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Rifugi di sfollati da El Fasher nel campo di Um Yanqur, situato sul confine sud-occidentale di Tawila, Darfur (Afp) Rifugi di sfollati da El Fasher nel campo di Um Yanqur, situato sul confine sud-occidentale di Tawila, Darfur (Afp)

Sudan, Onu: è emergenza carestia

A una settimana dalla caduta nelle mani delle Forze di Supporto Rapido (Rsf), la fame minaccia El Fasher e altre 20 aree del Darfur e della regione del Kordofan. Padre Jorge Naranjo, missionario comboniano a Port Sudan: "Occorre svelare i meccanismi esterni che stanno alimentando questo conflitto"

Beatrice Guarrera e Marco Guerra - Città del Vaticano

Oltre all’assedio, alle violenze, all’esodo forzato, a El Fasher è arrivata la fame, la più mortale delle epidemie che rischia di trascinare con sé altre regioni del Sudan. A una settimana dalla caduta nelle mani delle Forze di Supporto Rapido (Rsf), nella città, considerata la capitale della regione occidentale del Darfur, impazza la carestia, certificata anche nella città di Kadugli, nella provincia del Kordofan meridionale. La denuncia arriva dal nuovo rapporto dell’Integrated Food Security Phase Classification (Ipc), organismo delle Nazioni Unite con sede a Roma, secondo il quale la carestia rischia di diffondersi ad altre zone del vasto Paese dell’Africa nord-orientale, dove i combattenti paramilitari stanno lottando contro l’esercito per il potere da oltre due anni. Ad essere minacciate dalla fame anche altre 20 aree del Darfur e della regione del Kordofan, dove negli ultimi mesi la guerra si è fatta ancora più brutale.

Un collasso totale dei mezzi di sussistenza

 «La carestia e il rischio di carestia — ha scritto l’Ipc nel suo rapporto — sono priorità urgenti, ma sono solo i sintomi più gravi di una crisi molto più ampia e profonda che colpisce milioni di persone in tutto il Sudan»: «Si tratta di un’emergenza causata dall’uomo e tutte le misure necessarie per prevenire ulteriori catastrofi sono chiare». El Fasher e Kadugli hanno subito «un collasso totale dei mezzi di sussistenza, fame, livelli estremamente elevati di malnutrizione e morte», ha aggiunto l’Ipc. Secondo il documento, a settembre circa 375.000 persone sono state spinte alla carestia nel Darfur e nel Kordofan, mentre altri 6,3 milioni di persone in tutto il Sudan affrontano, appunto, livelli estremi di fame. Livelli estremi per cui, secondo gli standard di misurazione, almeno due persone o quattro bambini sotto i 5 anni, ogni 10.000, muoiono di malnutrizione e almeno una persona o famiglia su cinque soffre di grave carenza di cibo e rischia la fame. Anche il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha chiesto la fine delle violenze in Sudan e ha riferito che la crisi nel Paese sta rapidamente peggiorando. Guterres ha invitato le parti in conflitto a «sedersi al tavolo dei negoziati e porre fine a questo incubo di violenza, ora», sostenendo che «la terribile crisi in Sudan...sta sfuggendo di mano».  

Allarme per le uccisioni di massa

Nel frattempo ieri la Corte penale internazionale (Cpi) ha avvertito che le atrocità commesse a El Fasher, e riferite da diversi testimoni, potrebbero costituire crimini contro l’umanità e crimini di guerra. «Profondo allarme e  profonda preoccupazione» in merito alle segnalazioni di uccisioni di  massa, stupri e altri crimini commessi nella città del Darfur sono stati espressi in una nota dell’ufficio del procuratore della Cpi. Intanto, più di 36.000 civili, secondo i dati delle Nazioni Unite, sono fuggiti dalle città e dai villaggi della regione del Kordofan tra il 26 ottobre e venerdì scorso, mentre le Forze paramilitari di supporto  rapido hanno avvertito che si stavano radunando lungo una nuova linea  del fronte. Nonostante i ripetuti appelli internazionali, le parti in conflitto, che avrebbero commesso entrambe atrocità e violenze, non sono ancora riuscite a raggiungere un cessate-il-fuoco. Da una parte gli Emirati Arabi Uniti sono accusati di aver fornito armi alle Rsf, accuse ripetutamente respinte dal Paese. Dall’altra l’esercito sudanese, invece, avrebbe ricevuto sostegno da Egitto, Arabia Saudita, Turchia e Iran. Proseguono intanto gli sforzi degli Stati Uniti per un accordo tra le parti. Su questa linea, secondo quanto riferisce una fonte governativa all’Afp, proprio oggi il Consiglio di Sicurezza e Difesa del Sudan, sostenuto dall’esercito, si riunirà per valutare una proposta di tregua appoggiata dagli Stati Uniti. 

Atrocità che si potevano prevedere

Nel frattempo aumentano sempre di più gli sfollati interni e esterni, a causa delle violenze. Quelle di El Fasher sono atrocità che, purtroppo, si potevano prevedere, ma che «non c’è stato modo di fermare da parte della comunità internazionale». Lo riferisce, a colloquio con i media vaticani, padre Jorge Naranjo, direttore del Comboni College of Science and Technology a Port Sudan. «Noi siamo fisicamente lontani da lì, visto che ci troviamo nella parte orientale del Sudan, ma arrivano comunque gli sfollati da diverse parti» del Paese. Con l’arrivo dei profughi sono aumentati sensibilmente i parrocchiani, ma anche gli studenti che frequentano le scuole gestite dai missionari. «Alcuni studenti che avevano cominciato i loro studi in Darfur — spiega il sacerdote —  hanno visto le loro università distrutte dalle Forze di Supporto Rapido e quindi sono arrivati fino a qua e studiano con noi». I comboniani forniscono, inoltre, anche supporto sanitario ai bisognosi che li raggiungono a Port Sudan e non solo. La guerra, infatti, infiamma anche in altre aree del Paese, dove la Chiesa opera al fianco dei poveri, per alleviare le loro sofferenze fisiche e spirituali. 

Urgente un processo di riconciliazione

«Ogni guerra e anche questa — spiega padre Jorge — ha a che fare con agenti interni. Ma poi ci sono agenti esterni che cercano il loro beneficio e che alimentano il conflitto». Fra gli agenti esterni che alimentano il conflitto in Sudan, il comboniano cita ad esempio gli Emirati Arabi, accusati da più parti di fornire armi e soldati alle Rsf. «Tutto questo capita dietro una tenda di silenzio», sostiene il sacerdote. Da lì, l’importanza che il Sudan ottenga la risonanza internazionale, come accaduto dopo le parole di vicinanza di Papa Leone XIV. Bisogna, osserva padre Jorge, andare «oltre gli eventi delle uccisioni»: «Sono terribili — ovviamente occorre raccontarli — ma bisogna anche andare oltre e svelare i meccanismi esterni che stanno alimentando questo conflitto». Tutto senza dimenticare che, infine — conclude il comboniano — è urgente anche «un processo di riconciliazione interna» perché si intraprenda la strada del dialogo e della costruzione della pace. 

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04 novembre 2025, 14:55