Tanzania, padre Kitima: molti morti nelle proteste. La Chiesa impegnata per il dialogo
Federico Piana - Città del Vaticano
«Sì, i morti sono centinaia. È una cosa davvero disumana». Quello che nessuno avrebbe mai voluto sentire ora ci viene confermato: nelle proteste di piazza, che nei giorni scorsi hanno scosso la Tanzania con scontri tra polizia e manifestanti che contestavano l’esito delle recenti elezioni generali, le vittime non sarebbero state solo poche decine, come avevano calcolato per difetto alcuni osservatori internazionali. Sarebbero davvero molte di più. Una carneficina.
Comunicazioni parziali
Padre Charles Kitima, segretario generale della Conferenza episcopale, riesce a mettersi in contatto con i media vaticani proprio nel momento in cui, questa mattina, le autorità hanno parzialmente ripristinato i collegamenti telefonici e riavviato a singhiozzo internet con una raccomandazione perentoria, e sinistra, a tutta la popolazione: evitare di condividere e divulgare, sopratutto nei social, immagini che potrebbero generare allarme e “offendere la vita umana”.
Denuncia delle opposizioni
C’è chi, in questo monito, ha visto il tentativo di contenere la denuncia delle opposizioni che oggi hanno accusato le forze di sicurezza di aver segretamente scaricato in dei luoghi imprecisati i corpi di centinaia di persone uccise durante i giorni delle proteste. Cataste di morti che qualcuno potrebbe aver fotografato e potrebbe, presto o tardi, avere interesse a far circolare.
Irregolarità e sequestri
«Le manifestazioni di piazza che hanno coinvolto tutto il Paese sono iniziate a causa di alcune irregolarità che sono state riscontrate durante il periodo elettorale. Ma anche per gridare al mondo la violazione sistematica dei diritti umani fondamentali tramite il rapimento e l’uccisione di alcuni politici e di chi si opponeva al governo», racconta padre Kitima. Che non nega come anche i manifestanti, in alcuni casi, si siano lasciati andare a soprusi, distruzione e saccheggi: «Ma le forze dell’ordine hanno reagito sparando sulla folla con proiettili veri, ferendo e ammazzando».
Chiesa mobilitata
La Chiesa locale certamente non è stata a guardare. Fin dall’inizio, quando si è accorta delle irregolarità elettorali, ha organizzato delle riunioni con alcuni responsabili governativi per chiedere un voto equo, libero e credibile. «I vescovi hanno anche indetto delle preghiere nazionali e condannato le sparizioni e i rapimenti, il sequestro di politici e di altri esponenti dei partiti di opposizione. La Conferenza episcopale ha perfino scritto delle lettere aperte per condannare tali fatti e dire al governo che dove sedersi al tavolo delle trattative e dialogare con i partiti politici dell’opposizione».
Richiesta di confronto
Ora che gli eventi sono precipitati, i vescovi hanno indetto, per la prossima settimana, una riunione ecclesiale urgente nella quale mettere a punto una strategia per promuovere un’azione risolutiva e pacificatrice. Di dialogo, ieri, aveva parlato anche la presidente Samia Suluhu Hassan durante la cerimonia per il giuramento del suo secondo mandato, che si è svolta nonostante le tensioni in una capitale blindata. Padre Kitima rimane ancora dubbioso: «Il confronto lo stiamo ancora aspettando. Chiediamo al governo di ascoltare davvero la popolazione mentre alla nostra gente diciamo che la giustizia richiede che si discuta anche della verità: ci sono problemi che devono essere risolti e coloro i quali li hanno causati devono assumersi le proprie responsabilità. La Chiesa sta cercando un modo per guarire».
Giovani in prima linea
Come è già capitato in altre nazioni africane, ci sono dei protagonisti assoluti dietro tutte le manifestazioni in Tanzania: i giovani. Sono loro, assicura il segretario generale della Conferenza episcopale, che vogliono il cambiamento, che dalla politica pretendono un maggiore e più concreto coinvolgimento, che vorrebbero che il loro voto contasse davvero, come prevede la Costituzione: «Il problema, però, è che qui le le elezioni libere, eque e credibili sono un problema serio. Hanno ragione. E la nostra Chiesa cerca di aiutarli offrendo loro un programma speciale di educazione civica e di educazione ai diritti umani per l’alfabetizzazione politica in grado di fornire le conoscenze e le competenze necessarie per esercitare i loro diritti politici». Ecco perché i giovani non fanno fatica a sostenere a gran voce che «l’unica istituzione che è in grado di difenderli è la Chiesa cattolica».
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