Tanzania, il presidente dei vescovi: "Manifestanti uccisi senza pietà"
Federico Piana - Città del Vaticano
«È stato un evento triste, orribile, mortale». Monsignor Wolfang Pisa, vescovo della diocesi di Lindi e presidente della Conferenza episcopale della Tanzania, riavvolge il nastro dei ricordi. Torna indietro fino a quel famigerato 29 ottobre, giorno delle elezioni generali, durante il quale le città principali come Dar es Salaam, Mbeya, Arusha, Mwanza, Geita e Kahama sono state scosse da imponenti manifestazioni di piazza contro lo svolgimento del voto giudicato irregolare ed illegittimo.
Senza pietà
Per la prima volta dagli avvenimenti, il vescovo trova il coraggio di raccontare ai media vaticani che in quelle ore concitate, fatte anche di eccessi violenti messi in pratica dai manifestanti, la polizia ha risposto con una forza brutale, senza precedenti: «Hanno sparato ed ucciso non solo chi stava manifestando ma anche chi si trovava davanti alla propria abitazione e con le proteste non centrava nulla. Lo hanno fatto in modo sfrenato, senza pietà».
Manifestare è un diritto
Anche se chi era sceso in piazza non aveva avuto l’autorizzazione a farlo, il vescovo non ammette che possano esserci dubbi: «Le manifestazioni sono un diritto del popolo e non devono essere fermate a colpi d’arma da fuoco. Del resto, i giovani, che sono il motore delle contestazioni, sapevano bene che in una situazione sociopolitica così tesa le autorità non avrebbero mai concesso alcun benestare
Bilancio incerto
Quanti morti e feriti ci siano stati ancora nessuno lo sa. Dopo il giuramento per suo il secondo mandato, la presidentessa Samia Suluhu Hassan aveva minimizzato parlando di poche vittime senza comunicare, però, alcun bilancio ufficiale.
Cure negate
Ma le rivelazioni di monsignor Pisa aprono uno squarcio sulla verità e potrebbero dare credito ad alcuni testimoni che hanno dichiarato di aver assistito a cataste di centinaia di cadaveri: «Abbiamo ricevuto segnalazioni secondo cui in alcuni dei nostri ospedali missionari, come il Rugambwa Hospital di Dar es Salaam, il personale medico ha ricevuto istruzioni dalla polizia di negare le cure ai manifestanti feriti o di fornire loro assistenza limitata. Fin dall’inizio, erano stati definiti come criminali e, se l’intenzione delle forze dell’ordine era quella di ucciderli e non di fermare pacificamente le proteste, non mi sorprende che abbiano preferito vederli morti piuttosto che vivi e in cerca di assistenza medica».
Accertamento difficile
Poi ci sarebbe un ulteriore spiegazione. Che il vescovo crede sia quasi una certezza: «Curare i feriti avrebbe finito per fornire al mondo una narrazione veritiera della situazione portando così a scoprire le responsabilità delle forze di sicurezza». Un altro tentativo per nascondere il numero dei morti fa rabbrividire, lascia esterrefatti: «A molte persone, nelle camere mortuarie e nelle strade, è stato impedito l’accertamento dei cadaveri dei propri parenti o amici. Tuttavia, è difficile conoscere ancora la portata di questi scenari».
Anni di soprusi
L’analisi del presidente della Conferenza episcopale si spinge anche più indietro. Ricostruisce la violenza che da anni si è impadronita della Tanzania e che avrebbe contribuito ad alimentare le recenti proteste antigovernative: «Secondo un documento, pubblicato dall'Unione degli accademici dell'università di Dar es Salam il 23 ottobre scorso, nel periodo compreso tra il 2020 e il 2025 sono state rapite 87 persone. Tra queste, 36 sono state brutalmente uccise. Per anni, questo ha causato indignazione pubblica, poiché la gente si chiedeva se fosse opera della polizia o di una forza indipendente sconosciuta o addirittura di entrambi». Dubbi ai quali le autorità non hanno mai risposto lasciando aperti molti altri interrogativi: «Perché il governo non interviene ponendo fine a questi soprusi? Si tratta forse di un nuovo modo di governare e intimidire la popolazione mettendola a tacere?».
Mancanza di democrazia
Il ragionamento di monsignor Pisa si sofferma anche su quei leader dei partiti d’opposizione che, prima del voto, sono stati molestati o incarcerati. «Questo atteggiamento di limitazione, compreso il divieto al partito Chadema di partecipare alla consultazione elettorale, dimostra chiaramente che il partito al potere non è aperto alla democrazia e alle elezioni multipartitiche. Le ultime consultazioni eque? Sono state quelle del 2015».
Chiesa testimone di verità
La Chiesa locale, che ora più che mai sente il compito di testimoniare la verità, la giustizia e la pace, chiede a gran voce «che i leader si scusino per le violenze e che venga subito creato un comitato indipendente per indagare su questo disastro». Monsignor Wolfang Pisa ci spera, nonostante tutto.
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