"Oratorio Italia", in un libro le realtà dove per i ragazzi non c'è solitudine
Eugenio Murrali - Città del Vaticano
"L’oratorio è un luogo dove non c’è solitudine, ma una moltitudine, dove c’è gioia, divertimento, dinamismo, non c’è spazio per la tristezza", scrive il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin nella sua prefazione a Oratorio Italia. Viaggio nel paese del bene di Alessia Ardesi. Dal saggio emerge infatti il ritratto di una realtà vitale, capace ancora oggi di accogliere moltissimi giovani, di offrirgli valori e relazioni, salvandoli dalle devianze di cui possono cadere vittime. L'autrice ha attraversato l'Italia da Nord a Sud. Ha ripercorso nel tempo la storia di un'istituzione che, con l'apporto di grandi figure, come quella di San Filippo Neri nel Cinquecento e di San Giovanni Bosco nell'Ottocento, non ha smesso di evolversi e di operare per la crescita umana e cristiana dei giovani. "Non è vero - scrive Ardesi- che gli oratori non esistono più. Ce ne sono meno come luoghi fisici. Eppure la fabbrica del bene comune non ha mai chiuso".
Al centro c'è Cristo
"Questa realtà - leggiamo nella prefazione del cardinale Parolin - ha una particolarità unica e fondamentale: al centro c’è Cristo, mediato dalla parrocchia e da quanti vi prestano servizio, a cominciare dai parroci e dai loro collaboratori". E con questo fulcro che è Gesù, anche i luoghi più semplici, le strutture più disadorne, i campetti più essenziali sanno diventare quella che il segretario di Stato definisce "una palestra privilegiata per l'educazione delle nuove generazioni, per aprirsi alla vita, alla socialità".
Il modello di don Bosco
L'indagine di Alessia Ardesi parte da un inquadramento storico che vede in don Bosco l'esempio più compiuto: "L'uomo che più di tutti ha creato un vero e proprio modello di riferimento è Giovanni Melchiorre Bosco, meglio noto come don Bosco, che nel 1846, nel quartiere Valdocco a Torino ha fondato il primo oratorio". Sul terreno morale preparato dai cosiddetti Santi Sociali, come San Giuseppe Benedetto Cottolengo e San Giuseppe Cafasso, don Bosco fa nascere l'oratorio con l'intento di "raccogliere i giovani, a partire da quelli più lontani e in difficoltà, in un luogo in cui possano formarsi nel segno della parola di Dio, grazie all'amorevolezza - scrive Ardesi -, all'esempio e alla vocazione missionaria di sacerdoti, catechisti ed educatori, offrendo un insieme di catechismo, gioco ed educazione". Una scommessa ottimista che ha dato vita alla straordinaria e sempre viva esperienza salesiana.
Le nuove sfide
Il lavoro di Ardesi mette in evidenza anche l'evoluzione che l'oratorio sta sperimentando nell'Italia di oggi: "Interculturalità e immigrazione; nativi digitali; emarginazione: sono tra le sfide decisive, anche se non certo le uniche, con le quali l’oratorio, nel perseguire la sua missione pastorale ed educativa, oggi si trova a dover fare i conti". In un tempo come quello presente, l'oratorio si apre anche a bambini di altre culture e di altre religioni. In questo spazio di condivisione, dove si prega, si gioca, si studia insieme, si impara che, nonostante le differenze, si può convivere benissimo: "E quando queste cose si imparano da piccoli è molto più facile portarle con sé da grandi e insegnarle anche agli adulti". C'è un altro aspetto, all'oratorio bisogna andare fisicamente, incontrarsi, guardarsi negli occhi. In questo modo, la tentazione di chiudersi in un mondo virtuale perde mordente e si sviluppa una socialità sana che aiuta a superare le proprie vulnerabilità.
Una costellazione di testimoni
Il libro è arricchito da una sezione dedicata alle testimonianze di molte persone che all'oratorio hanno scoperto un proprio talento, hanno iniziato a formare la propria personalità e a porre le basi dei propri valori. Tra questi anche alcuni noti calciatori, come Gianni Rivera, cresciuto in un oratorio salesiano: "Era l’unico posto dove potevamo giocare senza che i vigili ci portassero via il pallone". O Sandro Mazzola, che ricorda: "Don Giordano Miradoli ci aveva creato una specie di campetto. Non c’erano né lo spazio né i soldi per farne uno vero. Ma lui si era ingegnato: aveva messo due porte e una rete alta che recintava e chiudeva la strada dove si parcheggiavano le auto". Tante voci, diverse, dalla politica, alla moda, all'imprenditoria, fanno comprendere l'importanza dell'oratorio e, come dice Aldo Cazzullo nella sua postfazione, del grande lavoro che i sacerdoti e la Chiesa svolgono per i giovani e per la società, spesso sopperendo all’assenza dello Stato, in silenzio, nell’interesse comune, non solo dei fedeli. Osserva il giornalista: "Questo libro è un risarcimento. È lo svelamento di un’Italia pudica, che non si esibisce, non parla, non grida. L’Italia dell’immensa provincia, dei mille campanili, della rete delle parrocchie. Un’Italia abituata a credere, a lavorare, a pregare, a prendersi cura degli altri, non solo dei propri figli e dei propri nonni ma di tutti i bambini, di tutti gli anziani, di ogni persona della comunità".
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