". Certo, "è una fase cruciale, per la quale preghiamo. Ma si passerà dalla precarietà di una tregua a una prospettiva nuova, solo quando sarà assicurata una vera giustizia: come ha detto Leone, bisogna soprattutto disarmare il nostro modo di rapportarci all’altro e ripensare la dignità dell’altro, nei suoi diritti e nel suo grido di giustizia".

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28 ottobre 2025, 15:32